Per circa tre mesi, con ogni media e a qualunque ora del giorno e della notte ci è stata ripetuta la frase:” State a casa”. A questo mantra è stato associato l’invito a lavarsi le mani, indossare la mascherina, sanificare i luoghi di lavoro e di vita, di stare lontani l’uno dall’altro, di mantenere le distanze di sicurezza, di non toccarsi.
Con il timore nel cuore di essere contagiati e col pensiero che l’altro possa essere un untore, stiamo ubbidendo a quest’ultima indicazione non abbracciandoci, non stringendoci la mano, non regalando all’altro nessuna carezza e nessun bacio, come dire: “Se mi ami non toccarmi, sta lontano da me”. Ci baciamo e abbracciamo virtualmente, festeggiamo virtualmente, ci amiamo virtualmente, inconsapevoli che per il nostro cervello nulla è virtuale ma che tutto è reale.
Stiamo modificando, e lo abbiamo già fatto, perfino il modo di aprire le porte, usando il braccio o il gomito, per toccare qualcosa, usando i guanti, per salutare qualcuno, usando i piedi o il gomito. Il contatto è vietato e non ci chiediamo quanto e in che modo l’assenza di questi gesti inciderà nella psiche dei bambini, dei ragazzi e degli stessi adulti.
Questi divieti comportamentali hanno pescato dalla mia memoria alcune nozioni che, qui di seguito, illustrerò brevemente.
Nel lontano 1945 il medico olandese Frans Veldman, che aveva vissuto la seconda guerra mondiale, aveva notato che il contatto affettivo poteva sostenere l’uomo nella sua capacità di divenire e rimanere umano.
Sulla base di queste osservazioni fonda la scienza che prende il nome di haptonomia, dal greco haptein, ‘contatto’ e nomos,” ‘intelligenza”, ovvero la scienza dell’affettività e delle relazioni emozionali umane, utile in tutte le fasi della vita dell’essere umano, dalla pre-nascita alla morte: per neonati, adulti, malati, anziani e persone morenti. Il Covid-19 ha messo in evidenza la brutalità dell’isolamento, del morire in solitudine, senza una carezza dei propri cari, senza il conforto di un abbraccio.
Il contatto fisico è in grado di restituire ad ogni persona ciò di cui ha bisogno: la percezione della propria integrità, la riconferma del valore, della dignità, dell’unicità di ciò che l’altro è. Poiché toccare significa riconoscere e incontrare non un corpo, ma una soggettività.
Parlando di tocco non si può fare a meno di ricordare che ogni centimetro quadrato di pelle possiede circa 130 recettori tattili, suddivisi in 5 tipi, che danno le seguenti sensazioni: freddo, caldo, tatto, variazione di pressione e dolore. Il tatto serve alla percezione cosciente sia del mondo esterno sia del proprio corpo, e partecipa, in modo generalmente inconscio, anche alla regolazione dei movimenti.
Lo psicoanalista viennese Renè Spitz condusse uno studio sui bambini abbandonati in orfanotrofio seguendo il metodo scientifico sperimentale. Nello scritto Hospitalism e nel filmato Grief a peril in infancy il ricercatore osservò 91 bambini abbandonati sin dalla nascita in orfanotrofio, nutriti regolarmente ma con scarsi contatti interpersonali.
Le balie davano qualche carezza ai primi della grande camerata in cui vivevano i bambini ma per gli ultimi il tempo era necessario solamente per il nutrimento e l’igiene.
Dopo 3 mesi di carenza di contatti i bimbi svilupparono una grave apatia, immobilismo, inespressività del volto, ritardo motorio e deterioramento della coordinazione oculare.
Entro la fine del secondo anno di vita, il 37% dei 91 bambini, pur essendo stati alimentati correttamente, morì. Chi riuscì a sopravvivere non fu in grado di parlare o di camminare, non erano in grado nemmeno di rimanere autonomamente seduti.
Oggi, chi più chi meno, il Covid-19 ci sta facendo vivere una condizione di disagio psicologico provocato dal fatto che tutto è incerto, incerta la vita, incerto il lavoro, precaria la salute. La scienza medica, i laboratori di ricerca, le case farmaceutiche, gli algoritmi non riescono a rispondere correttamente a questo disagio esistenziale mondiale.
Antonio Loperfido, psicologo e psicoterapeuta