Rimbalzo fiacco delle Borse; inflazione e geopolitica rendono prudenti i mercati

MERCATO AZIONARIO

La situazione di tensione finanziaria vista tra settembre e inizio ottobre ha cercato di trovare una attenuazione, dopo aver visto da una parte il ripiegamento dell’azionario e, dall’altra, la rapida salita dei rendimenti obbligazionari. Due facce della stessa medaglia, in realtà, con sullo sfondo la spinta del prezzo del petrolio e dei dati macroeconomici che in generale hanno portato a pensare a difficili imminente svolte nella politica delle banche centrali. Nella settimana appena conclusa si erano individuati i primi germogli per un recupero di entrambe le asset class principali, con i segni verdi delle borse (in particolare Wall Street con i tecnologici), pronte a reagire sulla base di spunti di breve favorevoli. Tale impostazione (utile quanto meno, quindi, per un rimbalzo) ha rischiato (e rischia ancora) di essere vanificata dalle terribili notizie provenienti dal Medio Oriente, dove il conflitto israelo-palestinese vive una nuova fase di recrudescenza. Dopo qualche sbandamento all’apertura di lunedì, in realtà i listini hanno ripreso il filo del discorso, andando a completare un movimento che era già nelle potenzialità delle borse, con progressi generalizzati per buona parte della settimana. Almeno fino a giovedì, quando il rilascio dei dati sull’inflazione USA ha un po’ raffreddato gli slanci da “appetito al rischio” e portato nuovi elementi di riflessione. La parziale positività settimanale è stata anche aiutata dalle dichiarazioni meno belligeranti da parte di esponenti Fed e BCE: interventi mirati anche per stabilizzare l’arena del debito governativo a lunga scadenza. La settimana si chiude con un progresso (sotto ai massimi settimanali) per l’indice MSCI World dello 0,61%, risultato comunque riporta in ‘verde’ il mese di ottobre.

Wall Street, già nella settimana precedente, aveva dato segnali di consolidamento su alcuni livelli chiave dove i compratori sono tornati a farsi vedere con intensità. Hanno cominciato dai tech e da quelle grandi capitalizzazioni che, a torto o a ragione, vengono viste ancora come opportunità quando i prezzi scendono. Per alcune di loro, vale la pena ricordare che sono anche sedute su cospicui stock di liquidità, fattore che non può che aiutare. Ecco che quindi, l’S&P 500 (+0,5% settimanale), conferma il livello intorno ai 4.200 punti come punto critico nell’attuale impostazione di mercato, livello che, sul piano intermarket fa il paio con il top raggiunto dai rendimenti sui governativi a lunga scadenza (ex. area 5% per il Treasury 10y). Oltrepassare questi livelli significherebbe pensare a qualche altro sacrificio di prezzo per azioni e bond, su aree che tecnicamente comunque è possibile ben definire sui grafici. Non che questo rappresenti una variazione nelle tendenze di medio termine o sciagure peggiori, rientrando nell’alveo di correzioni cicliche in un uptrend, ma va considerato come possibilità. Il rimbalzo da quota 4.200 ha prodotto un recupero che ha trovato prevedibile opposizione a quota 4.400, resistenza degna di nota e che formalmente fa restare l’attuale fase di breve come correttiva. È probabile che i mercati debbano prendere un po’ di rincorsa prima di poter superare gli ostacoli posti innanzi. La chiusura settimanale della volatilità pare mettere lanciare un messaggio agli investitori: attenzione, la fase di volatilità potrebbe non essere ancora finita.

A livello geografico e settoriale, segni di rotazione settoriale verso settori ‘periferici’ rispetto ai Tech (Nasdaq solo +0,2%) mentre continuano a soffrire le small cap, bersagliate in questa fase di incertezza. Fiacca l’Europa (-0,2%%), è toccato al Giappone ritrovare la bella tonicità di inizio anno (+4,3%), ma c’è un lunedì in più da scontare. Tra i settori bene primeggia l’energy (+4,9%), sospinto dal rimbalzo del prezzo del petrolio dopo i venti di guerra in Medio Oriente e le Utility, dopo le forti vendite legati al rialzo dei tassi. Le recenti misure a sostegno dei mercati da parte delle autorità cinesi hanno generato un rimbalzino per le borse locali (+2,4%).

Dopo la settimana dedicata al mercato del lavoro, ecco quella relativa ai prezzi al consumo e alla produzione. I report mensili hanno un po’ deluso le aspettative ottimistiche, depotenziando il rimbalzo settimanale delle borse. PPI e CPI USA hanno visto infatti valori al di sopra delle attese: soprattutto lato consumi il +3,7% su base annua (vs +3,6% atteso) tengono all’erta investitori e banche centrali. Si è aperta inoltre l’earning season del 3° quarter negli USA: si parte da attese di utili stabili (-0,4%) e con le prime (banche e assicurazioni) con buoni risultati (JPMorgan, Citigroup). L’attuale uscita di dati è mischiata nel sentiment alle notizie che inevitabilmente arrivano dal Medio Oriente.

MERCATO OBBLIGAZIONARIO

L’asset class obbligazionaria ha vissuto finalmente una settimana di appianamento delle tensioni viste nel mese di settembre. Non che basti, ma almeno fa respirare gli investitori che dopo il 2022 speravano per quest’anno di poter vedere almeno un margine per poter smussare i segni meno. Invece, questo 2023 appare ancora deludente: i governativi in larga parte infatti sono o piatti o negativi da inizio anno, risultati che peggiorano tanto più si considerano panieri con scadenza media più elevata. Ad aiutare una calmierazione dei movimenti che tendevano quasi verticalmente verso l’alto diverse dichiarazioni da parte di esponenti Fed (Bostic, Jefferson, Logan) che hanno evidenziato come La spinta verso l’alto dei rendimenti obbligazionari sia esso stesso un elemento di restrizione delle condizioni finanziarie e come questo può/potrebbe rappresentare un elemento per avere meno necessità nell’aumentare ancora i tassi a breve. Inoltre, sempre dalle dichiarazioni di membri del FOMC, si dichiara come la Fed abbia ben presente sia il ritardo con cui l’alto livello di costo del denaro va a incidere sul piano economico così come tutte le relazioni che si devono considerare nel mondo finanziario nel suo complesso. Si parla, in questo caso, quindi, di relazioni sistemiche per tutti quegli attori che hanno vissuto per 15 anni con un mondo fatto di denaro a basso costo e che ora ne fronteggiano uno con inflazione strutturalmente più elevata e con tassi di rendimento tornati ai livelli del 2006-2007. Meno male che alla Fed allora qualcuno pensa anche a questi aspetti che, da soli, sono in grado di condizionare, e di molto, tutte le dinamiche dell’attuale intreccio tra economia e finanza.

MERCATO DELLE MATERIE PRIME

È durata poco la fase di storno del petrolio, che pure era stata veemente se consideriamo il top in area 95$. I venti di guerra hanno fatto subito tornare verso l’alto le quotazioni (87$) anche se con un impatto che molti si aspettavano maggiore. L’uptrend dell’Oil resta tale e supportato dalle notizie di geopolitica internazionale. Si apprezza con forza anche l’oro (+5,5%) che in poche sedute si è riportato dov’era qualche settimana fa (1.930$).

MERCATO DELLE VALUTE

Il cambio Euro Dollaro ha visto una settimana poco direzionale, con i valori poggiati su area 1,05 e con qualche tentativo di recupero per la valuta europea, specie dopo le dichiarazioni dei membri Fed. La migliore salute, tuttavia, dell’economia USA, fa mantenere il biglietto verde su valori ancora premianti per esso.

Dott. Alessandro Pazzaglia, consulente finanziario indipendente, www.pazzagliapartners.it




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