Pregiudizi, barriere e vantaggi degustazione a occhi bendati

PORDENONE – Si è tenuta nei giorni scorsi, nella sede ONAV della Sezione di Pordenone a Rauscedo, la serata di degustazione “in assenza di luce”, in collaborazione con l’Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti di Pordenone.

I partecipanti hanno potuto esercitarsi nella tecnica di degustazione dei vini messi a disposizione dalla Cantina Rauscedo, sia ad occhi bendati che ad occhi scoperti, concentrandosi sull’esercizio dei propri organi di senso ed i loro responsi. Una serata , dunque, in cui il vino non è stato il protagonista principale, ma oggetto di indagine da parte degli organi che, privati del supporto della vista, hanno richiesto uno sforzo maggiore in termini di concentrazione, analisi e allenamento.

È stata certamente un’esperienza suggestiva e particolare a detta dei partecipanti che, soddisfatti della serata, hanno avuto modo di riflettere sulla temporanea sensazione di disagio nell’ambito di una degustazione “alla cieca”.

Rinunciare all’utilizzo della vista durante la degustazione non consente di cogliere le prime informazioni che il vino suggerisce. Ad occhi bendati mancano appigli sicuri quali ad esempio il colore, le sfumature, la consistenza del vino, tutti elementi sui quali il degustatore cerca conferme durante le successive fasi della degustazione.

Basti pensare ad un calice di Barolo dal colore rosso rubino compatto: o non si tratta di Barolo oppure il vino è decisamente giovane probabilmente tanto da non essere ancora “divenuto” Barolo. Il fatto di non poter vedere il contenuto del calice rende indubbiamente più difficoltosa la degustazione ma elimina, per contro, molti dei condizionamenti e pregiudizi cui la vista può indurre.

Rinunciare alla vista significa limitate le distrazioni provenienti dagli elementi esterni come persone, etichette, vecchie annate, ecc.; ma soprattutto vuol dire instaurare un rapporto “intimo” con il proprio calice di vino. Una sfera unica che abbraccia e avvolge il degustatore ed il suo calice, nel quale l’uno si concede all’altro; nel quale gli organi di senso sono dedicati al “nettare degli dei” e, nel contempo, concentrati nell’attesa del proprio responso.

Ecco quindi che “assenza di luce” sembra essere la migliore esperienza per comprendere come il buio possa essere anche amico; che nel buio non è dato necessariamente perdersi; ma nel buio si riacquista quel legame sopito da tempo tra l’individuo ed i propri sensi, nel buio vengono meno le interferenze dall’esterno, le distrazioni. Il buio non è quindi sinonimo di negatività, nel buio si consolidano gli affetti, nel buio nasce l’amore, nel buio si ascolta piacevolmente la musica.

Durante la serata sono stati determinanti gli interventi della Presidente dell’UICI Daniela Floriduz che ha richiamato l’attenzione dei partecipanti sugli aspetti sinestetici di una degustazione così svolta. Vedere voci, far venire l’acquolina in bocca, sono alcune espressioni fra le tante che evidenziano come i sensi possano influenzarsi vicendevolmente, arricchendo la capacità sensoriale dell’individuo fino a diventarne stimolo fisico.

Straordinaria e toccante la descrizione dei colori da parte di Daniela. La loro descrizione è sinestesia allo stato puro e i due colori più vicini al mondo del vino sono stati da lei così narrati:

“Giallo: distese infinite, lunghissime da percorrere in macchina, di girasoli, di spighe mature, di tulipani. Ma è anche il colore della malattia, più ancora che il pallore. Per questo non mi piace, non ne parlo volentieri, lo associo ad un suono assordante

Rosso: colore barocco, carico di fronzoli e decorazioni, elegantissimo. Ha il sapore e la consistenza pomposa delle caramelle Rossana. Ma è anche il colore dolciastro del sangue, sapore aspro di rivoluzioni e barricate. Anch’io come lo studioso cieco citato da Locke, lo associo al suono scarlatto della tromba.”

Antonio Lodedo

 




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