I listini azionari accelerano; Borse positive dopo i dati macro-favorevoli per una pausa Fed.

Dopo un mese di agosto vissuto per lo più con borse deboli, nell’ultima settimana i listini internazionali hanno ripreso tono sfruttando il passaggio indenne dal simposio di Jackson Hole e, anzi, rinforzando quelli che erano stati i germogli positivi della settimana precedente. Il tutto è avvenuto sulle ‘ali’ di dati macro tutt’altro che tonici per l’occupazione e la crescita USA, con il sentiment che ha interpretato il tutto con la possibilità di avere un quadro congiunturale meno surriscaldato. E, da questo, una Federal Reserve che in prospettiva può potenzialmente abbandonare un posizionamento ancora piuttosto rigida, non tanto sul numero di rialzi ancora necessari ma piuttosto sul mantenimento del livello attuale del costo del denaro. La settimana, infatti, ha visto positive tutte le asset class, dall’azionario, che accetta una crescita più moderata ma comunque positiva, all’obbligazionario, che vede marginalmente calare i tassi di interesse dai massimi toccati durante un mese di agosto piuttosto teso. L’indice MSCI World chiude la settimana con un +2,7%, riducendo di fatto a ben poca cosa la fase correttiva dai massimi. Un ripristino di un sentiment che torna neutro-positivo, in attesa di altri dati macroeconomici: qui il quadro resta infatti misto, lo conferma l’ISM sopra le attese che aggiunto un po’ di volatilità sul finale.

Wall Street torna comunque a fare la parte del leone tra le borse e, a parte qualche listino isolato (vedi FTSE Mib italiano), complessivamente appare più in grado di rispondere a stimoli positivi per l’equity, soprattutto se andiamo a considerare il Nasdaq, che sale infatti in settimana di oltre il 3,7%: la discesa maggiore del Nasdaq ad agosto ma anche capacità di reazione amplificata con le quotazioni che si riavvicinano rapidamente ai massimi di fine luglio. Se lo storno agostano serviva a saggiare la tenuta del trend, per ora il test è stato positivo: evidentemente il “buy the dip” ossia comprare nelle flessioni è la strategia ancora presente specie per gli investitori più ‘pesanti’. La settimana precedente lasciava formalmente aperta l’evoluzione sul breve per lo stesso S&P 500 (+2,5% nel saldo finale), ma la buona sequenza dai minimi fa rientrare le quotazioni in carreggiata. Il messaggio è abbastanza chiaro: per il momento le correzioni di breve possono ancora svilupparsi ma rientrano all’interno di una tendenza generale che le può accogliere senza eccessivi timori. Settembre non è mai un mese facile e resta quindi possibile vedere ogni tanto qualche nuovo ‘test’, d’altro canto ci sono le riunioni delle banche centrali per le quali i mercati hanno attese di ‘non-belligeranza’ da parte di Powell e Lagarde.

Tra gli altri mercati, l’Europa ha cercato di tenere il passo di Wall Street; chiude con un discreto positivo (+1,1% l’Eurostoxx 50) e con il mercato italiano che riesce a distinguersi ancora con una amplificazione dei risultati grazie al binomio banche/energia. Cerca di stare al passo anche il paniere emergente (MSCI Emerging Markets +1,5%): i listini cinesi hanno rimbalzato (grazie anche alle misure di stimolo ai mercati attuate dalle autorità cinesi) ma i guadagni da inizio anno ancora languono rispetto ai paesi sviluppati (+5,4% vs +16,7%).

Il sussulto rialzista della settimana è partito dal dato di martedì sui JOLTS, ossia il report sulle offerte di lavoro commerciali, industriali e uffici degli USA, uscito nettamente al di sotto delle attese di mercato (8,827 VS 9,465) e che certifica ormai un trend di deterioramento già visibile nei mesi più recenti. Anche il dato sul PIL (2,1% vs 2,4%) relativo al secondo trimestre ammorbidisce i rischi di un tono economico troppo irruento e l’andazzo ha trovato la terza conferma della crescita dei salari ad un ritmo mensile più moderato (+0,2% vs +0,3%), un dato più coerente con quanto vuole la Fed (a cui non sarà dispiaciuto anche l’aumento della disoccupazione dal 3,5% al 3,8%). Le borse interpretano questo come condizione per poter avere una politica monetaria meno restrittiva in futuro anche se dal manifatturiero, sono emersi segnali di ritorno di forza dopo mesi di contrazione.

MERCATO OBBLIGAZIONARIO

Il rilascio dei dati nel corso della settimana ha contribuito ad un marginale calo dei rendimenti sui diversi tratti della curva USA. Il decennale (4,18%), infatti, è scivolato per molte sedute, con un minimo al 4,05% (dal 4,25% di venerdì scorso), bottino smorzato dopo i dati di ISM manifatturiero. In realtà è tutta la curva USA ad essersi scivolata verso il basso, proprio per la natura dei dati usciti. Il calo settimanale dei rendimenti è al vaglio di un test importante: infatti l’uptrend dei tassi è a minimi crescenti negli ultimi mesi e da queste diminuzioni temporanee è sempre seguito, dopo un breve consolidamento dei corsi, un nuovo salto verso l’alto che ha mantenuto la struttura rialzista dal punto di vista tecnico. La reazione di venerdì dai minimi fa supporre che solo un ritorno sotto al 4% avrebbe valenza di inversione.

Anche la parte a breve USA ha moderato la sua salita nelle ultime sedute. Anche questo è l’effetto dei dati macro usciti e anche su questo tratto di curva la tendenza resta formalmente crescente e da monitorare nelle prossime settimane per capirne l’evoluzione. Se settembre rimane un mese da stand by per le decisioni di politica monetaria e per il resto dell’anno si è calmierata la febbre da nuovo rialzo. Se i dati deboli sul mercato del lavoro visti in settimana sviluppassero un trend robusto, potrebbero convincere infine la Fed a fermarsi, che però vuole vedere calmierazioni confermate su occupazione/inflazione. L’indicatore PCE (spese personali) si è attestato allo 0,2% mensile, in linea con le attese e probabilmente anche con quello che è l’idea di Powell (sebbene l’annuale voli ancora alto, al 4,2%). Powell starà usando il bilancino di precisione…

Un po’ più problematica resta la situazione in Europa dove i dati di inflazione non sono così domati come si pensava e si è tornati a vedere qualche scatto all’insù (5,3% dato annuale vs 5,1% atteso), con aumenti sopra quanto preventivato in particolare per Italia (mensile +0,4% e +5,5% annuale) e Spagna. BCE forse seguirà la Fed a settembre ma i binari potrebbero di nuovo dividersi se queste nuove tendenze di confermassero, d’altro canto l’economia europea rimane più sensibile alle variazioni dei prezzi delle materie prime.

MATERIE PRIME

Bel segnale del paniere generale che con un +1,2% settimanale porta la discesa da inizio anno ad un -5,4%. Grande ruolo ce l’ha il prezzo del petrolio che rompe finalmente la resistenza a quota 82$ (close a 85,5$,+7,2%) e punta ora verso l’alto, nonostante un sentiment quasi ‘nascosto’. A dare il boost il crollo inatteso delle scorte e la paura per gli eventi atmosferici che stanno interessando il Golfo del Messico. I dati sull’economia USA ridanno fiato all’oro (+1,3%, 1.940$ e ai preziosi ma il clima è stato tutto positivo per le commodities, visto che anche i metalli industriali hanno ripreso tono (+2,8%). Queste evidenze possono essere di supporto per considerazione sull’inflazione futura.

FOREX

In tema di valute, settimana di consolidamento per l’Euro Dollaro con andamenti anche contrastati tra le diverse sedute. Il close finale appena sotto 1,08 non cambia molto della configurazione grafica che vede valori in consolidamento sui minimi di periodo e in attesa di direzionalità. Qualche segnale di recupero per l’Euro c’è stato, marginale, dopo i dati usciti negli Stati Uniti in ambito macro, ma la giornata di venerdì ha bloccato il recupero. Sotto 1,08 le tendenze vedrebbero spazi tecnici ancora favorevoli al Dollaro USA. Il trend rialzista di ottobre è a rischio.

Dott. Alessandro Pazzaglia, consulente finanziario indipendente, www.pazzagliapartners.it




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