Dati economici deboli, ma borse ok! Listini stabili e bond dopo i segnali di rallentamento USA

MERCATO AZIONARIO

Dopo il rialzo delle borse della scorsa settimana, arriva una fase di consolidamento per i principali indici segno di un mercato che vive di contraddizioni, quasi in bivio tra speranze di miglioramento delle prospettive macro e finanziarie e incertezze derivanti dai noti fattori di condizionamento. Una ambiguità che porta spesso ad avere, come successo negli ultimi mesi, sbalzi umorali e poca direzionalità nei movimenti e questo sia al rialzo che al ribasso. Il rumore di fondo nel breve è infatti accentuato: le tante volte citate ‘fughe in avanti’ dei listini continuano ad essere frenate da rintracciamenti seguenti così come la tenuta di soglie rilevanti ha dato invece robustezza al recupero che si è visto da ottobre in poi. È il caso di questa settimana dove le borse hanno moderato i propri istinti rialzisti per l’uscita di dato macro più deboli del previsto sulla congiuntura dell’economia statunitense. Un andamento che non può che far piacere alle stesse banche centrali e in particolare al capo della Fed, Powell, che, probabilmente, troverebbe consacrazione storica se riuscirà ad attraversare la giungla dell’alta inflazione riportando quest’ultima a valori più moderati senza causare danni troppo rilevanti all’economia. L’aumento dei prezzi è ancora in fase di penetrazione in alcuni ambiti e la sfida non è vinta, al contempo la debolezza di alcuni indicatori suggerisce che la cura inizia a funzionare. Le asset class rispondono quindi con un non-trend, avendo poca visibilità futura, alternandosi anche nella generazione di valore, dopo un 2022 in cui bond ed equity invece hanno marciato insieme.

I dati macro in uscita negli Stati Uniti stanno confermando la sensazione di un’economia ancora su discreti livelli di forza ma anche di qualche elemento che denota perdita di momento. I segnali sono concentrati sul mercato del lavoro, con i valori di nuove offerte di lavoro e nuovi occupati sotto le attese e di, sussidi di disoccupazioni invece più alti rispetto a quanto si attendeva il mercato. Un elemento che l’obbligazionario ha incorporato con una discesa dei rendimenti a medio termine, sostanzialmente spostandosi verso una visione di rallentamento economico (debole o forte che sia lo si vedrà col tempo). Anche la percezione del futuro tende a peggiorare, con PMI e ISM servizi che portano a prudenza per i prossimi mesi per l’economia USA mentre quella europea si mantiene ‘positiva’, soprattutto per un sud Europa che si mantiene per una volta tonico rispetto al resto del Continente. Nel complesso, le tendenze macroeconomiche attestano il funzionamento delle politiche monetarie restrittive con la considerazione di alcuni osservatori secondo cui i banchieri centrali dovrebbero far attenzione a ciò che desiderano: il tempo dirà se Powell sarà ili novello Volcker.

Wall Street osserva l’andamento dei dati e attende il responso tra qualche mese anche su un piano più micro, ossia quello degli utili aziendali, legato ai destini delle variabili macro, pur nella consueta constatazione che l’economia reale viaggia su un binario vicino ma non identico. La resistenza degli utili aziendali è figlia sia di una rotazione settoriale corposa (tra settori ad alta crescita e tradizionali) ma anche di un contesto generale in cui le imprese sono state per ora capaci di gestire maggiori costi o mini-sgonfiamento di alcune aree di business (come è il caso dei giganti tech). E a livello globale aggregato, l’Europa prima e forse la Cina adesso potrebbe compensare qualche utile US in calo.

S&P 500 chiude piatto una settimana dove ha anche ritracciato leggermente ma continua a puntare verso l’alto con prossimi obiettivi a quota 4.200, ossia i precedenti massimi di fine gennaio, prima della ripresa dei toni restrittivi da parte di FED e BCE e dalle tensioni sul mondo bancario nella parte centrale di marzo (il 13 marzo eravamo a 3.808 punti di S&P 500, soglia assolutamente critica). Nell’incertezza prima descritta residua una marginale forza positiva che ha consentito agli indici USA prima di tenere i supporti e ora di avanzare con cautela. Lo stesso Nasdaq, best performer da inizio anno, galleggia intorno ai 13.000, si riposa e chiude la settimana in lieve negativo (-0,9%), avendo anche necessità di ridurre qualche elemento di ipercomprato su alcuni segmenti che avevano corso molto, come quello dei semiconduttori. I soldi non escono dalle borse ma come al solito rimodulano la loro allocazione, stavolta recuperando un settore ultimamente bistrattato come l’Health Care e in generale operando uno switch verso soluzioni più difensive e coerenti con i dati macro usciti. Chi recupera bene è l’Energy (galvanizzato dalla decisione dell’OPEC di tagliare la produzione) e le Utilities, che beneficiano dalla generale riduzione dei rendimenti. Tra i singoli temi, pausa per quelli tech mentre i miners incamerano un +6% grazie all’oro tornato sopra i 2.000 $.

MERCATO OBBLIGAZIONARIO

Nell’obbligazionario, segni più generalizzati per tutti i governativi (euro e area Dollaro), ben acquistati per la view prima descritta di una economia che modera la sua velocità di crociera. Il decennale americano. scende sotto ai minimi da dicembre {3,31% la close finale): è una discesa fatta da temporanei recuperi ma che sembra indirizzata verso valori prospetticamente inferiori. Anche il Bund tedesco 10Y chiude con rendimenti in calo {2,18%) mentre i BTP si attestano vicinissimi ancora ad area 4%. Ritracciano anche i rendimenti a breve, un po’ più nervosi perché il mercato continua a pensare una cosa (ossia che le banche centrali taglieranno i tassi, almeno negli USA, nei prossimi mesi) mentre la retorica di Feci e BCE si mantiene abbastanza impostata verso un’invarianza dell’atteggiamento restrittivo .

Il risultato è l’avere curve più piatte e un rinvio alle prossime riunioni delle banche centrali {maggio): per la FED la probabilità di un aumento di uno 0,25% è del 50% ma poi si scontano tre interventi di riduzione mentre per la BCE il tema non è sul se ma su quanto (0,25% e 0,50%) con una inversione della politica monetaria solo nel 2024. Il calo dei tassi favorisce il corporate (sia US che euro) mentre l’High Yield è rimasto stabile dopo i sussulti di marzo e senza particolari driver settimanali. Per il resto del 2023 l’obbligazionario sconta già un certo percorso economico e di politica monetaria, ma poi si dovrà fare i conti non solo con le dinamiche di crescita ma anche con quelle legati alle dinamiche dei prezzi. Si ripropone, quindi, quel disallineamento tra mercato e banchieri centrali che aveva caratterizzato gli scorsi mesi e che Powell e Lagarde hanno spesso contrastato con le loro dichiarazioni.

MERCATO DELLE MATERIE PRIME

In ambito materie prime, segno più marginale del paniere generale (+2,4%) grazie ancora al rialzo del prezzo del petrolio, tornato in area 80$. Nel contesto di un dollaro debole è l’oro a raccogliere lo scettro di bene di copertura dei rischi, chiudendo sopra area 2.000 $ e attestandosi sempre vicino ai massimi storici. In calo invece tra le materie prime, quelle industriali.

MERCATO VALUTARIO

In ambito valutario, l’euro mantiene la posizione rialzista verso il dollaro, tornando sulle aree di resistenza a 1,10 un breakout aprirebbe la strada a nuovi rialzi e confermerebbe la view relativamente più debole per l’economia Usa.

Dott. Alessandro Pazzaglia, consulente finanziario indipendente.

 




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