Taher, incontro in carcere. Al centro, il tema dell’immigrazione

PORDENONE – “Oggi, 28 giugno, alle ore dieci di una mattina velata da una quieta malinconia, ho varcato le soglie del carcere di Pordenone. Un edificio che racchiude storie non dette, vite incrociate dalla difficoltà, ma anche da invisibili fili di speranza”.

Inizia così il racconto di Taher Djafarizad, attivista dei diritti umani, che da anni dedica la sua vita alla difesa dei diritti delle donne.

“Il mio arrivo – continua Taher – è stato preceduto da un’accoglienza sorprendentemente gentile. I guardiani, con un sorriso che spezza la monotonia delle loro quotidiane responsabilità, mi hanno aperto le porte di un mondo che molti preferirebbero dimenticare. In questo primo incontro, l’entusiasmo ha brillato negli occhi di tutti, un contrasto palpabile con il grigiore delle mura che ci circondavano.

L’incontro è iniziato con un semplice giro di presentazioni, capitanato da Don Giorgio, un volto amico con cui condivido ben trentotto anni di ricordi e esperienze. La maggior parte dei presenti erano giovani, molti dei quali sposati, un ricordo del mondo esterno che persiste anche dietro le sbarre”.

“Il tema principale della nostra discussione è stata l’immigrazione – continua Taher – un argomento di particolare rilevanza considerando che un terzo dei detenuti proviene da fuori della Comunità Europea. Le domande sono fioccate, intense e profonde, toccando argomenti dolorosi come quello delle spose bambine, un fenomeno tragico lontano dalla realtà italiana, dove la democrazia, per fortuna, regna ancora sovrana.

Abbiamo parlato anche di religione e di democrazia, confrontandoci su come queste realtà siano percepite e vissute in diversi angoli del mondo, spesso così diversi dal nostro. Ho insistito su due punti fondamentali: l’importanza della lettura come strumento di crescita personale e la convinzione che, nonostante le circostanze, ogni individuo in quella sala ha la potenzialità di fare del bene, di contribuire in maniera positiva alla società, se solo gli viene data la possibilità di credere in se stesso.

Questo incontro con i detenuti è stato per me un momento di profondo apprendimento emotivo. Guardando negli occhi di quelle persone, ho visto riflessa la complessità dell’essere umano, capace di errore ma anche di grande umanità”.

“Ringrazio Don Giorgio – conclude Taher – per aver reso possibile questo incontro, un ponte gettato sulle acque a volte turbolente della disperazione umana, un promemoria che la redenzione è sempre possibile, anche nei luoghi meno pensati. Grazie per avermi accompagnato in questa giornata di riflessione e speranza”.




Condividi