L’angolo dello psicologo. Loperfido “morte Elena, le danze della consolazione“

Riceviamo e pubblichiamo.

“Durante il tremendo periodo di pandemia Covid-19, tra i tanti drammi che si è dovuto affrontare vi è stato anche quello di non poter organizzare e vivere la morte dei propri cari. Tutto veniva delegato alle strutture sanitarie e alle agenzie funebri: la morte era diventata solitaria. Non era più possibile fare i riti del funerale, necessari per far capire ai vivi quanto stava accadendo.

Era vietata la devozione dei defunti, che trascende le religioni e le culture di tutte le epoche, una pratica, culturale, che ci accompagna dalla notte dei tempi e che la pandemia Covid-19 aveva interrotto. Il Covid-19 aveva messo in evidenza la brutalità dell’isolamento, del morire in solitudine, senza una carezza dei propri cari, senza il conforto di un abbraccio.

La morte della giovane Elena Arizala Bobeva, ragazza di appena quattordici anni, ha chiamato a raccolta, amici, parenti, conoscenti, rappresentanti della Cosa Pubblica, gente di ogni età e ceto sociale, di ogni cultura e religione. Tutti si sono stretti intorno ai genitori per condividere ogni sentimento.

Le parole hanno lasciato il posto ai gesti. Centinaia di persone, silenziosamente, hanno espresso i loro stati d’animo, il loro affetto, attraverso numerosi atteggiamenti, movimenti del corpo umano compiuti dalle mani, dalle braccia, dalla testa, dalle espressioni del viso e degli occhi.

I luoghi in cui si sono svolte queste danze sono stati il domicilio di Elena, la sede dell’agenzia delle Onoranze funebri e la chiesta Parrocchiale di Tamai. Come nella danza, questi gesti, molto lentamente e delicatamente, cercavano di raccontare, in maniera unica e personale, qualcosa che trascende il visibile, come può essere, per esempio, un sogno, un desiderio, un’idea, un progetto, un sentimento.

Questi gesti, a volte a turno a volte insieme, danzavano per lenire il dolore dei genitori e del fratello di Elena. In certi momenti, erano di scena le lacrime, per esprimere intense emozioni, per condividere la disperazione, la rabbia, la frustrazione, l’impotenza, il senso di ingiustizia, il bisogno di essere consolati.

In altre situazioni erano di scena gli abbracci, per esprimere vicinanza affettiva, tenerezza, scambio di profondi sentimenti, voglia di proteggere i familiari di Elena e di esprimere a loro tanta riconoscenza per il bene che hanno compiuto nella loro esistenza. Questo tipo di abbracci si alternava agli abbracci che accarezzavano la schiena, per dare tranquillità, quiete e affetto.

Sul piazzale della chiesa parrocchiale di Tamai, dove si è celebrato il funerale di Elena, alla fine della messa, molte ragazze e ragazzi, amici di Elena e Stefano, come ghirlanda di fiori, hanno circondato Salomon e Soava per condividere tutto il dolore per la morte della loro amica ma anche l’amore e la riconoscenza per aver messo al mondo una figlia speciale.

Con tanta dolcezza e tenerezza, i genitori di Elena hanno ricambiato con carezze e baci ognuno di loro, per esprimere gratitudine per il bene ricevuto da loro e per incoraggiarli ad andare avanti nella vita, senza sprecare il tempo, amando ogni cosa e credendo nei propri progetti. Ogni persona, che ha partecipato al funerale di Elena, con i baci ha voluto rinforzare i legami personali con la sua famiglia.

In tutto questo scenario di elementi comunicativi danzanti, lo sguardo ha avuto un ruolo di rilievo.

Lo sguardo doveva capire chi soccorrere e in quale momento, se il papà o la mamma di Elena, oppure il fratello Stefano o la nonna o la zia. Esso scandiva la danza e i tempi della consolazione, tutto svolta in assoluto silenzio, musicata solamente dai vari tipi di pianti, dai colpi di tosse, dal fruscio delle carezze o da qualche sedia che viene spostata.

In questi giorni di scoramento e di dolore, lo sguardo di quanti sono stati sempre presenti accanto ai familiari di Elena, è stato vigile, attento, affettuoso, premuroso, solerte, zelante, pieno di cure e attenzioni, servizievole. Le danze della consolazione leniranno il dolore, cicatrizzeranno la ferita ma nulla potranno fare per saziare la fame di contatto che l’assenza di Elena provocherà nei familiari e in quanti l’hanno conosciuta e amata”.

Antonio Loperfido
Psicologo Clinico e Psicoterapeuta




Condividi