La Fed svela le carte: Le borse in forte recupero sperano nella pace in Ucraina

MERCATO AZIONARIO

 

  • L’ottava appena conclusa ha visto un ottimo recupero dei principali indici internazionali: il paniere globale MSCI World infatti fa registrare un più che benvenuto +6,1%, dopo che nelle scorse settimane vi era stati passivi tali da portare le performance year to date su livelli da vera e propria correzione tecnica. Un recupero che appare spiegato in buona parte da livelli tecnici di ipervenduto in cui diversi listini si erano spinti ed è bastato un breve consolidamento sul breve delle borse per catturare l’attenzione degli investitori in cerca di occasioni speculative (recupero a ‘’V’’). Lo sfondo in cui si stanno muovendo i mercati è in evoluzione: in conflitto tra Russia e Ucraina rimane la tematica centrale di valutazione: i carri armati continuano a muoversi e le bombe a cadere, con le parti che cercano quanto meno di avvicinarsi nelle posizioni per una fine delle ostilità. Kiev invoca il dialogo (e questo le borse lo hanno percepito) anche se la dialettica con Mosca resta particolarmente dura. Tra gli altri attori in causa, da Washington sembrano arrivare le posizioni maggiormente scettiche sulla reale possibilità di trattare con Putin, mentre la Cina conserva la sua tradizionale posizione di neutralità.
  • Non è comunque solo l’evento bellico a condizionare il corso dei listini internazionali: sullo sfondo si ergono tematiche altrettanto importanti nella valutazione degli investitori. Le scelte delle banche centrali infatti cominciano a intersecarsi in maniera evidente con la macroeconomia e le conseguenze del conflitto tra Russia e Ucraina, creando un intreccio complicato per l’anno in corso. Il posizionamento complessivamente restrittivo della Federal Reserve, emerso dal meeting avvenuto in settimana, non può non avere effetti nelle scelte allocative. Al pari della comprensione su quanto saranno impattanti tutte le variabili in gioco su inflazione, crescita e utili aziendali. Per questi motivi è plausibile pensare che la volatilità vista in questi primi mesi dell’anno possa ripresentarsi a più riprese nel corso dell’anno, con andamenti altalenanti e contraddittori in un quadro di accentuata incertezza.
  • Nel corso della settimana, comunque, come detto, hanno prevalso i segni più, anche marcati, rispetto alle chiusure dell’ottava precedente. Gli indici USA chiudono con progressi tra il 6%-8%, riportando i valori più distanti dalle soglie tecnicamente più rilevanti. L’S&P 500 dai minimi di area 4.150 è andato a riposizionarsi sopra i 4.400 punti, area di maggiore sicurezza e, in modo simmetrico, il Nasdaq 100 ha recuperato dai 13.000 punti fino a quota 14.400. Entrambi gli indici restano inseriti in un trend di breve ancora correttivo ma la sedimentazione e la tenuta nel breve sta consentendo un maggiore stabilizzazione del trend. Come sempre avviene, gli indici incorporano nei prezzi molte notizie negative, per poi recuperare anche al minimo migliorare delle condizioni di base. Se osserviamo il drawdown dai massimi dell’S&P 500, si nota che dal -14% di correzione raggiunto vi sia stato poi un discreto recupero di metà della perdita. La stessa Europa (+5,8%), duramente colpita dalle discese post scoppio della guerra in Ucraina, ha di molto ridotto le perdite (da -23% a -11%). E questo grazie anche ad uno smussamento dei valori di volatilità, con il Vix sceso ben sotto quota 30.
  • Tra i settori e temi: buono il recupero dei comparti Growth (+8,2%, con in testa i Tech), meglio di quelli Value (+4,2%). Indietreggia l’Energy, dopo i record ottenuti nell’ultima fase di mercato (ed unico in positivo da inizio anno) mentre i Financials (+6,6%) sono stati trascinati al rialzo dall’aumento dei tassi. Tra i temi, performance molto positive per tutte le nicchie tecnologiche (Healthcare e Innovative Tech +9%, Semiconduttori +7%), in pratica tutti quei settori più colpiti dalla fase correttiva di inizio 2022.

 

MERCATO DELLE MATERIE PRIME

 

  • In calo il comparto commodities (paniere generale -2,5%) con segni meno abbastanza generalizzati su tutte le tipologie. Il petrolio si riattesta su valori vicini ai 105$ (-4%), ancora elevati ma ben distanti dai record registrati durante in conflitto. Scendono anche i metalli industriali (Nickel -23%) e agricole. L’oro quota 1.920 $ l’oncia (-3,5%) perdendo appeal in termini di protezione dal rischio.

 

MERCATO DELLE OBBLIGAZIONI

 

  • Per quanto riguarda l’asset class obbligazionaria, nuova ottava di sofferenza per i bond governativi, che bissano i segni meno della settimana scorsa. La pressione sui tassi continua a farsi sentire e le perdite in questi primi mesi del 2022 sono certamente a livello quasi record nello storico di queste asset class. Il posizionamento delle banche centrali continua a farsi sempre meno accomodante e per molti stride con il contesto attuale che il resto del mercato sta vivendo, dove i timori per il conflitto in corso e per le conseguenze sulla crescita globale ormai sono temi di confronto tra gli operatori finanziari. Percepibile, quindi, un gap tra la realtà vista dai policy makers e quello che sta accadendo nell’economia reale, con l’inflazione che rappresenta sempre più per molti settori un serio problema da affrontare. E’ difficile infatti pensare che non vi sia un deterioramento dei margini aziendali con aumenti delle materie prime così importanti, né che, tra qualche mese, non ci siano revisioni al ribasso anche degli utili societari. Tuttavia, il mercato finanziario da una parte (analisti) e banche centrali dall’altro, per il momento sembrano ponderare ben poco questa possibilità. Una fiducia implicita sul fatto che poi comunque verrebbe attivata la nota ‘Fed Put’ in caso di eventi straordinari?
  • Quale che sia la risposta, intanto ci si può basare sulle parole della Federal Reserve che in settimana è tornata a riunirsi per decidere come iniziare e poi continuare il piano di normalizzazione monetaria. E’ arrivato il tanto atteso aumento dei tassi di interesse (+0,25%) ma questo è stato un non-evento, già ampiamente prezzato. Sarebbe potuto probabilmente essere il doppio ma la guerra in Ucraina ha fatto desistere una parte dei membri del FOMC, di fatto comunque solo spostando più in là quanto si dovrà fare per ottenere quell’obiettivo di sradicare l’inflazione in eccesso rispetto ai target desiderati. Colpisce una cosa nell’ultimo FOMC: la Fed deliberatamente ha deciso di mettere in secondo piano la crescita (e forse anche i mercati) per puntare all’obiettivo della stabilità dei prezzi. Che sia una volontà elettorale o una fiducia convinta nella forza dell’economia USA lo sapremo tra qualche mese.
  • Powell, nel suo discorso, ha indicato quindi che il percorso di normalizzazione andrà avanti, già a maggio si potrebbe avere un altro ritocco del prezzo del denaro, per arrivare alla fine dell’anno ad un tasso mediano tra 1,75% ed il 2% (in pratica 6 rialzi, uno per ogni meeting del FOMC). Per il 2023 sono indicati altri quattro rialzi da 25 punti base, fino al 2,75%-3%, quindi ben sopra il tasso neutrale previsto dalla banca centrale americana (2,25%-2,50%). Misure quasi da fantascienza se si pensa alla narrativa presente non più di 6 mesi fa, ma necessarie e da attuare anche in fretta. Il tutto, secondo la Fed, senza però intaccare la crescita dell’economia USA, ritenuta in grado di sopportare un ciclo di rialzi dei costi del denaro, in quanto solida soprattutto nelle tendenze del mercato del lavoro. Le proiezioni sul Pil sono state tagliate (dal 4% al 2,8%) mentre per l’inflazione ci si attende un +4,3% (valori a scendere poi negli anni successivi). Una cosa è chiara: la Fed, con queste intenzioni, pare fare all-in, ma appare difficile pensare a mercati stabili.
  • I tassi USA si sono mossi al rialzo: decennale al 2,15% (+16bps rispetto a 7 giorni fa) mentre il Bund si è attestato allo 0,36% (+12bps). Gli aumenti del free-risk penalizzano quindi il governativo mentre il corporate investment grade ha compensato con una riduzione degli spread di credito. Il recupero dell’equity ha migliorato il segmento High Yield e gli emergenti, penalizzati da inizio anno.

 

MERCATO DELLE VALUTE E CRYPTOS

 

Per quanto riguarda le valute, il cross Euro Dollaro arriva fino a quota 1,105 (+1,3%) di fatto un sell on news sulla valuta americana dopo il meeting Fed. Da segnalare anche il movimento del Rublo: nel pre-guerra a quota 90, poi su massimi a 160 per poi stornare ora su valori meno critici (114). Le cripto mantengono le posizioni: il Bitcoin oscilla tra 37.000 e 44.000 da inizio febbraio e ha complessivamente mostrato una buona resistenza anche nelle fasi più volatili di mercato. L’ultima ottava è stata tonica con un +7%.

 

Dott. Alessandro Pazzaglia, Consulente Finanziario Indipendente, iscritto all’Albo delibera. 1081 del 18/04/2019. Info mail [email protected]




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