FVG – L’importante donazione costituita di 64 tra disegni e dipinti di Renzo Tubaro (1925-2002) che Sandra, Clara e Stefano Tubaro, figli del maestro, hanno voluto effettuare a favore della Fondazione Friuli rappresenta senza dubbio un’operazione di alto profilo culturale, che permette di accrescere una collezione pubblica di un fondamentale nucleo di opere a testimonianza di un percorso professionale – quello di un artista dedito alla pittura con pervicace e amorevole impegno – sviluppato in tutte le sue tappe.
Il senso di questa acquisizione risiede infatti, prima ancora che in un dovuto processo di valorizzazione e promozione, nella documentazione dell’infaticabile lavoro di un pittore che per oltre sessant’anni non smise mai di rivolgere il suo sguardo incantato alla realtà delle piccole cose che lo circondava e di cui seppe farsi attento cantore.
Renzo Tubaro appartiene a quella generazione di artisti friulani, nata tra le due guerre e cresciuta a stretto contatto con l’ambiente locale, che individuò presto i suoi punti di riferimento tra le lagune, all’Istituto d’Arte e in seguito all’Accademia di Belle Arti di Venezia.
Come molti dei suoi coetanei, allo studio e all’esempio dei suoi docenti, associò presto l’interesse per la pittura di luce e colore della tradizione veneta che rimase sempre il sostrato fondamentale dei suoi lavori. Un soggiorno a Roma, dove conobbe Ferruccio Ferrazzi ed ebbe modo di cimentarsi nella tecnica dell’affresco, e l’amicizia di lunga data con Felice Carena completarono la sua formazione artistica in ambito pittorico.
Bastano questi pochi richiami per inquadrare gli esordi compiuti dall’artista nel corso degli anni Quaranta dove si collocano i primi ritratti che vivono delle preziose e raffinate tessiture cromatiche di ascendenza careniana e il colore si stempera sul supporto rivelando la sua intrinseca luminosità.
Sono i giovani amici e i parenti più stretti a sollecitare l’attenzione di Tubaro in quegli anni di affermazione di sé, alla ricerca di una maturità espressiva di là da venire e che troverà modo di esplicitarsi sempre più nel confronto diretto con una realtà decantata e trasfigurata dal forte senso estetico che gli è intimamente proprio.
Si tratta di un filtro di cui il pittore si serve per isolare frammenti del mondo intorno a lui e che, soprattutto negli anni Cinquanta, egli estrapola dalla quotidianità, componendo e ricomponendo, con sapiente sintesi formale e volumetrica, immagini di rara forza evocatrice.
È il tempo degli animali ripresi al mercato o nella stalla, degli operai raffigurati al lavoro e dei muratori indaffarati in cantiere. Ma è soprattutto il tempo delle nature morte, costruite di pochi e semplici oggetti che la luce esalta e accomuna in una sinfonia di tono su tono.
Renzo Tubaro passa indenne attraverso i richiami seducenti del neorealismo che anche nella provincia friulana ebbe i suoi rappresentanti e i suoi strenui sostenitori.
I movimenti delle neoavanguardie e le sirene dell’Informale lo lasciano del tutto indifferente: lui continua a concentrarsi sulla profonda esteticità del vero, sulla bellezza della forma che si rivela nel colore e nella luce. E proprio quando intorno a lui, negli anni Settanta, la pittura tende ad assumere un carattere sempre più concettuale e analitico, egli dà forma a opere che tornano a riservare uno spazio privilegiato alla figura umana, portatrice dei valori di un piccolo mondo antico dove gli affetti e i sentimenti rimangono dominanti e le immagini possono farsi portatrici del loro messaggio.
Nascono allora le raffigurazioni di una maternità replicata infinite volte nell’abbraccio tra la madre e il proprio figlio a richiamare significati sacri e arcaici, che nella semplicità dei gesti racchiudono la potenza icastica del loro proporsi.
Accanto a queste raffigurazioni, Tubaro continua la sua personale interpretazione della realtà quotidiana nella natura morta, rinserrata nelle curve sinuose di una brocca, nella irregolare sfericità di un frutto, nelle concrezioni materiche di una conchiglia. In queste composizioni, la costruzione delle masse rimane affidata al solo colore che, deposto sul supporto in leggere pennellate, vibra nella luce e così facendo individua i volumi.
A corollario di questa sfilata di immagini, si pongono inoltre i numerosi fogli tracciati a matita, a penna, a sanguigna, talvolta acquerellati, più spesso rifiniti a tempera: centinaia di appunti visivi che Tubaro ha voluto conservare a ricordo di un istante in cui la sua attenzione è stata attratta da una scena, un volto, una figura. I disegni rappresentano una parte importante del lavoro del pittore che li utilizza a volte quali studi per realizzazioni successive, ma più spesso attribuisce loro il valore di opere autonome, affidate all’esercizio di tecniche diverse.
La cospicua donazione di cui la Fondazione Friuli è stata fatta oggetto rappresenta una summa particolarmente rappresentativa di questa variegata produzione grafica e pittorica e copre quasi tutto l’arco della carriera artistica di Tubaro.
È confortante sapere che da oggi questi dipinti e questi disegni sono stati sottratti al fluire lento del tempo cessando di essere parte di quel processo di oblio a cui sono destinate spesso le testimonianze degli uomini.
Essi troveranno ora una nuova collocazione che ne consentirà la fruizione ad un pubblico sempre più ampio e con essa una valorizzazione dell’opera di un artista che merita tutta la nostra attenzione e quella di chi verrà dopo di noi.
Vania Gransinigh