MERCATO AZIONARIO
L’ottava appena trascorsa non muta sostanzialmente il copione delle borse visto nella fase recente, dove i listini, dopo il sell-off di metà gennaio, stanno cercando di metabolizzare quanto rinveniente dall’ambiente macroeconomico e fondamentale. Il rimbalzo dai minimi dei listini inevitabilmente continua a confrontarsi con un contesto dove però il ‘mix’ dei fattori da valutare da parte degli investitori appare ora diverso da quello di qualche mese fa. Non più tardi di fine novembre, infatti, i mercati si interrogavano sui tratti di pericolosità della variante Omicron e sull’impatto sulla crescita: ora, invece, l’elemento della pandemia è certamente ancora presente (e richiamato dalle principali autorità di politica economica e monetaria) ma sembra non essere più al primo punto dell’agenda degli investitori. Più impattante è diventato il connubio tra inflazione, banche centrali e normalizzazione della politica monetaria, con le incognite sugli effetti di interventi ‘a gamba tesa’ in un ambiente economico che si avvia ad essere ormai ‘post-Covid’. Facile quindi spiegare la variabilità delle borse dell’ultimo periodo, dove alle speranze di ritrovare un trend positivo si contrappongono le incertezze per il resto dell’anno. Nella settimana appena trascorsa, l’azionario globale scende dello 0,70%, restando in territorio negativo da inizio anno (-5,8%).
E’ sempre Wall Street comunque a rappresentare il faro per le altre borse internazionali, con le aziende USA ancora in piena earnings season. Il rimbalzo dai minimi dell’indice S&P 500 in area 4.300 (i minimi di settembre che hanno consentito un recupero parziale delle posizioni) si è nuovamente arenato a quota 4.600 punti, dimostratosi a questo punto un discreto ostacolo per il ripristino di una fase tecnica più tranquilla. Resta beninteso che la tenuta dei minimi dello scorso gennaio è una condizione fondamentale per evitare pericolose involuzioni ribassiste verso supporti inferiori (area 3.950-4.000), ampliando il drawdown occorso certamente doloroso (-12%) ma nei fatti abbastanza normale nelle dinamiche di un indice azionario sviluppato. L’indice USA chiude la settimana con un close negativo (-1,8%) e con una certa debolezza che ha prevalso nella seconda parte d’ottava, dopo la diffusione del dato sull’inflazione a gennaio, arrivata al top da 40 anni (+7,5% in rialzo rispetto allo stesso dato di dicembre al +7% e sopra le attese degli analisti). Forti i timori per una FED ora costretta ad intervenire più massicciamente per sradicare le tensioni inflazionistiche, elementi che hanno portato a discese più marcate per i titoli tech. Il Nasdaq 100 infatti chiude in netto calo l’ottava (-3%) e con discese più forti nella parte finale della settimana: gli ostacoli a quota 15.000 sono stati ostici ed i supporti in area 14.000 restano anche qui fondamentali per evitare downside più corposi. Esemplificativo il comportamento dell’indice Vix, che ha illuso gli investitori sfiorando area 20 per poi riproporsi al rialzo.
L’Europa riesce meglio a difendersi (Eurostoxx 50 +1,8%) sebbene le chiusure siano sotto i massimi d’ottava, al pari dei paesi emergenti che hanno visto segni più generalizzati. Tra i settori bene quelli finanziari (banche/assicurazioni) ma anche i materials, sospinti dal persistere del buon trend delle materie prime. I comparti value confermano la loro supremazia nel 2022, riuscendo ad avere un ytd piatto di contro ad un 11,4% dello stile growth. Tra i temi di investimento, il rimbalzo di alcuni temi si è affievolito sul finire d’ottava, lasciando il podio ad auriferi e comparti legati alle materie prime (agribusiness).
MERCATO DELLE MATERIE PRIME
In ambito commodities, qualche novità sui segni dei diversi segmenti dell’asset class complessiva (invariata). Cedente, dopo molti punti di rialzo, l’energy (flessione del gas). Il petrolio resta invece sopra i 93$ al barile. Positivo sia il comparto dei metalli industriali, sia quello delle materie prime alimentari (caffè, mais, cacao). Bene anche l’oro (+2,8%), sopra i 1.850 Dollari l’oncia e rilanciato dalla nuova discesa dei tassi reali.
MERCATO OBBLIGAZIONARIO
Le dinamiche obbligazionarie di questo inizio 2022 restano improntate a una sequenza quasi impressionante di segni meno, tanto nello sviluppo dell’anno, quanto nella trasversalità dei segmenti coinvolti nella discesa. I segni meno dei governativi sono conseguenza diretta dell’inasprimento degli atteggiamenti di politica monetaria da parte delle banche centrali, un trend iniziato già nel 2021 (a giugno con i primi sussurri di tapering da parte della Federal Reserve) e poi oggetto di una accelerazione piuttosto violenta negli ultimi mesi. Ma è tutto l’ambiente obbligazionario a mostrare insofferenza in questo inizio del nuovo anno, coinvolgendo anche altre micro asset class che, invece, avevano beneficiato dal momentum economico positivo, come l’High Yield, e che invece ora faticano in egual modo. La spiegazione arriva da un nocivo binomio che si sta creando a livello intermarket: la ‘cattiva’ inflazione deve essere infatti combattuta con una politica monetaria meno accomodante, ma dall’altra parte la crescita che decelera, elemento che porta a temere che il landing possa non essere particolarmente ‘confortable’ per i mercati. Da qui l’univocità (in negativo) del comparto bond, in uno dei suoi inizi d’anno più complicati nella storia dei mercati.
Se nelle settimane precedenti erano state le dichiarazioni della BCE a non piacere particolarmente agli investitori, in quella appena trascorsa i riflettori sono tornati sulla sponda ovest dell’Atlantico. L’attenzione del mercato è stata infatti rivolta all’aggiornamento dei dati sui prezzi proveniente negli Stati Uniti: un +7,5% a gennaio ben sopra le stime degli analisti, con tutte le sotto voci in rialzo (dall’energia alle componenti alimentari). Inevitabile i riflessi sui mercati ma derivanti anche da parte di esponenti del FOMC, tra cui le dichiarazioni del presidente della Federal Reserve di St. Louis, James Bullard, che ha dichiarato di essere favorevole ad un rialzo dei tassi di interesse di 50 punti basi già nel prossimo meeting di marzo, arrivando ad un target di 100 punti base entro luglio. Una risposta energica contro l’inflazione che pone la banca centrale americana su ben altri toni rispetto a quelli visti nel 2021, dove prudenza e gradualità erano le parole d’ordine della presidenza Powell. Ed è proprio quest’ultimo a dover affrontare il problema dal punto di vista anche dall’angolatura politica, con la popolarità di Biden ai minimi a causa della perdita di potere d’acquisto dei consumatori.
Le dinamiche di mercato hanno portato il Treasury decennale americano a raggiungere la fatidica quota del 2% (top a 2,06%), fissando quindi nuovi massimi di periodo. Una tensione che non ha interessato solo la parte lunga della curva (il trentennale è al 2,30%) ma anche quella a breve, ormai scontando un’azione decisa della Fed. Incredibile l’aumento visto sul titolo governativo a 2 anni, con i valori ormai all’1,60% (raddoppiati da inizio anno), fatto che porta la pendenza della curva USA ad un ormai striminzito valore di 43 punti base. In rialzo anche il Bund tedesco ed il BTP italiano sulla medesima scadenza, rispettivamente a 0,30% e 1,95%. Per il titolo italiano l’amplificazione del movimento è evidente, con lo spread Germania-Italia in palese uptrend (165 basis point). Debole anche il corporate (sia sul segmento investment grade che su quello ad alto rendimento), dove continuano ad allargarsi gli spread di credito.
MERCATO DELLE VALUTE E LE CRYPTOS
In ambito forex, in discesa in area 1,13 il cross Euro-Dollaro USA, con la valuta americana in recupero dopo i dati relativi all’iinflazione. In rafforzamento una parte di valute emergenti, favorite in alcuni casi dal legame con le materie prime. Fase ancora positiva per le criptovalute, con il Bitcoin in progresso del 7% che sfiora area 44.000$.
Dott. Alessandro Pazzaglia, Consulente Finanziario Indipendente, iscritto all’Albo delibera. 1081 del 18/04/2019. Info mail [email protected]