Analisi Mercati: Borse in cerca di supporti

MERCATO AZIONARIO

La negatività della settimana precedente, marcatamente legata al forte incremento dei tassi di interesse, è continuata soprattutto nella parte iniziale della settimana appena conclusa, con le dinamiche intermarket che hanno anche accelerato nei loro movimenti in corso. I tassi a medio lungo, infatti, hanno continuato la loro corsa, sospinti certamente da un sentiment sfavorevole e che induce a pensare a banche centrali strutturalmente più restrittive ma anche inoltre da fattori tecnici avendo oltrepassato i precedenti livelli di massimo di ottobre 2022. Ai ribassi della prima parte della settimana sono seguiti poi dei tentativi di recupero tra giovedì e venerdì, anche se di natura prettamente tecnica. L’indice azionario globale MSCI World chiude l’ottava con un passivo di circa lo 0,9%, portando il saldo di questo settembre complicato ad un -4,3%.

Wall Street chiude la settimana mista (S&P 500 -0,7%, Nasdaq 100 +0,1% e Russell 2000 +0,6%), ma con un discreto recupero dai minimi. I primi segnali di rimbalzo sono arrivati da un lato con l’avvicinamento di soglie tecniche sensibili e dall’altro, è stato anticipato da comparti, come i semiconduttori, che nelle ultime settimane stavano eliminando gli eccessi degli ultimi mesi. Un riprezzamento complessivo dell’equity che si è confrontato con un ambiente più ostile e caratterizzato da costi prospettici dell’energia più elevati e, in temini di impatto sulle valutazioni, dal rialzo dei tassi di interesse, che colpisce maggiormente i segmenti a maggior crescita. Ma lo shift settoriale non è andato a beneficio indistinto dei difensivi, anzi. Il rialzo dei tassi ha fatto scendere anche i titoli a bassa volatilità e quelli ‘cash-cow’, con il solo comparto Energy a tenere botta ma ovviamente incapace di reggere da solo il mercato nel suo insieme. Dal punto di vista tecnico, l’andamento ha sfiorato la zona di paura, che a livello di valori numerici individua l’area 4.170-4.250 come soglia di sostegno tecnico strategica (minimo a 4.238), annullando, di fatto, tutti i progressi fatti da maggio in poi con la coraggiosa rottura dei livelli di resistenza in essere in quel momento. I livelli raggiunti fanno pensare a due cose: sul breve l’ipervenduto può generare dei rimbalzi, sul medio termine le borse stanno testando aree definibili come minimo di periodo. Questo per l’intensità e la rapidità delle vendite nell’ultima fase, oltre che per la valenza delle soglie raggiunte: il movimento assomiglia, per ora, a quanto visto nello storno di marzo scorso. Valgono le stesse considerazioni ovviamente anche per l’indice tecnologico Nasdaq, che ha dato qualche segnale di reazione maggiore.

A livello settoriale, le dinamiche intermarket hanno affossato (-5,9%) il comparto utilities, sensibile, per livello di indebitamento, ai tassi di interesse. Deboli anche gli altri comparti, con il solo Energy (+0,9%) a trarre vantaggio dai rialzi del greggio. Male invece consumi di base e finanziari. Tra le borse, Europa debole (-0,7%, i Value hanno difeso poco questa settimana) insieme agli emergenti (-1,1%), con la Cina tornata a scendere per le vicende sempre collegate all’immobiliare e a Evergrande.

I dati macro della settimana, nel contesto di maggiore volatilità, hanno portato in realtà più cose buone che cattive, ma esse sono state quasi snobbate dal mercato che ha dato poco peso. Confermata la crescita del PIL USA nel 2° trimestre al +2,1% più basse sono state le richieste dei sussidi di disoccupazione e indice PCE (prezzi) secondo attese (+3,5%). Nella zona Euro, l’inflazione si modera pur restando su livelli sgraditi alla BCE: +4,5% vs +4,8% atteso a livello annuo.

MERCATO OBBLIGAZIONARIO

Il posizionamento “restrittivo” di Powell aveva prodotto nella scorsa settimana una intensificazione dei rialzi dei rendimenti sui governativi a lunga scadenza. Ma il mercato è stato sorpreso dal vedere come questo trend abbia poi continuato a imperversare fino a diventare quasi un panic selling. Il decennale americano, infatti, ha oltrepassato con velocità area 4,50% per poi sfiorare quota 4,70%. Il close è stato su livelli inferiori (4,57%), con uno smussamento temporaneo del movimento e della tensione generale nelle ultime sedute dell’ottava. La ripidità del movimento è andata a produrre una candela giornaliera tipica delle fasi di stress di mercato, con un picco quasi da panico. E’ vero che non siamo propriamente in territori inesplorati (nel periodo 2000-2007 sono stati notevolmente più alti ed occorre andare ad ottobre 2007 per ritrovare un valore simile) ma aver varcato le precedenti soglie di ottobre ha di fatto prodotto anche un effetto emotivo sul mercato, il quale, con un consensus quasi unanime è posizionato per una diminuzione dei tassi in un tempo non lontano. Da un punto di vista tecnico la fase di stallo dei tassi USA tra 3,30% – 4,30% nei mesi scorsi appare come una pausa prima di un altro slancio progressivo verso l’alto, con target intorno al 5% – 5,25%. Tra il 2000 e 2007 il range è stato dopo tutto tra 3,30% e 5,25% e la parte alta di questo range coincide con aspettative di inflazione tra il 2%-2,5% e tassi reali tra il 2,5%-3%.

I mercati sono volubili, è noto, e sono anche spesso emotivi nei movimenti. Ma il repricing in corso sulle parti lunghe delle curve di tutto il mondo (USA ma poi con effetto trascinamento anche l’Europa…e manca sempre all’appello il Giappone, che un ruolo proprio secondario non ce l’ha) è secondo alcuni sintono di un nuovo possibile scenario a cui semplicemente non si era più abituati e dove il driver guida è l’inflazione esplosa nel post Covid e esacerbato dalla guerra tra Russia e Ucraina. E se l’inflazione è uno degli attori in gioco, nell’altra parte troviamo le potenzialità di crescita dell’economia che deve essere capace di gestire questo possibile nuovo equilibrio finanziario. Intanto i mercati guardano ai prossimi mesi e scontano qualche possibilità di intervento della Fed verso dicembre o gennaio (35%-40%) per poi vedere 3 tagli da 0,25% entro la fine del 2024. Difficile sentendo parlare gli esponenti del FOMC, a meno di eventi capaci di far cambiare marcia alla politica monetaria della Fed. Intanto il tasso a 2 anni resta abbastanza stabile appena sopra il 5%. BCE viene vista invece praticamente arrivata nel percorso di rialzo dei tassi (16% a dicembre).

MERCATO DELLE MATERIE PRIME

L’andamento delle materie prime ha visto ampie divergenze tra i diversi segmenti di mercato: positiva l’energia (petrolio +0,8% a quasi 91 Dollari) e in rimbalzo i metalli industriali mentre pagano pegno i preziosi, indeboliti dall’apprezzamento dei tassi reali (2,23% quello USA). L’oro cade con fragore (-4%, 1.848).

MERCATO DELLE VALUTE

Volatilità anche sul cambio Euro Dollaro che tocca minimi a quota 1,05 per poi rimbalzare lievemente in chiusura. L’attuale dinamica intermarket vede infatti tensione negli USA a causa dell’atteggiamento della Fed e quindi cambio che volge in favore del Dollaro USA. La valuta europea perde inoltre contro diverse valute. In ulteriore recupero il Bitcoin (+1,4%) che rivede area 27.000, la tensione sui mercati finanziari il suo boost attuale.

Dott. Alessandro Pazzaglia, consulente finanziario indipendente, www.pazzagliapartners.it




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