MERCATO AZIONARIO
E’ una sorta di ‘vecchio leone’ quello che possiamo scorgere nella fisionomia attuale dell’S&P 500: l’indice americano si trova a lottare con la tendenza negativa che caratterizza il 2022, cercando livelli tecnici a cui aggrapparsi per delimitare il drawdown dai massimi. Una fase correttiva, quella del principale indice americano, che si è finalmente meritata i primi titoli da parte dei giornali finanziari, visto che l’S&P 500 ha approcciato quel -20% di storno che storicamente ha delimitato le inversioni di tendenza primaria. E come sempre accade, giunti su questi livelli, gli investitori, prima forse desiderosi di comprare finalmente ‘a sconto’ dopo un precedente periodo di uptrend, mostrano indecisione, nervosismo e anche paura in alcuni tratti. Lo testimonia la seduta di mercoledì dove si sono visti tratti di panic selling sul mercato americano, con i panieri che hanno registrato la peggiore seduta dal giugno 2020 (-4% e -5% per S&P 500 e Nasdaq). E’ ormai da inizio aprile (dove è terminato l’effimero recupero fino a quota 4.600 dell’indice americano) che l’indice S&P sta descrivendo una serie di minimi decrescenti, giunti ormai in area 3.850 (il famoso -20% di cui si parlava), scontando le incertezze legate allo scenario macroeconomico e fondamentale.
La situazione scomoda per l’investitore è che il soggetto primario che sta determinando la fase correttiva per l’azionario è proprio quello che ha alimentato l’ampia liquidità a disposizione di mercato ed economia negli ultimi anni, ossia la Federal Reserve. Non solo attraverso la decisione di chiudere i rubinetti della liquidità (o la disponibilità di inchiostro delle stampanti) ma anche ponendosi a ‘muso duro’ contro le borse, con le quali la love-story durava ormai dai primi grandi interventi post crisi finanziaria del 2008. Due gli elementi principali che hanno determinato il sell-off di mercoledì: il primo derivante da quanto dichiarato dal presidente della Fed Powell, il quale ha mostrato piena determinazione nell’aumentare i tassi di interesse anche se questo dovesse comportare una fase recessiva dell’economia. Se la domanda deve essere ‘distrutta’ quale miglior modo se non attraverso il costo del denaro e anche un ridimensionamento delle borse? Negli USA il ‘wealth effect’ è una componente importante nel sistema finanziario ed è a tutti gli effetti un’arma se si vuol rallentare un’economia ritenuta troppo arrembante.
Il secondo elemento di questa settimana sono gli effetti sui consumi: la grande distribuzione comincia a sentire gli effetti dell’inflazione, non tanto nei ricavi ma negli utili, erosi dall’aumento degli input produttivi. Se questo trend continuerà, la Fed otterrà il suo obiettivo ma vi è totale incertezza su quale sarà il conto complessivo dell’operazione. Se l’aumento dei tassi ha ‘ripulito’ l’ambiente tech dagli eccessi di valutazione, l’andamento degli utili darà un verdetto sui fondamentali. In altre parole: la correzione è finora stata guidata dalla contrazione dei multipli, il resto dipenderà dai fattori economici. Da un punto di vista tecnico, invece, la sequenza di minimi e massimi decrescenti è in corso, con rimbalzi per ora poco incisivi per ribaltare la tendenza di medio termine.
La settimana si chiude quindi ancora con segni meno per Wall Street (-2,8% l’S&P 500, -3,7% il Nasdaq mentre l’Europa, grazie a multipli più economici ne esce ancora immune). A livello settoriale, sono gli Staples a patire la discesa più marcata dopo settimane di resistenza. Negativi ancora i Tech e i ciclici mentre Health Care, Utilities, Energy e Materials sono comparti che, per motivi diversi (difensività e legame con le materie prime) stanno riuscendo meglio a supportare l’urto del movimento ribassista in corso. Tra i temi bel ‘salto’ dei settori legati alle energie pulite (solare, idrogeno), delle infrastrutture e degli auriferi.
MERCATO MATERIE PRIME
Per quanto riguarda le materie prime, segnali di ripresa (+1,9%) dopo le ultime settimane di consolidamento. All’unisono l’andamento dei vari sotto segmenti: il petrolio supera i 110$ al barile e spinge l’energy, mentre oro (+1,4% a 1.837) e argento sostengono i metalli preziosi. Dopo settimane di discesa, tornano a fare bene anche i metalli industriali (+4,8%), con Alluminio e Zinco best performer.
MERCATO OBBLIGAZIONARIO
L’osservato speciale in ambito obbligazionario di questa prima parte del 2022 è stato certamente il decennale americano, che veleggia attualmente appena sotto la fatidica quota del 3%. A ben guardare, l’upside di questi primi mesi ha visto un primo momento di rialzo (fino al 2%) tra gennaio e febbraio (con il passaggio di pensiero della Fed da una inflazione temporanea ed assorbibile ad una tendenza al rialzo dei prezzi più impattante e più duratura) ed un secondo più accelerato, quando è diventato chiaro al mercato che le priorità per la banca centrale americana erano cambiate. Con delle conseguenze a livello intermarket: sull’obbligazionario, con lo shift quasi parallelo (verso l’alto) della curva dei rendimenti, da quelli a breve alla parte a medio lungo della curva: sull’azionario, con l’avvicinamento alla ‘soglia del dolore’ al 3% che ha prodotto una forte correzione sui listini, in particolare quelli legati ai tech e allo stile di investimento ‘growth’. In settimana, la presidente della banca federale di Kansas City ha dichiarato di non essere sorpresa delle discese dell’azionario, proprio perché la Fed, da qualche mese, ha appunto fatto presente di non poter tollerare dei valori record di inflazione. Inoltre: nel mettere in campo condizioni finanziarie più restrittive rientra anche (se pur non direttamente/volutamente) un mercato azionario meno esuberante.
L’operazione contro l’inflazione (e che finisce anche con il normalizzare una politica monetaria estremamente accomodante negli ultimi anni) continuerà fino a che non si veda materialmente scendere l’inflazione in modo convincente: fino a che questo non succederà, la Fed aumenterà i tassi di interesse, andando anche a raggiungere (e superare) il famoso tasso neutro al 3%. Per il momento 50 basis point di rialzo sono dati per scontati nel meeting di giugno e altri 50 a luglio. Quasi certa un’altra ‘iniezione’ della stessa entità a settembre mentre per fine anno la morsa restrittiva dovrebbe attenuarsi, con un target finale attorno al 2,75% a dicembre.
La domanda degli investitori di tutto il mondo è come avverrà questo percorso, irto di variabili di natura soprattutto macroeconomica. Intanto il termometro più preciso per valutare lo stato dell’arte è quello del tasso a 2 anni che dallo 0,11% di inizio anno si è spinto verso massimi in area 2,70%-2,80%, precisamente dove dovrebbe arrivare la Fed entro fine anno. Possiamo dire, quindi che questo scenario è digerito da parte dei mercati ma con una precisazione: non basta che i valori inflazionistici stiano fermi (in questo caso la Fed manterrebbe un profilo aggressivo), è necessario un rientro e una discesa. Non facile quando si è un contesto dove il conflitto tra Russia e Ucraina va avanti e dove i lockdown in Cina sono stati così forti da indurre la banca centrale a ridurre il tasso di sconto, elemento che ha permesso anche un parziale recupero dell’azionario sul finire di settimana.
Sui mercati obbligazionari, qualche guadagno ulteriore per i governativi US (un bis dopo i segni più della scorsa ottava) mentre nell’Eurozona si è avuto un Bund ed invece un BTP che ha continuato a esprimere un rialzo nei rendimenti, con uno spread ormai i 200 basis point. Praticamente stabile il corporate IG mentre l’High Yield continua ad essere poco tonico a causa delle preoccupazioni sulle tendenze macroeconomiche internazionali, con gli spread di credito che rimangono elevati. Ancora poco convincenti gli andamenti del governativo emergente, nonostante il forte deprezzamento da inizio anno.
MERCATO DELLE VALUTE E CRYPTOS
In ambito forex, settimana di recupero per l’Euro nei confronti del Dollaro USA, con il ritorno del cross in area 1,055-1,06. Tiene per ora, la linea Maginot dei supporti degli ultimi 5-6 anni. Da segnalare il ritorno di tensione sulla Lira turca (-4%) mentre risulta sempre più stupefacente l’andamento del Rublo, nettamente la migliore valuta (+24%) da inizio anno. Tentativi di consolidamento per le criptovalute dopo il selloff della settimana scorsa: il Bitcoin sul bivio di quota 30.000, fondamentale per evitare altri downside.
Dott. Alessandro Pazzaglia, Consulente Finanziario Indipendente, iscritto all’Albo delibera. 1081 del 18/04/2019. Info mail [email protected]