Gli indici continuano la discesa, peggiora il sentiment sulle borse preoccupazioni per tassi e Cina

MERCATO AZIONARIO

Il consolidamento delle borse inizia ad assumere una forma più definitiva e la mera debolezza di breve pare potersi trasformare in uno di storno più corposo, se pur sempre catalogabile come movimento correttivo dei rialzi avuti fino luglio. L’indice globale MSCI World (azionario globale) nella settimana lascia il terreno il 2,5%, diventando quindi già diverso da quanto visto a metà giugno e a inizio luglio, con una discesa dai massimi che ora supera il 5%. A condizionare negativamente una serie di notizie che rapidamente stanno facendo mutare l’ottimismo (e l’esuberanza forse) degli investitori di qualche settimana fa: il rialzo dei tassi a medio lungo e i timori di nuovi slanci inflazionistici da un lato, dall’altro le cattive notizie provenienti dalla Cina, dove il gigante dell’immobiliare Evergrande ha dichiarato bancarotta dopo aver vissuto già in grandi difficoltà gli ultimi anni. In generale è la situazione macroeconomica involutiva della Cina a destare preoccupazioni internazionali.

Pochi i dati macro di rilievo rilasciati in settimana, ma almeno uno, quelle delle vendite al dettaglio USA hanno fatto vibrare il mercato, evidenziando un +0,7% per il mese di luglio rispetto ad attese per un +0,4% (dato precedente +0,3%). L’indicatore sottolinea come al momento non vi siano motivazioni per ipotizzare a breve una fase recessiva per l’economia USA, anzi, forse il problema può essere il contrario, ossia un surriscaldamento che richieda maniere forti. Uno scenario che però poi può implicare un ciclo economico più¹ volatile e meno controllato dalla banca centrale americana, con successivo indebolimento del mercato del lavoro e problematiche su quelle del credito. Da qui il nervosismo visto in settimana. Finita la stagione delle trimestrali o quasi, mercoledì tocca a Nvidia, l’ultima volta capace di innescare un vortice di acquisti sul titolo e poi a cascata sul settore.

MERCATO OBBLIGAZIONARIO

Continua la fase di pressione sui rendimenti che sulla parte medio lunga della curva americana hanno sostanzialmente ritoccato i livelli dello scorso ottobre (area 4,30-4,35%). Motivi macroeconomici (dato sulle vendite) ma anche lo spauracchio di una Fed che si trovi con un sentiero troppo stretto per marcare da vicino l’inflazione. Il recente rialzo delle materie prime energetiche e la possibilità che l’aumento dei prezzi segua lo schema ad ondate simile ad altri periodi storici fa pensare a poco spazio nel 2024 per diventare più accomodanti. Dal resoconto dell’ultima riunione Fed si apprende che il FOMC è abbastanza aperto a diverse possibilità, anche a quelle che non piacciono ai mercati e questi ultimi non scontano. Inoltre, il comitato decisionale della Fed è anche diviso al suo interno sulla strada da seguire (lo si intuisce dalle varie dichiarazioni dei governatori delle Fed locali), anche se la maggior parte dei partecipanti continua a vedere rischi al rialzo per l’inflazione: un messaggio che alla fine è stato interpretato come ‘hawkish’ ossia più dure contro l’inflazione e forse anche amplificato da condizioni di liquidità non elevata.

L’ipotesi di altre strette continua a non essere infatti l’ipotesi preferita dai mercati, i quali vedono ancora una Fed attendista a settembre (solo il 10% di possibilità di rialzo) mentre il ritocco verso fine anno è possibile ma non probabile (36%). Rispetto alla settimana scorsa, anche per la BCE non si vede particolare movimento: la riunione di settembre è da testa o croce ma l’opinione generale è che Francoforte possa avere spazio per un ultimo aumento tra ottobre e dicembre. Saranno i dati macro a dettare tempistiche e modalità di variazione di questa situazione, ma qualche anticipazione potrebbe arrivare dall’imminente simposio di Jackson Hole, appuntamento temuto ogni anno per le ripercussioni che porta sui mercati. L’anno scorso dette sostanzialmente il via alla correzione di settembre/ottobre.

MERCATO DELLE MATERIE PRIME

Torna la debolezza anche sulle materie prime che bissano i segni meno della scorsa settimana. Questa volta nemmeno il petrolio (e i suoi derivati) riescono a resistere alle vendite (-2,3% 81$), con il segmento colpito dal generale clima da risk off e con il dato delle scorte più alto delle attese. L’apprezzamento dei tassi reali USA (e quindi del dollaro) riportano l’oro sotto quota 1.900 (-1,3%) che perde parte dei guadagni degli scorsi mesi. Ancora deboli le materie prime industriali, certamente non aiutate dal clima non proprio confortante che si respira sul tema della crescita cinese.

MERCATO DELLE VALUTE E CRYPTOS

In tema di valute, il dollaro, grazie ai dati macro, guadagna ancora forza e si porta sotto quota 1,09 nel cross con l’euro. Deciso crollo del Bitcoin (-11%), tornato in area 26.000 e oggetto di un sentiment che in questo momento deprime gli asset più rischiosi.

Dott. Alessandro Pazzaglia, consulente finanziario indipendente, www.pazzagliapartners.it

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