Borse positive prima di Fed e Bce; Listini e Bond con il segno più, cali per petrolio e oro.

Situazione intermarket

I principali indici azionari internazionali rimangono molto vicini ai massimi di periodo, per ora senza particolari sbavature o movimenti che abbiano abbozzato qualche forma correttiva, se pur di breve termine. Le debolezze, infatti, continuano ad essere confinate alla singola seduta per poi essere recuperate rapidamente. Ancora forte la spinta ed il sostegno che arrivano, da un lato, dalla stagionalità favorevole (una chiusura d’anno forte abbellisce indubbiamente i saldi finali dell’anno), dall’altro dati macro (soprattutto lato inflazione) visti come accomodanti verso ciò a cui interessa di più agli investitori, ossia una economia in buona salute e, soprattutto, delle banche centrali che evitano di rovinare i sogni e i sonni con le loro politiche monetarie. Da queste ultime è arrivato un forse quasi insperato filotto di dichiarazioni che si potrebbero dire “aperturiste” verso un 2024 contraddistinto da un cambio di rotta nell’atteggiamento di Fed e BCE. Dall’una e dall’altra, infatti, si potrebbe concedere spazio all’ipotesi di vedere qualcosa di diverso nelle scelte del prossimo anno; dopotutto, le ultime dichiarazioni ufficiali “da meeting” sembrano invecchiate di fronte ad un sentiment che è concorde nel vedere l’inflazione meno pericolosa e una crescita non surriscaldata (una sorta di Eden finanziario). Difficile dire quanto sia un film costruito dagli operatori finanziari, quanto sia realmente nella mente delle banche centrali e soprattutto cosa poi succederà nei prossimi trimestri, ma, si sa, il sentiment di breve è fluido come l’acqua e basta poco per farlo svoltare. Lato bond la caduta dei rendimenti è continuata per buona parte della settimana, dopo aver prodotto quello che è stato un vero e proprio panic buying. Gli ultimissimi dati macro, quelli di venerdì, in realtà, hanno mostrato un mercato del lavoro ancora piuttosto tonico: il puzzle su come conciliare crescita e tassi rimane intricato.

La settimana macro ha visto lato Europa degli indici ISM migliori del previsto e che hanno supportato i movimenti dei listini. Più intricata la lettura del mercato del lavoro USA: se le nuove offerte di lavoro (Jolts) continuano nel loro raffreddamento, altri indicatori come sussidi, buste paga e tasso di disoccupazione hanno visto valori migliori delle attese, attestando ancora una caparbia resistenza. Al pari sono risultati sopra le attese i dati di produttività e di variazione degli stipendi, delineando un quadro non semplice per la Fed che la settimana prossima dovrà trovare una sintesi della situazione.

Mercati azionari

L’indice globale MSCI World chiude la settimana con rialzo contenuto (+0,2%), frutto di una composizione geografica variegata. Come per la settimana scorsa, infatti, il palmo di migliore area borsistica spetta ancora all’Europa che recupera ancora qualcosa verso Wall Street. Marginalmente positivi, infatti, i principali indici americani (S&P 500 +0,20%, Nasdaq +0,6%) che in realtà per qualche settimana hanno attraversato una fase di sonnecchiamento post pranzo dopo l’abbuffata di novembre (quasi +10%). Una sorta di consolidamento ma anche di forza, in attesa di uno storno che non è arrivato, evitato anche da una rotazione settoriale che ha avuto buon gioco di riportare denaro sui comparti meno di moda del listino. Per ora manca ancora un innesco per uno storno. In una medesima situazione tecnica L’Europa (+1,3%), è stata trainata in settimana da un Dax (+2,2%) in forma eccellente e su nuovi massimi assoluti grazie a settore auto e industriali. L’esame dell’andamento dei settori globali è invece un pò povero di spunti, con poche eccezioni in positivo (Comunication Services, i.e. Alphabet, (rilascio nuova piattaforma di A.I.) e in negativo (Energy, -3%).

Obbligazionario: banche centrali e tassi

Nella scorsa settimana il membro del FOMC Christopher Waller, annoverato dagli addetti ai lavori tra gli esponenti dell’ala più restrittiva della Federal Reserve, si era lasciato ‘scappare’ che se i dati di inflazione nei prossimi mesi dovessero continuare nel loro trend discendente, allora sarebbe appropriato per la banca centrale americana pensare ad una variazione della propria politica monetaria restrittiva. Miele per gli investitori che finalmente hanno avuto una sponda per dare manforte ad una view che già era in fase di costruzione. Si annota che da ormai due anni i mercati tendono a far finire la fase di tassi alti ben prima dei programmi immaginati e delineati dalla Federal Reserve. Allo stesso modo, nell’Eurozona, si è sentita la stessa musica: Isabel Schnabel, membro del consiglio direttivo della BCE e anch’essa esponente dell’ala rigorista, ha affermato che l’ultimo dato sull’inflazione ha reso piuttosto improbabile un ulteriore aumento dei tassi. Certo, sia lato Fed che lato BCE, tutte queste dichiarazioni sono sempre accompagnate dal rituale “è presto per scommettere su un taglio certo dei tassi di interesse, visto che più volte si è rimasti sorpresi e che è preferibile una buona dose di prudenza e cautela”. Ma al mercato è bastato avere questa carotina davanti per portarsi avanti col lavoro e prezzare già un più cospicuo programma di normalizzazione dei tassi di interesse. A maggio la Fed farebbe il primo taglio, per poi fare il bis a giugno, il tris a settembre e chiudere in bellezza l’anno con un poker entro novembre. Quattro (ma anche cinque se si scivola ad inizio 2025) per aggiustare una politica monetaria troppo restrittiva o per affrontare…un rallentamento?

Anche per la zona Euro si sconta ormai almeno 4 tagli dei tassi di interesse (inizio verso aprile). Non c’è dubbio che questo lifting sui rendimenti abbia di molto migliorato le performance obbligazionarie, non solo dei governativi ma anche del corporate, in nettissima ripresa nelle ultime settimane. L’alto rendimento invece si conferma come la migliore asset class bond del 2023, grazie al sostanziale buon andamento economico e dalla riduzione degli spread di credito.

Materie Prime

Produzione elevata e smussamento delle tensioni geopolitiche hanno portato il petrolio fino alla soglia dei 70$, con una parziale reazione finale che non ha però impedito un saldo negativo pesante (-3,9%). E ritorna in area 2.000 dopo i voli pindarici anche l’oro (-3%), su cui sono prevalse delle prese di beneficio e dove l’entusiasmo per i tagli Fed si è un po’ raffreddato sul finale di settimana.

Mercato delle valute e cryptos

Per quanto riguarda il mercato dei cambi, riprende forza il cross EUR-USD che torna sotto 1,08 (-1%), anch’esso sensibile alle dinamiche dei dati macroeconomici. Una economia americana in salute difficilmente può portare a grandi scivoloni per la valuta USA. Bel recupero anche per lo Yen (cross -2,3%): il mercato stima con maggiore probabilità qualche intervento della BOJ dopo che il governatore Ueda ha messo, tra le opzioni dei prossimi mesi, anche la fine dell’era dei tassi a zero, in base alle condizioni economiche.

Dott. Alessandro Pazzaglia, consulente finanziario indipendente, www.pazzagliapartners.it




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