Ue e Pnrr, fari sul “Sistema Duale” per politica sociale e occupazionale di successo

FVG – Secondo i dati Istat di febbraio 2021 i giovani sono stati tra le categorie più colpite dalle ricadute sociali ed economiche causate dalla pandemia da Coronavirus. I danni provocati da un punto di vista psicologico non sono gli unici ad aver messo in crisi la gioventù del nostro Paese. Da un lato c’è stata una diminuzione del tasso di occupazione di 14,7 punti percentuali, rispetto al febbraio precedente, nella fascia d’età compresa tra i 15 e i 25 anni, i quali hanno perso complessivamente 258 mila posti di lavoro su di un totale di 945 mila. Dall’altro l’effetto Covid ha fortemente inciso sia sulla percentuale dei giovani che non lavorano sia su quelli che non si sono iscritti a nessun corso di studio siano essi tradizionali o di formazione professionale (Not in Education, Employment or Training – NEET). Secondo Eurostat, nella fascia di età tra 20-34 anni, l’Italia è il Paese con il più alto numero di NEET dell’Unione europea con il 27,8 per cento contro una media Ue del 16,4. Dati che fanno emergere in negativo la situazione italiana a confronto con altri paesi europei.

Ma non è tutta colpa del Covid. Lo sviluppo della società, negli ultimi decenni, se da un lato ha visto crescere le opportunità di accedere all’informazione e al sapere, dall’altro ha creato le condizioni in cui l’ambito occupazionale richiede un continuo e flessibile adattamento a nuove competenze all’interno di una stessa professione. Uno dei fenomeni che si sta riscontrando nei casi in cui si mantenga una posizione statica rispetto ad una dinamica è che si possa verificare processo di emarginazione ed esclusione. Da un modello industriale incentrato su di un fattore di crescita quantitativa, basato sul volume della produzione ed un’impostazione lineare del lavoro, stiamo vivendo nell’era dell’economia post-industriale, in cui è posta grande attenzione alle capacità trasversali del “capitale umano”, passando così da una concezione quantitativa ad una qualitativa interattiva e partecipativa.

A questo proposito sia la Commissione Europea sia il PNNR si sono posti come obiettivo il miglioramento della qualità dei sistemi d’istruzione e formazione, come strumento privilegiato di coesione sociale e culturale che, da un punto di vista economico, siano in grado di rendere l’Europa competitiva nell’ambito dei mercati mondiali. Tra gli strumenti considerati appropriati e sui quali entrambi hanno puntato, per ovviare agli alti tassi di disoccupazione giovanile nel medio-lungo periodo, è il “Sistema Duale”, ossia il metodo di alternanza scuola -lavoro. Modello formativo mutuato dalla Germania e già applicato da anni con successo nei Paesi del Nord Europa.

Il Pnrr interviene in materia di apprendistato e sistema duale nell’ambito della Mission 5 “Inclusione e coesione” che, per un totale di 19,81 mld, comprende tre “componenti”: politiche per il lavoro (6,66); infrastrutture sociali, famiglie, comunità e terzo settore (11,17); interventi speciali per la coesione territoriale (1,98). In particolare, la misura di «rafforzamento del “Sistema duale” e dell’istituto dell’apprendistato» appartiene alla componente M5C1 – Politiche per il lavoro, con speciale riferimento all’obiettivo generale di promuovere l’acquisizione di nuove competenze da parte delle nuove generazioni, in modo da favorire il matching tra il sistema di istruzione e formazione e il mercato del lavoro.

In Italia il sistema ha preso corpo con l’Accordo Stato-Regioni del 24 settembre 2015, creando le condizioni per una più fluida ed efficace transizione tra il sistema di formazione professionale e il mondo del lavoro, periodo in cui ha preso forma il progetto sperimentale “Azioni di accompagnamento, sviluppo e rafforzamento del sistema duale nell’ambito del sistema di istruzione e formazione professionale (IeFP)”.

Il principale valore aggiunto di questa sperimentazione è sia di aver consentito alla maggior parte dei ragazzi che hanno scelto questo percorso di acquisire competenze coeve all’attuale mercato del lavoro, sia di aver sviluppato esperienze trasversali che vengono sempre di più considerate dai datori di lavoro come vero plus per l’inserimento in ambito lavorativo perché già in grado di integrarsi in un contesto aziendale.

Per il soggetto ospitante è sicuramente vantaggioso perché, in seguito alla stipula della convenzione con un centro professionale, può supportare la progettazione dell’esperienza formativa degli allievi in base alle reali attività che potrebbero svolgere all’interno della propria struttura. Viceversa, il centro di formazione può provvedere a valorizzare tali attività, correlandole agli obiettivi formativi del percorso. Gli Istituti di Formazione Professionale sono definiti nell’ambito della Commissione Europea come “ecosistemi di competenze“, in quanto in grado di contribuire allo sviluppo regionale, economico e sociale, ed innovativo sia del proprio territorio sia di quello nazionale, attraverso una formazione che punta sulla vocazione professionale.

In Friuli-Venezia Giulia questo tipo di formazione è portata avanti da 13 Istituti di Formazione Professionale che confluiscono in un unico contenitore regionale: Effepi. L’obiettivo non è solo quello di fornire agli studenti e ai lavoratori le competenze e l’esperienza pratica necessarie per un lavoro specifico, ma di lavorare anche sulle attitudini e la vocazione di ogni singolo individuo, affinché sia in grado di legare lo sviluppo di una carriera ad uno specifico mestiere.

“Il sistema duale non è, infatti, un intervento specifico, quanto un approccio generale verso le politiche di transizione tra scuola e lavoro, che mira a consentire ai giovani, ancora inseriti nel percorso di diritto/dovere all’istruzione e formazione, di orientarsi nel mercato del lavoro, acquisire competenze spendibili e accorciare i tempi del passaggio tra scuola ed
esperienza professionale. Tre, in particolare, gli strumenti introdotti o sottoposti a profonda revisione dalla nuova normativa: l’alternanza scuola-lavoro nell’ambito del secondo ciclo di istruzione, resa obbligatoria in ogni tipo di istituto; l’impresa formativa simulata che consente di sperimentare modalità didattiche strettamente legate al funzionamento aziendale e implica il rapporto con un’impresa partner; l’apprendistato. Il contratto di apprendistato diventa, in questo quadro, la forma privilegiata di inserimento dei giovani nel mercato del lavoro poiché consente, da un lato, il conseguimento di un titolo di studio e, dall’altro, l’esperienza professionale diretta” (Il Sole 24 Ore -Job Acts).

I percorsi di alternanza possono essere intrapresi su richiesta degli studenti del secondo ciclo, di età compresa tra i 15 e i 18 anni, e sono organizzati sulla base di convenzioni tra l’istituzione scolastica o formativa e il soggetto ospitante (Imprese; Associazioni di rappresentanza; Camere di commercio; enti pubblici e privati anche del terzo settore). Si tratta di percorsi dotati di una struttura flessibile che si articolano in periodi di formazione in aula e periodi di apprendimento mediante esperienze di lavoro progettate e attuate dalle istituzioni scolastiche e formative.

Molto spesso viene sottovalutato l’aggettivo “professionale” che connota questo tipo di istituti. Esso indica la specifica volontà di formare persone che siano in grado di agire nel lavoro in modo responsabile e appassionante, termine molto distante da una concezione sorpassata e stigmatizzata come quella di “professione”. Questo è sicuramento dovuto ad un preconcetto che risale al passato in cui l’istruzione professionale era quella che forniva alle imprese la cosiddetta “forza lavoro”. È fondamentale notare che oggi non si parla più di “forza lavoro” ma di “capitale umano”, un cambio linguistico che evidenzia un’importante svolta nel ruolo del lavoratore all’interno della società contemporanea evidenziando così la centralità dell’individuo e di ciò che lo distingue dagli altri.

Ciò che meglio accompagna questa nuova definizione non è più solo il termine “tecnico” ma anche “professionale”, nell’accezione di colui che mette in campo capacità che siano in grado di adattarsi in un complesso sistema di relazioni e dinamiche. Questo presuppone anche l’attitudine ad assumersi delle responsabilità ed apportare all’interno del processo una propensione alla risoluzione dei problemi. In questo senso l’opportunità di avere la possibilità di alternare lo studio ad un contesto reale, permette di sviluppare in tempi più rapidi il pragmatismo necessario a perseguire uno scopo definito, e di apprendere dall’esperienza in campo l’abilità di trovare soluzioni creative ai problemi che si impongono costantemente nei luoghi di lavoro. Da qui emerge uno degli obiettivi principali di queste scuole, ossia trasmettere dei saperi che siano funzionali ad affrontare in modo maturo una realtà produttiva in continua evoluzione.

Non meno trascurabile è il concetto di porre il giovane in una posizione attiva stimolando l’interesse non solo dello studente ma anche dell’insegnante coinvolto nell’accompagnamento e nel sostegno dello stesso, sollecitando entrambi alla riflessione e all’acquisizione di un linguaggio pertinente e solido. Un progetto formativo che va ben oltre al mero inserimento nel mondo del lavoro, perché attraverso questa costante rimodulazione dell’insegnamento calato nel reale e dell’orientamento da parte del tutor, abbraccia una sfera più ampia che riguarda tutto l’arco del sapere necessario in determinato contesto lavorativo e personalizzato sull’identità di ogni studente (Sistema Duale).

Perché ancora ad oggi l’istruzione professionale spesso non è vista di buon occhio né dai giovani né dai loro genitori?

Perché erroneamente molte persone la vedono ancora come l’ultima scelta nel caso in cui un giovane non sia particolarmente brillanti negli studi, e quindi lo considerano ancora come un ripiego e non una scelta ottimale. Esattamente come il termine “professionale” anche questo atteggiamento risale ad un preconcetto storico. Effettivamente negli anni ‘50 l’istruzione professionale era stata concepita come sottosistema dell’istruzione tecnica destinata sia agli allievi senza troppe possibilità economiche, sia a quelli scolasticamente più deboli. Tuttavia, nel tempo, questi Istituti si sono evoluti allineandosi sempre di più e con grande capacità di adattamento ad una società che ha spinto il piede sull’acceleratore rispetto al mondo del lavoro, valorizzandone la cultura attraverso una metodologia di apprendimento attiva, coinvolgente e centrata su compiti e problemi da risolvere.

[l.f]

(Fonti Pnrr aggiornato, www.cnos-fap.it, Il Sole 24 Ore)




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