Cannabis e gravidanza: una ricerca sembra cambiare le carte in tavola

La pianta di Cannabis porta con sé un forte pregiudizio legato alla coesistenza, al suo interno, di due principi attivi: da una parte troviamo il cattivo THC, noto a tutti per i suoi effetti psicotropi; dall’altra invece troviamo il molto più interessante CBD che invece con i suoi effetti positivi sta pian piano facendosi strada.

Questi pregiudizi, esattamente come tanti altri che magari interessano più da vicino la quotidianità di tantissimi, sono difficili da buttare giù ma con la forza della scienza i primi muri stanno crollando, tra studi a doppio cieco e analisi su grandissimi quantitativi di persone.

Una delle più recenti analisi del settore sta sfatando un mito che da molto tempo affligge chiunque sia interessato al consumo di CBD: gli effetti del principio attivo sulle donne in gravidanza. Per una questione prevalentemente etica, infatti, ci sono pochi report e ancora meno analisi su numeri molto elevati legati alle donne in gravidanza.

Mentre è possibile trovare molte più informazioni su quanto i vaporizzatori come Magic Vapo possano risultare utili per assimilare cannabidiolo in maniera pratica, per anni non ci sono stati studi pilota a cui affidarsi per quanto riguarda ma solo recentemente le cose sono cambiate in maniera importante.

Un problema vecchio con idee nuove

È di Giugno 2023 un imponente studio pubblicato sul paediatric and perinatal epidemiology e leggibile  sulla nota piattaforma Pubmed che aiuta a dirimere diversi dei dubbi legati al rapporto tra cannabidiolo e gravidanza.

Questo è il primo di diversi studi che potranno veramente finire per cambiare la percezione del cannabidiolo in gravidanza perché è uno dei primi a raccogliere dati lungo 20 anni, così da offrire informazioni utili sulla crescita dei bambini e sulla loro aderenza ai parametri di controllo.

Di base bisogna capire perché ci possa essere un interesse nell’impiegare il cannabidiolo durante la gravidanza. Molte donne lamentano infatti l’insorgenza di nausee e dolori collegate al processo di crescita del feto, entrambe problematiche potrebbero essere nullificate dal cannabidiolo in corpo senza far entrare in gioco medicine che hanno effetti a lungo termine su fegato e reni.

Durante il corso della storia alcuni studi hanno provato a suggerire delle connessioni tra condizioni non neurotipiche (come ansia, autismo, ADHD e altro ancora) e feti esposti ai principi attivi contenuti nella cannabis durante il periodo di crescita, senza però ottenere risultati in alcuna maniera definitiva a causa proprio del basso numero di partecipanti o di metodologie poco azzeccate.

Uno studio con delle buone notizie

Lo studio pubblicato durante il corso di questo mese è stato portato avanti dalla collaborazione tra Columbia University e University of Western Australia, Perth ed ha un vantaggio non da poco: avere come base di dati un gruppo di 2868 bambini che sono stati tenuti sotto controllo per ben 20 anni filati, un timespan particolarmente superiore a quello dei normali studi statistici.

Lo studio sostanzialmente ha controllato i parametri dei bambini in due occasioni differenti: a 10 e a 20 anni; combinando questa scelta con le dimensioni del campione è stato possibile ottenere delle conclusioni molto più affidabili.

Queste, infatti, finiscono per suggerire il seguente fatto: i bambini con esposizione alla marijuana da parte dei genitori durante il periodo di gestazione non hanno mostrato alcun tipo di alterazione neuropsicologica riscontrabile utilizzando come paragone bambini di 10 e 20 anni che invece hanno avuto esposizione nulla.

Di base queste informazioni suggeriscono che non ci sono motivi per credere che l’utilizzo di marijuana in gravidanza possa portare all’insorgenza di problemi, seppur ci siano comunque una serie di ragionamenti postumi da fare per mettere le cose in chiaro.

Lo studio, infatti, non può raccontare per sua stessa natura il quadro completo proprio perché il contesto e più in generale le sostanze impiegate sono soggette a evoluzioni che possono alterare i risultati. Il quantitativo di principi attivi nella stessa quantità di cannabis, ad esempio, varia di anno in anno con una generale maggiore quantità di ingredienti tanto più ci avviciniamo all’oggi.

La cannabis, infatti, per una questione di semplicità di coltivazione e ingegnerizzazione genetica è stata progressivamente e artificialmente selezionata secondo diverse varietà nel corso degli anni. Queste permettono di ottenere effetti positivi sempre più forti, motivo per cui lo studio potrebbe risultare semplicemente falsato poiché ci si basa su gravidanze in cui è stata utilizzata cannabis con la potenza di venti anni fa.

Comunque inutile piangere sul latte versato per un semplice motivo: questo studio può servire tanto ai governi come punto di partenza base per capire dove andare a parare con le sue leggi quanto agli scienziati per capire come migliorare gli studi venturi.

 

 




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