Mercati poco mossi; Borse e tassi misti, inflazione USA in discesa

MERCATO AZIONARIO

Mercati poco mossi, Borse e tassi misti, inflazione USA in discesa

I mercati, in questo momento, lasciano qualche sensazione ambivalente in chi li segue: da un lato, ci sono molti singoli fatti quotidiani che provocano mini-movimenti di breve, dall’altro leggendo i dati di settimana in settimana sembra che le variazioni siano di fatto più limitate, non facendo quindi mutare il quadro generale. E questo per quanto riguarda sia l’azionario che l’obbligazionario, facendo intuire che questa fase di temporeggiamento riflette un certo bilanciamento tra tesi opposte sulle diverse variabili analizzate, ossia crescita economica e dati macro, banche centrali e tassi, utili aziendali. Anche tra i commentatori/analisti ci sono parecchie view diverse, anche se la bilancia sembra pendere verso tesi più negative che positive per il prossimo futuro. A preoccupare maggiormente è sempre l’effetto che il rialzo dei tassi di interesse può provocare sul tessuto economico, sia in termini di crescita ma anche, nei meccanismi del sistema bancario, anche nel tema delicato della concessione del credito da parte degli istituti bancari (fino ad un possibile ‘credit crunch’).

Il fatto che l’economia abbia in qualche modo sorpreso in positivo negli ultimi trimestri (procrastinando l’inizio di una recessione di cui si parlava già a luglio 2022) ha come effetto di avere un’inflazione, che scende più lentamente di quanto vorrebbero le banche centrali per poter invertire la rotta sui tassi. Ci si chiede quindi può la resistenza economica essere sufficiente a garantire entrambi gli obiettivi? Ossia  riduzione dell’inflazione in tempi ragionevoli ma al contempo un assorbimento graduale degli effetti della politica monetaria restrittiva. I mercati stanno attendendo e la settimana appena conclusa l’ha confermato con borse altalenanti e con saldi variegati, bond sostanzialmente fermi, stazionarietà dell’oro e debolezza invece delle altre materie prime.

Anche sul piano macroeconomico i dati sono di stabilizzazione. La settimana ha visto focalizzare l’attenzione sul dato di inflazione USA: inflazione mensile di aprile a +0,4% (come le attese) e tendenziale annuo al 4,9% (vs 5% attese). Valori quindi neutri o positivi che conferma la discesa attesa della tendenza dei prezzi con, finalmente, anche una moderazione sul fronte affitti.

Permangono sullo sfondo alcune preoccupazioni di breve termine, ossia il decorso della crisi delle banche regionali americane (dove si annota ancora qualche difficoltà e una situazione non perfettamente blindata) e la discussione ciclica sul rinnovo del limite del debito pubblico americano, dove si contano i giorni per trovare un accordo in Parlamento. Tensione, quest’ultima, che viene ovviamente prezzata su cui le varie parti dovranno necessariamente trovare un punto d’incontro salvo sviluppi imprevedibili. Nonostante questo, l’indice S&P 500, tra alti e bassi (range 4.100-4.150) chiude l’ottava praticamente invariato (-0,2%), di nuovo esprimendo una tendenza al consolidamento e rinviando una maggiore direzionalità. Meglio ha fatto il Nasdaq (+0,7%) che si avvantaggia sia del buon trend dei giganti tech (ha brillato Alphabet in settimana) sia del tono dimesso dei rendimenti.

MERCATO OBBLIGAZIONARIO

In tema di obbligazionario, la settimana ha visto variazioni minimale rispetto a venerdì scorso, con pochi basis point di differenza rispetto a sette giorni fa. Le attese di politica monetaria non vedono ormai nessun’altro taglio, dando ormai per scontato che la Fed ha concluso il suo percorso di inasprimento durato poco più di un anno. In sostanza, nonostante non sia ufficiale da parte dell’interessata e che la stessa abbia detto di essere ‘data-dependent’, i mercati ritengono che ora si apra una fase diversa, dove a settembre il costo del denaro potrebbe scendere di uno 0,25% per poi bissare a novembre e dicembre. Attese forse ottimistiche che supportano, in termini intermarket, il ritorno di forza relativa su settori azionari a lunga ‘duration’ come i tech e che, sul fronte obbligazionario, impongono di tener monitorato lo sviluppo dei dati di inflazione. Vero che la Fed ha raggiunto il 5% espresso dal CPI ma è altrettanto vero che la stessa banca centrale americana impone un cuscinetto di almeno un paio di punti per stare tranquilla. Powell non vuole certamente essere ricordato come il governatore che ha tentato di domare la bestia inflattiva senza riuscirci, ergo meglio (forse) rischiare un over-tightening piuttosto di ritrovarsi a fare di nuovo retrofront nel 2024, anno elettorale per gli Stati Uniti. Per la BCE i rialzi attesi sono ancora due, tali da portare quindi il costo del denaro tra il 4-4,25% prima di uno stop.

In termini di rendimenti non vi sono stati come detto movimenti di rilievo: il decennale resta sostanzialmente nell’intorno del 3,30%-3,50%, un’area da cui non riesce con facilità a muoversi e che sembra essere un punto di equilibrio tra attese di moderazione della crescita e declino graduale delle pressioni inflazionistiche. Area 3,60%-3,70% ha per ora opposto resistenza, impendendo una risalita dei tassi. Stabili invece i tassi a breve US (<4%). Nella zona Euro il Bund decennale è rimasto a quota 2,20%-2,30%, il BTP stessa scadenza in area 4,10%-4,30%, in analogia con quanto visto nell’area Dollaro. Il risultato è una performance mista per i governativi e per i corporate investment grade mentre l’High Yield zona Euro è risalito, con spread di credito ancora stabili.

MATERIE PRIME

In ambito materie prime, paniere ancora debole (-1,7%), tratto in ribasso questa volta non dall’Energy (che dopo gli scivoloni rimane piatto grazie al gas, mentre il petrolio si attesta appena sopra i 70$) ma dai metalli industriali, pesanti nei segni meno soprattutto con Nickel (-9%), Zinco (-5%) e Rame (-4%): si paga il prezzo di una ripresa cinese meno solida delle aspettative ma il tutto è in realtà una continuazione di un trend che vede un allineamento intermarket verso un trend economico in decelerazione. Oro stabile appena sopra i 2.000 $.

MERCATO DELLA VALUTE E CRYPTOS

Sorprese invece dal cambio Euro-Dollaro, che scivola sotto 1,09 e interrompe il trend positivo iniziato a marze da quota 1,05): a dare manforte alcune dichiarazioni di membri Fed che mantengono la barra dritta sui tassi. Bitcoin in tono rialzista ma respinto dal livello 30.000 dollari, livello che sta opponendo resistenza sul breve.

Dott. Alessandro Pazzaglia, consulente finanziario indipendente




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