Mercato Azionario
Non si placa la debolezza dei listini azionari internazionali che faticano ancora molto ad arginare il flusso di vendite in corso. In qualche seduta è parso possibile abbozzare anche forme momentanee di rimbalzo, ma il sentiment appare ancora fragile, in un contesto dove il mercato deve fronteggiare diversi fattori di rischio in maniera congiunta. Se inflazione e tassi sono sul menu ormai da parecchio tempo (e con movimenti a ‘onda’ periodici), il quadro geopolitico legato al Medio Oriente è di assoluta incertezza, un ingrediente che i mercati non riescono a modellizzare e quantificare come possibile impatto potenziale. Israele, infatti, ha tergiversato sull’attacco di terra, probabilmente frenato dagli USA (che soppesano tutti i movimenti dello scacchiere) ma anche dalla situazione sul fronte Nord dove gli sviluppi restano pericolosi. Le implicazioni che derivano da un conflitto che da locale diventa regionale sono alte, se si pensa all’approvvigionamento energetico e ai riflessi in ambito macroeconomico (già appesantito dalle tendenze crescenti dei tassi e delle materie prime). Le borse non cedono infatti in modo drammatico ma sono incapaci ancora di reagire, finendo ora per passare alle vendite dell’argenteria dei listini, ossia quei tech che, se pur tra incertezze, hanno un ruolo chiave per sostenere il mercato con i loro utili. Senza di loro, infatti, tendenze e performance sarebbero decisamente meno brillanti. L’MSCI World (indice globale) scende nella settimana dell’2,1% e porta ora il guadagno da inizio anno di appena il 6,9% (era a +18% a fine luglio). La correzione ora si fa “seria”, di magnitudine crescente e diversa da quanto visto nella prima parte dell’anno.
Si fa complicata la situazione tecnica a Wall Street che cede sistematicamente in progressione nelle sedute, accelerando al ribasso non appena gli operatori capiscono che il mercato non tiene. E sì che l’uscita di dati macroeconomici non è negativa, così come sul fronte degli utili dove, se pur in chiaro scuro, c’è ancora una sostanziale tenuta. Tuttavia, il sentiment di breve è incline a rimanere su livelli di tensione. Si liquida per prudenza e ora si vendono, come detto, le componenti più redditizie fino ad ora conservate: fasi come queste normalmente finiscono con una capitolazione e un picco di volatilità. Parlare di specifici livelli di arrivo diventa quindi difficile e forse può aver più fortuna guardare alle tendenze di lungo periodo, con il compito di intercettare la prima parte di una possibile “V”. Dopo il cedimento dei supporti in area 4.200 di S&P 500 (-2,5% nella settimana), la situazione appare scivolosa: i vari livelli possono infatti essere attraversati come il burro, fino ad arrivare a quota 3.950 dove passano le trendline in essere dal 2009 e che già l’anno scorso hanno offerto aiuto ai corsi azionari. Non è detto che ci si arrivi ma le fasi finali di uno storno sono spesso anche concitate nello sviluppo. Il Nasdaq (-2,6%), perde lo smalto mostrato in diversi frangenti di ottobre (dove l’indice sembrava anche pronto a cogliere un rilancio) ed è anch’esso oggetto del virus correttivo e con margini di ribasso.
A livello geografico e settoriale, l’aumento della volatilità ha portato anche a cambi improvvisi nelle preferenze degli investitori. Tornano ad essere comprati infatti i difensivi (consumi di base e utilities) mentre cedono ciclici e tecnologici, in una pura logica di risk-off che vede ora premiati i comparti a bassa volatilità. Rotazioni viste molte volte negli ultimi 2 anni e che poi si ripercuotono sull’andamento dei singoli paesi, con l’Europa capace di contenere le perdite (Stoxx Europe -1%). In caduta libera Corea e India, tra gli emergenti, mentre rimbalza la Cina (+1,8%).
Macro e fondamentali non hanno aiutato gran che i mercati, anzi, pare quasi che l’unica opzione valida gradita ai mercati potrebbe essere quella di “no news”, perché anche quelle positive vengono lette al contrario. Debacle di Google (utili e ricavi sopra le stime, ma dubbi sul business cloud), positivi i dati di Microsoft, Meta e Amazon. I valori misurano un livello di stime battute nell’ordine del 7%, ma questo poco conta nel contesto attuale. Così come la crescita del PIL del 3° trimestre al +4,9% (vs +4,3%) e i valori sopra le attese di ordini durevoli e consumi sembrano più far pendere la bilancia verso un atteggiamento duro della Fed più che verso un quadro macro-soddisfacente. È il sentiment e funziona così in borsa.
Mercato Obbligazionario
Settimana di sostanzialmente pausa sul fronte dei rendimenti che si attestano sempre su livelli elevati ma al di sotto dei massimi di periodo. Il decennale americano chiude infatti la settimana al 4,84% di rendimento, con un andamento settimanale che per due volte ha avvicinato la soglia del 5%, ora vista come trigger per un ulteriore movimento verso l’alto. Una tendenza, quella dell’yield del decennale USA, che resta ‘in bilico’ tra pressioni rialziste che vengono dalla massa di debito introdotta sul mercato senza un compratore storico come la Fed, ma anche per lo shift verso l’alto della curva dei rendimenti ed il ripristino di un termine a premio per gli investimenti con durata superiore. Problemi che il mercato fino a pochi anni fa non aveva ma anche ora si trova a dover affrontare in un contesto in cui, in realtà, l’obbligazionario dovrebbe fungere più che altro da calmieratore e da bene rifugio verso gli elementi di tensioni presenti sul mercato. In realtà, così non è stato né nel 2022 e nemmeno, come si sperava, nel 2023, con tutte le difficoltà che poi si creano per gli investitori, mancando delle componenti ‘safe’ di sostegno all’occorrenza. Anche il trentennale USA si mantiene non troppo distante dai massimi (5,01%), ancora in uptrend ma anche in attesa di capire se, dal punto di vista economico, potranno arrivare segnali macro-diversi da quelli giunti finora e che definiscono un’economia USA ancora in buona salute.
La settimana è servita per sentire però cosa si pensa da questa parte dell’Oceano, con la riunione della BCE che ha mantenuto i tassi fermi ai livelli correnti ma mancando ancora di dare indicazioni prospettiche agli investitori, i quali già da un po’ trovano questa situazione un po’ frustrante. Da parte sua, BCE evidentemente non se la sente ancora di fare modifiche alla sua attuale impostazione, che ritiene, al pari della Fed, il livello di inflazione fastidiosamente alto e incompatibile con i propri obiettivi. Tutto questo però, appare per molti ugualmente incompatibile con un quadro macro dell’Eurozona che non ha la stessa tonicità di quello US, per cui il tema della crescita dovrebbe essere maggiormente tenuto in considerazione. Il traino evidentemente resta quello della Fed, a cui BCE si adeguerà: attualmente le possibilità di rialzo tassi negli Stati Uniti sono limitate ad un 28% a gennaio 2024, con 3 tagli a seguire nel corso dell’anno, mentre Francoforte avrebbe terminato la sequenza restrittiva. La FED, inoltre, è in un Quantitative Tightening duro mentre BCE ancora no, dovendo fronteggiare specifiche situazioni nazionali al limite in tema di debito. In termini di rendimenti il Bund 10y tedesco veleggia sotto il 3% (2,83%) ed il BTP 10y al 4,80%, entrambi leggermente in calo rispetto alla settimana scorsa. Occorre segnalare anche la scalata del decennale giapponese (0,88%): l’inflazione morde anche lì, quanto potrà ancora resistere la Bank of Japan?
In un contesto così complicato come quello di quest’anno anche per le altre asset class obbligazionarie non è immediato trovare la forza per resistere. Il corporate USA è negativo da inizio anno mentre quello della zona Euro ha guadagni risicati, solo high yield è stato capace di intercettare le dinamiche positive specie della prima parte dell’anno. Gli spread di credito rimangono finora ancora sotto controllo grazie al quadro macro-stabile.
Mercato delle materie prime
Brusca caduta del prezzo del petrolio (-3,6% a 85,5$) che ritraccia, in clima da risk-off, tutto il movimento positivo post inizio del conflitto in Medio Oriente. Fa da contraltare il gas (+9%) che recupera invece terreno. L’oro supera in chiusura quota 2.000 (+1,3% a 2.006), il resto delle materie prime non ha espresso particolari tendenze.
Mercato delle valute e cryptos
Il mercato delle valute non ha evidenziato movimenti decisi, quasi a porsi in posizione di attesa verso novità dal campo della politica monetaria o della geopolitica. Cambio Euro-Dollaro, infatti, in area 1,057 (-0.3%) ma il mattatore di settimana è stato il Bitcoin che con il +14%, rompe le resistenze in area 31.000 e trova forza per ripristinare una tendenza positiva e si fa trovare pronto, come l’oro, per intercettare l’esigenza di beni rifugio.
Dott. Alessandro Pazzaglia, consulente finanziario indipendente, www.pazzagliapartners.it