MERCATO AZIONARIO
È arrivata finalmente la tanto attesa settimana con protagoniste le banche centrali: Fed e BCE hanno tenuto le rispettive riunioni, facendo diventare la settimana uno snodo importante per i prossimi mesi. La tematica della politica monetaria (tassi e altre azioni collaterali) resta infatti centrale nello scacchiere attuale dei mercati finanziari, d’altro canto il driver della liquidità riesce a muovere tanto le quotazioni azionare tanto quelle obbligazionarie come una sorta di forza di gravità, almeno nel breve/medio periodo.
Sul piano macroeconomico gli indicatori continuano a mostrare da un lato una discesa dei valori inflazionistici (regolare ma lenta) e, dall’altro, un graduale rallentamento della crescita, coerente, per ora, con lo scenario di ‘soft landing’ (ossia indebolimento della tendenza ma senza fasi recessive o comunque di modesta entità). Sul piano fondamentale, la stagione degli utili delinea un trimestre in contrazione sugli utili ma meglio delle attese negative.
A muovere le pedine sul breve resta ancora la tematica delle banche regionali americane, invischiate in una vera e propria crisi di settore, dove si è capito che i casi di situazioni critiche non sono proprio situazioni isolate. Anch’essi sintomi degli effetti dell’aumento del costo del denaro e, secondo alcuni, segnali di future situazioni di debolezza economica che la Fed sta gestendo garantendo finestre di liquidità e protezione sui depositi. In sintesi, i bond (e l’oro) hanno raccolto l’esigenza degli investitori di una maggiore prudenza; il finale di settimana, invece, con Apple, i dati relativi all’occupazione negli USA ha regalato un buon recupero a tutti i listini.
In questa settimana è toccato ad Apple mostrare dei conti che hanno superato le stime degli analisti, sia in termini di utili che ricavi, ricalcando quanto mostrato già dalla gran parte degli altri giganti del tech. Una moderazione quindi nel pessimismo delle previsioni che restano comunque prudenti fino alla metà dell’anno, per poi ritrovare tonicità sul finale del 2023. Sul piano macro, i dati sull’inflazione europea vedono ancora valori elevati (zona Euro al 7%, come da previsioni, ma sopra il 6,9% del mese precedente) mentre negli USA il mercato del lavoro ha evidenziato ancora una certa spinta (nuovi occupati su e disoccupazione in calo) e un quadro complessivo in buona salute, il che consente di dare supporto ai consumi.
Da un punto di vista tecnico, per l’S&P 500, è risultato ancora importante mantenere sul breve i livelli a quota 4.000/4.040, soglia centrale tra i livelli già testati per due volte in area 3.800 e l’ostacolo frapposto sui 4.200 punti. In attesa di slancio, l’indice USA rimane all’interno di una tendenza laterale che riflette l’incertezza degli operatori che ondeggiano tra ipotesi di soft landing (decremento della crescita e Fed che evita la fase recessiva riuscendo a contenere l’inflazione), hard landing (Powell che ‘rompe’ qualcosa facendo peggiorare notevolmente gli indicatori macro e i mercati) o addirittura un no landing (un’economia surriscaldata che non riesce a frenare con le ovvie conseguenze in termini inflattivi). Quello che si è visto in questi mesi del 2023 è proprio una sequenza di cambi di umore, con dinamiche alterne per azionario e obbligazionario. Il Nasdaq resta vicino ai 13.000 punti mentre l’Europa riesce a superare senza danni l’ottava, giovandosi di un quadro macro più favorevole (e più indietro nello sviluppo del ciclo economico). Tra i settori globali resilienti Utilities, Health Care e Consumer Staples, comparti difensivi e close in positivo anche per i Tech. Cade invece l’Energy (-4,6%) vista la discesa del prezzo del petrolio, tornando ad essere, assieme ai financials, gli unici settori in negativo da inizio anno. Tra i temi, da segnalare un nuovo best performer da inizio anno: sono gli auriferi che scalzano i semiconduttori, con un +23% nel 2023.
MERCATO OBBLIGAZIONARIO
In tema di obbligazionario, come detto, finalmente si è giunti alla resa dei conti con le decisioni di Fed e BCE sulla politica monetaria. Entrambi i consensus di mercato sono stati centrati, con il mantenimento delle posizioni da parte dei ‘duellanti’ (investitori e banche centrali). Powell, infatti, dopo aver comunicato l’aumento dei tassi nel range 5-5,25% (raggiungendo quindi i livelli attuali di inflazione annua), ha confermato che la Fed vuole vedere moderarsi sufficientemente (i.e. 2,5%) la tendenza dei prezzi prima di cambiare la propria strategia. Una Fed, quindi, dipendente dai dati che terrà i tassi allo stato attuale e che ignora (o fa finta di ignorare) quanto avviene in una parte del mondo bancario. Appare probabile che la catena di istituti in difficoltà possa allungarsi, ma la posizione è quella di lasciar fare al mercato tutelando i depositi, con un approccio darwiniano e temporalmente definito, a meno che non si abbiano in futuro effetti dirompenti anche sul resto del contesto economico. Quando alla BCE, Lagarde ha portato il tasso di sconto al 3,75%, ma chiarendo che gli attuali livelli di inflazione rendono necessari altri interventi per produrre, se pur in via ritardata, gli effetti necessari (e che, come per gli USA, si vedranno presumibilmente più avanti nel tempo).
La view della Fed stride (ma è un elemento di continuità) con le attese di mercato che vedono un taglio entro settembre e tre entro dicembre. Difficile dire se per il rapido declino dell’inflazione o se per problemi di natura sistemica o economica. Se l’equity non prezza pienamente uno scenario negativo, significa comunque che la tesi primaria degli investitori è quella di un rallentamento senza atterraggi bruschi. La tonicità del mercato del lavoro USA che contempla anche una dinamica salariale al rialzo sembrerebbe dare ragione alla Fed in tema tassi. I rendimenti, sulle scadenze a medio lungo dei governativi erano scesi molti durante la settimana per poi chiudere tutti ben sopra ai minimi delle sedute precedenti: il decennale si attesta infatti al 3,44% (+0,02%), con un minimo al 3,30%, una soglia che continua a non essere abbattuta al ribasso. Close stabile per i rendimenti di Bund 10Y (2,29%) e BTP 10Y (4,19%), con dinamiche simmetriche a quelle descritte per i governativi USA. Percorso inverso per gli High Yield: prima debolezza per l’allargamento degli spread e poi recupero sul finale.
MATERIE PRIME
In ambito materie prime, paniere ancora debole (-1,3%), zavorrato dai segni meno dell’Energy (-7,1%), con cali di e gas e petrolio (-7% a 71$). Incertezze economiche e surplus di materia prima in questa fase non danno particolari spinte speculative al rialzo. Bene invece l’oro (2.016, +1,3%, ma sotto i massimi settimanali) che trae forza da quanto succede nel sistema finanziario e resta bene rifugio per eccellenza.
MERCATO DELLE VALUTE E CRYPTOS
In tema di valute, saldo zero ma volatilità per il cambio Euro-Dollaro, con le quotazioni che rimangono nell’intorno di quota 1,10, senza che le riunioni delle banche centrali abbiano fatto propendere per qualche modifica della tendenza attuale. Bitcoin chiude in settimana invariato.
Dott. Alessandro Pazzaglia, consulente finanziario indipendente, www.pazzagliapartners.it