Wall Street inciampa sui chip, Bce aumenta i tassi e ora tocca alla Fed, tech deboli

MERCATO AZIONARIO

Il mese di settembre, spesso visto dagli investitori come ‘volatile’, ha attraverso la prima di due settimane particolarmente densa di avvenimenti. Dato dell’inflazione americana e riunione della Banca Centrale Europea gli snodi chiave di una settimana che era stata anticipata da un inizio mese incerta per le borse, con gli investitori un po’ a premunirsi contro picchi improvvisi di volatilità o dati/eventi poco graditi. La forca caudina dell’inflazione è stata tutto sommato assorbita dalle borse, con qualche tentennamento perché si sono avuti dati leggermente sopra le attese, con i prezzi in aumento soprattutto a causa della variabile energetica, tornata di recente alla ribalta. Positivo invece il riscontro arrivato dopo la riunione della BCE, nonostante il rialzo del costo del denaro deciso da Lagarde, visto che ci si è maggiormente concentrati sul comunicato di accompagnamento alla decisione, in cui la BCE ritiene che l’attuale livello possa già agire da calmieratore dell’inflazione. In soldoni, potrebbe essere questo intervento l’ultimo di questa stagione, anche se la BCE lascia comunque la porta aperta. È bastato comunque a far respirare i listini che per un recupero, solo parziale però perché Wall Street ha piegato sul finale, appesantita dal declino dei tech, per i quali i ritardi di produzione da parte di TSMC (semiconduttori) ha pesato sul comparto. Il saldo complessivo per l’indice MSCI World di poco positivo (+0,5%), anche se con sfumature diverse per le diverse aree geografiche e un premio maggiore per i listini europei e giapponesi.

Wall Street soffre infatti per la seconda settimana successiva il confronto con le altre borse: S&P e Nasdaq chiudono l’ottava poco variati (rispettivamente -0,1% e -0,5%) pagando dazio alla maggiore difensitività dell’Eurozona (+1,4%) e soprattutto del Giappone (+2,8%). Il recupero dei listini europei appare ancora come una sorta di correzione temporanea nei rapporti di forza, visto che Wall Street aveva marciato con lena decisamente maggiore nei mesi precedenti, grazie all’apporto della componente tech. Due elementi da rimarcare per gli indici USA: la sensibilità ai tassi di interesse a causa dei multipli più elevati dei propri listini ed il peso che ha, nel bene e nel male, la catena di valore dei semiconduttori. Per questo, se TSMC ritarda la consegna di componenti per la produzione (per controllo sui costi e incertezze sulla domanda) ne risentono tutti, da chi produce le macchine per fare i chip fino a chi li utilizza per i propri devices. La dinamica di breve per Wall Street resta abbastanza delineata: sul breve il temporaggiamento degli indici in una sorta di zona mediana 4.400-4.500 è la conferma che occorre smarcarsi dagli elementi di breve per ritrovare direzionalità. Lo sviluppo tecnico sarà probabilmente più chiaro verso fine settembre, con maggiore visibilità su tutte le variabili in gioco. Vero che inflazione e banche centrali sono importanti, ma anche quelle legate alla crescita e agli utili aziendali hanno un peso altrettanto importante. Dal punto di vista dei livelli tecnici, il principale indice USA mantiene una impostazione rialzista nel trend di medio periodo. Da vedere se, nel breve, sarà necessario testare livelli inferiori (minimi di agosto a 4.350 e i valenti supporti a 4.200) per ritrovare compratori convinti.

I dati macro della settimana hanno visto l’inflazione USA attestarti al 3,7% annuo e allo 0,3% mensile, valori entrambi superiori di uno 0,10% a quelli attesi e sospinti dal recupero del prezzo dell’energia. Dati accompagnati da un incremento dei prezzi alla produzione che con il +0,7% delineano una fase di recrudescenza dei valori inflattivi. Questo accompagnato da un altro elemento che si conferma, ossia il buon andamento dell’economia USA: le vendite al dettaglio sono state toniche così come i sussidi di disoccupazione, usciti al di sotto delle attese. Mercato del lavoro ed economia appaiono per ora lontane da ipotesi recessive.

MERCATO OBBLIGAZIONARIO

La riunione della BCE ha portato volatilità sui rendimenti obbligazionari e non poteva che essere così visto che fino a qualche giorno fa l’ipotesi di un rialzo dei tassi era prezzata intorno al 50%, segnale che anche in seno alla BCE la decisione non fosse del tutto condivisa a pieno. È comprensibile: Francoforte decide di rialzare i tassi con un’economia che nelle ultime rilevazioni ha perso un po’ di smalto rispetto ad inizio anno ma al contempo si ritrova ancora con un’inflazione in moderazione ma ancora al di sopra del target desiderato. La decisione della BCE poteva essere di due tipi: mantenere i tassi fermi ma farsi vedere ‘hawkish’ in via prospettiva oppure alzarli di uno 0,25% ma dando una sferzata più accomodante per le prossime riunioni. È stata scelta la seconda strada tanto che i rendimenti nella giornata di giovedì hanno intrapreso la via del ribasso, mettendo l’enfasi proprio su un posizionamento meno restrittivo e, probabilmente, anche sugli effetti indotti sulla crescita futura. In realtà, questa è solo un lato della medaglia: il recente rialzo dei rendimenti sulla parte medio lunga della curva è legato a due elementi più strutturali, ossia un target di inflazione che potrebbe essere più alto rispetto al 2% attuale e un pricing del rischio degli stati più alto rispetto al passato, soprattutto per le politiche di bilancio particolarmente allegre degli ultimi anni.

L’andamento dei rendimenti decennali tra alti e bassi ha visto un andamento finale al rialzo, nonostante l’inframezzo post BCE. Negli USA il Treasury decennale si è attestato sopra al 4,30% mentre il titolo trentennale sopra al 4,40% e confermano i loro trend rialzisti. A spingere verso l’alto, ma questo è un elemento a connotazione più americana che globale, è anche la resilienza in ambito economico, dopo i dati relative a vendita e mercato del lavoro. La piccola sorpresa della BCE, secondo le ipotesi di mercato, non dovrebbe essere emulata dalla FED: le probabilità di un intervento al rialzo è praticamente nulla mentre un ritocco nei mesi successivi è al 40%. Powell è più avanti col lavoro e ha un margine sull’inflazione maggiore rispetto a Lagarde, per ora, quindi, può attendere e vedere come evolve la situazione. Eventuali correzioni di rotta se l’inflazione non si modera ‘da sola’ sono sempre possibili e questo è stato rimarcato qualche settimana fa a Jackson Hole. I mercati restano attenti alle decisioni ma sanno che l’ambiente economico dovrà convivere con tassi alti più a lungo se la Fed non vedrà i numeri che vuole (inclusa l’inflazione salariale di cui si parla meno).

MERCATO DELLE MATERIE PRIME

Dopo il temporaneo stop della settimana scorsa tornano a marciare con forza le commodities, con il paniere se mette a segno un +1,3% sospinto ancora dalla forza del greggio (WTI +3,7% oltre 90$), accompagnato dai rialzi anche dei suoi derivati. Positivi anche i metalli industriali e le soft commodities (caffè). Stabile l’oro in area 1.920$ (+0,3%). I rialzi delle commodities energetiche sono legati alla domanda record a livello globale, alla scarsità delle riserve e ai tagli alla produzione.

MERCATO DELLE VALUTE E CRYPTOS

Cede anche quota 1,07 (close a 1,066 ma minimi anche inferiori) sul cross Euro Dollaro e l’uptrend nato ad ottobre scorso risulta ormai compromesso e trasformato probabilmente in un range laterale (1,05-1,10) dove il mercato legge i rapporti di forza tra Euro e Dollaro più in equilibrio. La valuta europea dopo il meeting BCE è comunque apparsa debole verso tutti i cambi. Piccola reazione del Bitcoin che cerca la riscossa e torna sopra quota 26.000$ (il supporto a 25.000 sembra reggere).

Dott. Alessandro Pazzaglia, consulente finanziario indipendente, www.pazzagliapartners.it




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