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venerdì , 22 Novembre 2024

L’ANALISI – Loperfido: la comunicazione al tempo del Covid-19

Il termine “comunicazione” – dal latino “com”, cioè “con”, e “munire”, cioè “legare” – nel suo significato originale significa “mettere in comune”, condividere pensieri, opinioni, esperienze, sensazioni e sentimenti con gli altri. Il termine “parola” deriva dal greco “para-ballo” che significa gettare-fuori. Quando noi parliamo ci gettiamo-fuori, ci manifestiamo, ci doniamo a chi ci ascolta. In questo modo ogni persona realizza se stesso perché crea le relazioni che definiscono la sua identità. È attraverso il linguaggio che si scoprono i mezzi personali di comunicazione con l’altro. Senza di esso ci disumanizziamo reciprocamente. In breve: senza comunicazione, non c’è umanizzazione. L’umanizzazione dipende dalla nostra capacità di parlare e ascoltare con i nostri simili. Un altro termine che mi affascina molto sin da quando ero bambino è “abracadabra”.

Non sapevo il significato etimologico di questo termine e, come facevano i miei compagni, la pronunciavo mentre eseguivo qualche gesto magico. Qualche anno fa, occupandomi di comunicazione, andai a vedere il significato etimologico di questa parola e vidi che le definizioni erano diverse. Tra queste scelsi una che la fa risalire all’aramaico: Avrah kaDabra, cioè אברא כדברא, che significa “io creo mentre parlo” e l’altra dall’ebraico, lingua in cui vorrebbe dire “questo avviene mentre viene detto”. Dal mio punto di vista, conoscere il significato etimologico delle parole, capire da dove sono nate e il significato che hanno, è la base per una buona costruzione di reti sociali e culturali.

Alcuni decenni fa, Carlo Levi intitolava un suo libro “Le parole sono pietre”, per denunciare una situazione siciliana. Emily Dickinson affermava che: “Alcuni dicono che / quando è detta / la parola muore. /Io dico invece che/ proprio quel giorno / comincia a vivere” (Silenzi: 1212). Parlare è un gesto creativo, siamo in grado di trasformare le immagini in pittura e scultura, i suoni in musica e parole, le parole in poesia, letteratura, religione, arte, scienza e conoscenza. Mahatma Gandhi affermava:” Mantieni le tue parole positive, perché le tue parole diventano i tuoi comportamenti”.
Fino a non molti anni fa, quando una relazione interpersonale non funzionava si attribuiva la responsabilità alla comunicazione.

Erano frequenti frasi del tipo:” Non ci capiamo”, “Non abbiamo più nulla da dirci”, “Hai sempre ragione tu”, “E’ inutile parlare con te”, “Non c’è comunicazione tra di noi”. Andavano a ruba molti libri che parlavano della comunicazione, in famiglia, tra genitori e figli, tra coniugi, nelle istituzioni, nei gruppi. Da qualche anno si assiste ad un fenomeno che potremmo definire di delegittimazione della parola nel senso che le parole sono state svuotate di significato e di valenza etica.

Oggi le parole vengono usate con leggerezza, come se fossero interpunzioni, suoni, senza valenze semantiche. Esse sono sempre più finalizzate a se stesse, sempre più svolgono unicamente una funzione fàtica ( volta non a comunicare un’informazione precisa ma ad aprire o a mantenere vivo un contatto tra due parlanti). La credibilità di una persona era basata sulla coerenza del suo linguaggio col comportamento e con i sentimenti. Negli ultimi mesi, a causa del Covid-19, siamo stati costretti a modificare quella che, tecnicamente, viene definita comunicazione non verbale e paraverbale, cioè quella comunicazione legata all’uso del corpo, alla distanza tra le persone, all’intonazione della voce.

Prima dell’avvento del Covid-19 toccarsi con i gomiti aveva un significato prevalentemente negativo, significava farsi largo, spintonare, colpire, darsi da fare ai danni di un altro, col Covid-19 è diventato un gesto di saluto. Per evitare di contagiarsi ci si saluta toccandosi con i gomiti o con i piedi. Prima dell’avvento del Covid-19, toccarsi con i piedi, fare lo sgambetto, era considerato un comportamento sleale nei confronti di qualcuno che s’intendeva danneggiare nella vita e nello sport. Un altro comportamento che si sta sempre più diffondendo è quello di mantenersi a distanza. Prima dell’avvento del Covid-19, intenzionalmente si voleva distanziare da sé una persona sgradevole, fastidiosa, pericolosa, sleale, sospettosa, oggi si distanziano tutti perché tutti potrebbero essere dei potenziali untori di Covid-19, anche se asintomatici.

Ciò che prima si chiamava aggregazione sociale, fondamentale per l’individuo per sviluppare il senso di appartenenza ad un gruppo culturale, sportivo, ricreativo, politico, oggi si chiama assembramento, ossia raggruppamento di persone con intenzioni ostili, sospette, pericolose. In maniera sottile, si cerca di far sentire in colpa ogni individuo perché, potenzialmente, potrebbe danneggiare, far ammalare, far stare in quarantena tutti gli altri.

Sta prendendo piede l’arte di far sentire in colpa ogni persona, chi è senza mascherina, chi non fa il tampone, chi non è a debita distanza, chi non usa il gel, chi non si lava le mani, chi non si vuol far vaccinare. Attualmente, i nuovi collanti della nostra società sono il sentimento di colpa e la vergogna; quest’ultima ci fa sentire sbagliati, fuori luogo, incoscienti, irresponsabili, ribelli, inadeguati, imprudenti, scriteriati, ed è talmente scottante che si è pronti a tutto pur di liberarsene, anche di rinunciare alla propria libertà. Si sentono in colpa perfino le persone che sono riuscite a sopravvivere al Covid-19, persone che hanno visto morire i propri figli, i propri partner, i propri colleghi di lavoro, mentre loro sono rimasti in vita. C’è persino chi non ha perso nessuno eppure si sente in colpa nei confronti di chi non ce l’ha fatta.

Antonio Loperfido, psicoterapeuta

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