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domenica , 24 Novembre 2024

Le Borse su anche dopo l’inflazione UE, rimane la tensione sui tassi

MERCATO AZIONARIO

I mercati cercano un minimo di stabilizzazione dopo un febbraio particolarmente ostico da digerire, con poche asset class capaci di resistere in un contesto dove, come già raccontato, i timori per una inflazione poco gestibile si sono fatti certamente più marcati. Più che altro, il nervosismo (e anche il ri-prezzaggio delle attività finanziarie) si è concretizzato per la conseguenza principale che ne deriva, ossia livelli più alti di tassi di interesse decisi dalle banche centrali ma anche più lunghe tempistiche di ‘smaltimento’ della cura necessaria. Nel mese di febbraio appena concluso l’azionario globale, dopo alcune prime sedute promettenti, ha lasciato sul terreno, infatti, il 2,5% ma con distinguo rilevanti: S&P 500 -2,5%, Nasdaq invariato (ma era partito forte nei primi giorni), Europa ancora in tono positivo e Cina invece in forte deprezzamento (-11%). Poche soddisfazioni anche dall’ambito bond, con passivi tra il -2% e -2,5% per governativi e corporate (sia zona Euro che USD). Negative anche le commodities (quasi -3% il basket generale) con il solo Dollaro USA capace di rappresentare una valvola di sfogo a questi movimenti (+2,8%).

È soprattutto il riposizionamento della Fed in senso restrittivo a determinare questi movimenti intermarket, che ancora una volta legano insieme azionario e obbligazionario, sostanzialmente il leitmotiv del 2022. Un 2023 diverso poteva sembrare possibile vedendo le prima settimane di gennaio ma l’inflazione ha rovinato i piani agli investitori più ottimisti che ora si leccano un po’ le ferite e guardano avanti navigando un po’ a vista.

L’aspetto positivo, se in qualche modo non si vuol perdere uno spirito costruttivo, è che ora la disillusione è nei prezzi, anche se questo non toglie di torno le nubi nel cielo finanziario. Aleggia con probabilità un meteo ancora incerto, con i mercati che riprovano ora a ripartire o quantomeno a sedimentare nei loro pensieri.

La settimana macro ha affrontato ancora una volta il tema dell’inflazione, con i dati in uscita soprattutto sul fronte europeo. Da dire che le ultime due settimane avevano già in qualche modo preparato il terreno delle attese, con gli operatori che hanno compreso che la bestia inflattiva richiederà da un lato manovre più energiche da parte delle banche centrali e dall’altro anche più tempo, con un grado di incertezza persistente.

Il ricordo delle battaglie di Paul Volcker di inizio anni ’80 facilitano il compito in questo, anche vedendo quanto uscito in settimana nella zona Euro. Se le banche centrali guardano ai dati, come da loro dichiarato, certamente non farà piacere assistere agli indici dei prezzi al consumo ancora su livelli elevati: Italia +9,2% anno su anno (e +0,3% mensile) e zona Euro +9,9% anno su anno (e +0,2% mensile), tutti dati ben al di sopra di quanto atteso, specie nell’aggregato zona Euro dove addirittura si pensava (sperava) in un calo. Gli aspetti positivi arrivano dalla Cina (nonostante il calo delle borse di febbraio dopo il rally di inizio anno) dove il ciclo pare poter avere una spinta in positivo nei prossimi mesi, a beneficio dell’economia globale (ma anche dell’inflazione, a rigor di logica). La resilienza dell’inflazione è palpabile in tutta l’Eurozona (anche Spagna e Francia), a conferma di un movimento abbastanza uniforme per il mese di gennaio.

In questo contesto complicato le borse comprendono che l’inflazione fa male, come è ovvio, ma anche che è segnale di un ciclo che rimane ‘vivo’ nella sua spinta. Occorre mettere in evidenza due cose che gli operatori soppesano talvolta con ‘bilance’ differenti: dovranno vedere le banche centrali attive e dovranno poi probabilmente fare i conti con un rallentamento che potrebbe essere più o meno gentile nella seconda parte dell’anno.

MERCATO OBBLIGAZIONARIO

Il rilascio dei dati di inflazione ha ovviamente infiammato anche il comparto obbligazionario, che ha doverosamente prezzato un atteggiamento ancora più convinto delle banche centrali. Il tasso sui depositi nella zona Euro (ora al 2,50%) viene visto come top in area 4% sostanzialmente tra fine 2023 ed inizio 2024, con un ulteriore incremento proprio nelle ultime sedute. 150 punti base quindi di aumento nei prossimi meeting, che impegna la BCE molto più della FED, almeno in base alle stime di mercato. Per quanto riguarda, infatti, l’istituto guidato da Jerome Powell, vi potrebbe essere un top in area 5,50% (3 aumenti da 0,25%) per il mese di settembre circa, per poi vedere un calo solo nel corso della prima parte del 2024. Del tanto decantato “picco di inflazione”, insomma, non vi più traccia e i mercati si sono riallineati alla retorica dei banchieri centrali. Tutto il tema del rallentamento economico resta in penombra, ma c’è da scommettere che prima o poi se ne riparlerà   in quanto è difficile pensare che sul mercato del lavoro, sull’immobiliare e sui consumi non vi siano conseguenze sulla prova di forza di Fed e BCE.

MATERIE PRIME

In ambito materie prime, parziale recupero settimanale (+2,5%) che però non porta ancora il saldo annuale col segno più. Tornano gli acquisti su gas (+23%) dopo che il prezzo ha toccato dei minimi di periodo mentre il WTI si riavvicina agli 80$ (+4,4%) e soglia di resistenza degli ultimi mesi. Rimbalzo anche sei preziosi (oro + 2,5%) dopo la batosta della scorsa settimana e dei metalli industriali (+2,6%) sembrati legati a doppio filo all’andamento cinese.

MERCATO DELLA VALUTE E CRYPTOS

Per quanto riguarda le valute, la settimana ha visto il cambio Euro- Dollaro USA ondeggiare (1,06-1,07) senza particolare direzione, in attesa di maggiore direzionalità proveniente dalle banche centrali. Marginalmente però ha recuperato L’Euro, anche verso altri cross, dopo il rilascio dei dati inflazione persistente nel Vecchio Continente.

Dott. Alessandro Pazzaglia, consulente finanziario indipendente, www.pazzagliapartners.it

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