CRONACHE DALLA POLTRONA “Cocoricó Tapes” Coccooo, cocco beloo…!

Proseguono le serate di avvicinamento al Pordenone Docs Fest che si terrà dal 10 al 14 aprile a Cinemazero.

Abbiamo incontrato, introdotto da Riccardo Costantini, Francesco Tavella pordenonese classe 1981 autore di “Cocoricò Tapes” alla sua opera prima che ha fatto quasi sold out in tutte e due le salette Pasolini e Totò di Cinemazero. Costantini presentando il film ci ricordato che quel cantiere che si vede davanti all’Aula Magna, sede di Cinemazero diventerà presto una struttura in vetro-metallo che ospiterà una sala auditorium per eventi con una caffetteria e altri spazi che andranno ad ampliare l’offerta per la cittadinanza.

“Andiamo al Cocco stasera?”. Cocoricò ovvero “Cocco” era il nome simpatico e confidenziale con cui i frequentatori abituali del Cocoricò (noi..) appellavamo questo locale notturno famosissimo di Riccione.

Il regista Tavella per primissima cosa ci ha tenuto a farci presente prima del film che a lui “non fregava un caxxo di fare un film biografico sul Cocoricò.” Spoiler: crediamo abbia centrato il target. Alla fine del film c’è stato anche un piccolo dibattito anche con la presenza del direttore amministrativo del Cocco dell’epoca, Renzo Palmieri, che forse si è rivelato essere il vero “dominus” del film.

“Cocoricò Tapes”, opera prima di Tavella, cerca di portarci negli anni ‘90, si vedono immagini di repertorio della caduta del Muro di Berlino. Non dimentichiamo che siamo pochi anni prima del nuovo secolo del nuovo millennio con tutto il suo corredino d’ordinanza new age e libertario che ne conseguiva.

Vediamo anche una lunga intervista al mitologico inventore del Cocco, lo sfuggente e, a suo modo, geniale Loris Riccardi, che ebbe l’ardire di “inventare” il Cocoricò con scenografie e animazioni e performance cangianti e rinnovate ogni semestre, trasformando gli spazi del club rivierasco in una sorta di non-luogo idolatrato dalle folle, le piste da ballo e le varie sale e perfino il bagno delle donne che diventano spazi di vita (notturnissima) e i vari privé dai nomi evocativi (Titilla, Morphine) arredati come veri e propri luoghi performativi e funzionali al trasgressivo edonismo al servizio delle sub-culture di matrice elettronica e LGBTQ+ dei ruggenti anni ’90. (A Berlino già si faceva da qualche tempo…)

Ecco questa qua è tutta la storia. Oltre ai già citati vari materiali di archivio “mainstream” (principalmente da tg Mediaset, tipo il faccione di Emilio Fede e la Guerra del Golfo) che di tanto in tanto ci ricordano il periodo storico, scorre per circa un’oretta questo flusso di tapes “casalinghi”, certamente ben “lavorati” e selezionati ma in funzione perlopiù solo emozionale, che ripete fino allo sfinimento quanto era figo il Cocco. E sì! Non è un biopic sul Cocco.

Oltre al lavoro certosino di cesello delle immagini di archivio possiamo comunque apprezzare un massivo lavoro di fotografia e di editing, e ha un suo perché anche la produzione e si vede anche che ci sono idee chiarissime in termini di marketing e promozione.

Complessivamente anche le musiche di Matteo Valicelli, che pur non essendo minimamente coeve al periodo ma composte per l’occasione, in qualche modo riescono fornire una certa versione rassicurante dell’ambientazione sonora dell’epoca per chi non ha mai vissuto quel periodo e cercano di dare una dimensione di unità al film pur non restituendo molto la magia e le intense e peculiarissime vibes di quegli anni.

La Sala Piramide (era una vera e propria piramide di vetro-acciaio come al Louvre!) era davvero, ma davvero!, un tempiaccio sudaticcio e pagano della musica Techno dei nineties e patria di tutte le sue mille derivazioni con un numero di BPM (bump per minute, l’unità di misura del ritmo) quasi sempre attorno o superiori ai 110 e con suoni molto acidi e battuti che erano uno dei reali fondamenti del genius loci del Cocoricò.

Purtroppo anche il tema (scottante??) del comunissimo e generalizzatissimo consumo di sostanze stupefacenti che era di prassi negli otre 5000/10000 visitatori abituali ogni weekend, uso anche idealizzato e idealistico in quegli anni, viene liquidato assai sbrigativamente sia con alcune affermazioni di Loris direttore artistico e di Renzo direttore amministrativo, che con una sorta di ellissi visiva nel film, quasi una sorta di cupa rimozione psicanalitica, ove viene rappresentato metaforicamente in maniera vagamente moralisteggiante e scontata. Questo un po’ ci addolora perché effettivamente se il Cocoricò ha avuto la potenza e il successo (e gli incassi stratosferici!!!) che ha avuto era anche grazie a questa “nuova” cultura del trascendente, dello sballo, del larghissimo consumo di MDMA e in generale di stupefacenti che avveniva profusamente in quegli anni e che hanno fatto la fortuna anche del Cocco.

Forse sarebbe stato bello sottolineare, in maniera leggermente più incisiva, se non altro per motivi antropologici, questo interessantissimo e dibattuto fenomeno dalle dimensioni sicuramente non piccole e dalla portata socioeconomica e culturale assolutamente non trascurabile, anche per far capire genuinamente che tipo di atmosfera aleggiava.

Erano tempi pre-internettiani in cui bastava dipingere un tizio di bianco e appenderlo a un crocifisso o per fare un po’ più di scandalo bastava un performer come il principe Maurice vestito da gerarca nazista ma con la parte di sotto in reggicalze e guepiere e un po’ di tipe/i carine/i a tetta/e e/o a culo/i scoperto/i e in odor LGBTQ+.

Insomma a parte il mega spottone emozionale di quanto è bello il Cocoricò (lo era! J ) non ci arriva moltissimo altro del vero spirito di quel delizioso antro infernale.

Per chi lo frequentava in quegli anni, per chi aveva vent’anni a quei tempi, andare al Cocco era quasi come celebrare settimanalmente nel weekend una sorta di misteri eleusini, quasi ci si aspettasse una divinazione sul futuro, quel futuraccio pieno di incognite ma ricco di aspettative, c’erano grandi preoccupazioni ma anche grandi e forse ingenui ottimismi. (E lunedì, cascasse il mondo, di corsa e di nuovo in ufficio o in fabbrica a lavurà!)

Però quel delizioso batticuore, quella sottile ansia ricca di aspettative per il futuro, che ti assaliva nel parcheggio quando vedevi le strobo lampeggiare selvaggiamente dalla piramide e sapevi che quella notte forse poteva cambiare la tua vita, forse lo potevi provare solo essendoci stato, al Cocco.

Pasqualino Suppa




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