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giovedì , 21 Novembre 2024

Angioletta Delle Rive e il processo per stregoneria che sconvolse Pordenone rivivono in un documentario

PORDENONE – Il personaggio di Angioletta Delle Rive, popolana pordenonese, denunciata per stregoneria dall’Inquisizione nel 1650, é al centro di un breve documentario (prodromico ad un’opera piú compiuta) che l’Associazione Lucescrittura di Pordenone, con il sostegno del Comune di Pordenone e della Fondazione Friuli, ha di recente realizzato e che sará messo in onda sull´emittente televisiva Il13 tv (canale 14 del digitale terrestre in Veneto e Friuli Venezia Giulia) nel palinsesto di aprile.

Angioletta Delle Rive vive negli anni in cui il potere costituito, rappresentato dalla Chiesa Cattolica Romana, che esercita il suo ascendente non solo sulle anime, ma anche e soprattutto sugli affari secolari, deve respingere l’assalto del Luteranesimo e delle altre eresie. Sentendosi minacciata da un avversario pericoloso come non mai, che mette in discussione i capisaldi della sua struttura e della sua legittimazione spirituale e ideologica e quindi la sua stessa sopravvivenza, la Chiesa di Roma reagisce con ferocia inaudita.

L’attività e i poteri dell’Inquisizione si moltiplicano per reprimere ogni pensiero ed ogni comportamento che si discosti dal mainstream dell’ortodossia cattolica. I tribunali del Sant’Uffizio passano al setaccio migliaia e migliaia di casi, imprigionando e mettendo a morte centinaia di persone spesso sulla base di semplici sospetti. In questa drammatica temperie a farne le spese sono soprattutto le donne.

Donne sole, di origini umili, indifese, quasi sempre popolane, mai nobildonne, cortigiane o comunque donne che godono di protezioni ed entrature importanti.

Le donne nel Medioevo, ma anche nei secoli successivi, erano considerate esseri caratterizzati da una innata debolezza, quindi più esposte alle malie del Maligno. Per questo dovevano essere soggette al controllo di un uomo ed essere “proprietà” ora del padre, ora del marito. Una donna sola, non protetta, poteva essere molto più facilmente attaccata.

Angioletta delle Rive viene, appunto, denunciata quale strega nel febbraio del 1650. E’ Francesco Loredan, provveditore e capitano di Pordenone, che l’accusa di maleficio ai danni della moglie del cavaliere pretorio.

Il sospetto mai sopito è che la questione nasca da una invidia tra donne, dal rancore di una donna, moglie di un potente, per una popolana. L’ufficiale veneziano istruisce nei confronti della vecchia vedova un “processetto” che invia in seguito all’inquisitore per le diocesi di Aquileia e Concordia.

Gli interrogatori durano dall’inizio di settembre del 1650 fino al 4 gennaio 1651, quando morirà nel carcere di Udine.

Nei suoi confronti non è mai stato celebrato un vero processo, né emessa una sentenza. Angioletta delle Rive è morta durante l’istruttoria. Si è potuto conoscere la sua vicenda grazie al bel libro della Professoressa Ornella Lazzaro, pubblicato nell’ormai lontano 1992 dalle ‘Edizioni Biblioteca dell’Immagine”, con il titolo, “Le amare erbe”.

All’epoca del suo arresto Angioletta aveva settant’anni, era vedova di un pescatore, Giacomo del Gnutto, detto “delle Rive”, viveva in una modesta casupola vicino al Noncello insieme alla figlia Giustina. Negli atti del processo vengono prese in considerazione malattie e guarigioni sospette, attuate con metodi “non convenzionali”, sufficienti a crearne la reputazione di strega. Angioletta aiutava le donne a partorire, era particolarmente abile nella cura degli ammalati, raccoglieva la camomilla, l’iperico, l’erba della scrofola; utilizzava oli e polveri che faceva comprare dallo speziale, raddrizzava le ossa.

L’imputata riconosce di aver appreso in famiglia l’uso terapeutico delle erbe, con un’antica manualità per la loro applicazione. Trova il fatto normale, la povera gente usa le erbe per curarsi e ciò non ha nulla a che fare con presunti patti con il diavolo, che l’inquisitore Fra Giulio Missani vorrebbe farle ammettere. Angioletta delle Rive e la figlia Giustina hanno sempre vissuto da timorate di Dio. Gli scopi dell’inquisitore sono loro estranei, come quelli dei testimoni pordenonesi che le accusano di essere streghe in base a semplici pregiudizi. Probabilmente Angioletta e Giustina non comprendono neanche che cosa dovrebbero abiurare e raccontano con sincerità la loro esistenza, segnata dalla miseria.

Prima che si celebri il processo, “assalita da dolori colici”, non potendo ricorrere alle sue erbe officinali, muore in carcere. Forse anche l’inquisitore e le autorità si rendono conto della mala azione che hanno commesso e, poco dopo, rilasciano la figlia Giustina che si impegna a vivere “da dona da ben”.

La vicenda di Angioletta delle Rive é un simbolo delle vessazioni a cui sono sempre sottoposti gli ultimi, i diversi, i non allineati, con gradazioni di violenza diverse da epoca ad epoca, ma con le stesse identiche ragioni e finalità.

 

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