MERCATO AZIONARIO
Continua ad essere un mercato difficile quello di questo primo semestre del 2022, con discese rapide, tentativi di recuperi ma sempre in un contesto di volatilità sostenuta. La settimana precedente si era chiusa con un indice americano S&P 500 in bilico sui 4.100 punti, cercando quindi di salvare il supporto tecnico. Nell’ultima ottava la debolezza è stata ancora protagonista, con approfondimenti ribassisti tali da intimorire gli investitori che vedono la correzione da inizio anno allargarsi sempre più nel corso dei mesi. E proprio nella settimana appena conclusa, l’indice S&P 500, rispetto al top dei 4.818,62 punti di inizio anno, è arrivato a perdere il 19,99%(minimi settimanali a 3.858,87), ad un soffio, quindi, di quello che accademicamente viene definito come soglia oltre la quale lo storno diventa inversione tecnica. Una definizione che, in realtà , è solo ‘scolastica’ e che deve essere approfondita nelle cause che determinano la correzione su un indice borsistico sviluppato e diversificato. Per altre componenti del mercato USA siamo già su livelli ben oltre questa soglia, a testimonianza che gli andamenti in corso hanno precise motivazioni di composizione settoriale.
E’ infatti, il declino della componente tecnologica ad essere impattante, in primis sul Nasdaq, ma poi a cascata anche sul resto del mercato, vista la rivalutazione esponenziale dei giganti del tech negli ultimi anni. Titoli che vivono di aspettative e di crescita futura che li espone però alle dinamiche dei tassi di interesse, che, quando in rialzo, deprimono le quotazioni anche a parità di utili. Il drawdown del Nasdaq è già del 28% (prendendo minimi e massimi intraday), frutto di una larga parte del listino che ha dovuto riparametrare tutti i multipli sulla base di tassi di interesse molto più alti rispetto a quelli visti negli ultimi 2-3 anni. Il ritracciamento sui titoli tecnologici è in realtà ancora più significativo se si osserva che una buona parte del listino è su percentuale di discesa anche del 40%-50%. La grande espansione monetaria post Covid ha un ruolo determinante nella creazione della conseguente crescita degli indici e, simmetricamente, l’inversione ‘’a U’’ in senso restrittivo delle banche centrali sta ora creando un prosciugamento della liquidità . E questo senza parlare di utili, che vengono ancora visti in positivo per il 2022: le stime, infatti, rimangono sostanzialmente quelle di inizio anno, con una espansione vista soprattutto nella seconda parte dell’anno.
Un’ottava quindi negativa, soprattutto per gli indici americani (-2,4% S&P 500, -2,4% Nasdaq) che porta il passivo ad inizio anno tra il -15% ed il -24%, addolcite leggermente dal buon rimbalzo di venerdì. Meglio l’Europa (Eurostoxx +2,4%), meno esposta ai settori di tipo growth. Resistono, tra i comparti e i fattori globali, solo Utilities, Health Care e Consumer Staples, ossia i titoli difensivi, ad alto dividendo e a minore volatilità . Il mercato quindi, si comporta, da un lato, punendo i settori con i multipli più elevati e dall’altro, continua comunque a preferire quelli che più di tutti possono resistere ad una fase economica di maggiore debolezza.
E’ questo il punto chiave su cui vertono gli interrogativi degli investitori: siamo di fronte ad un ritracciamento di mercato che anticipa una fase recessiva o si tratta di un fine sbornia dove è stato necessario solo ‘ripulire’ gli eccessi? In questo secondo caso, molti multipli del Nasdaq si stanno ormai riportando verso valori più normali: ad esempio, l’EV/Ebitda dell’indice tech è a quota 21, ai livelli dei minimi Covid di marzo 2020 (a marzo 2021 era oltre quota 35). Nel primo caso, invece, il discorso sarebbe diverso: un calo della redditività generale delle società necessiterebbe di ulteriori ‘aggiustamenti’ prima di raggiungere dei minimi di fine downtrend. Fondamentale quindi, capire cosa succederà agli utili aziendali, vero ago della bilancia per il resto dell’anno.
MERCATO DELLE MATERIE PRIME
Per quanto riguarda le materie prime, altra settimana di consolidamento dell’asset class, con cali particolarmente marcati per metalli industriali e metalli preziosi, indeboliti dal Dollaro forte e da ciò che deriva dalla politica monetaria della Fed. Oro a 1812 $ (-3,8%), Petrolio a 110 $ (+0,7%). Resistono solo le materie prime difensive, come quelle agricole, con il grano che torna a salire.
MERCATO OBBLIGAZIONARO
Non è facile trovare una settimana positiva per l’obbligazionario in questa prima del 2022 ma l’ultima è effettivamente una di queste. Segni più soprattutto per il comparto governativo che torna quindi a respirare dopo aver toccato nella precedente ottava anche downside (per le medie lunghe scadenze) nell’ordine della doppia cifra percentuale. Un evento che colloca questo 2022 fra i peggiori di sempre, soprattutto per la rapidità con cui la discesa è avvenuta: da quando ad inizio anno la Fed ha cambiato ‘tono di voce’ l’upside dei tassi americani ha cominciato prima a superare i massimi del 2021, per poi accelerare in maniera esponenziale negli ultimi mesi. A sospingerla, un binomio quasi letale per i bondholder: da una parte una Federal Reserve già in ritardo nel proprio processo di normalizzazione della propria politica monetaria, dall’altra parte delle condizioni esogene che ha reso l’ambiente macroeconomico ancora più ostile. Se il mondo già affrontava con difficoltà il tema delle riaperture post Covid (con una domanda globale in crescita prepotente rispetto ad una offerta poco tonica), gli effetti della guerra in Ucraina non hanno fatto altro che acuire gli aumenti delle materie prime e quindi dei prezzi al consumo e alla produzione. Recentemente, gli stessi fenomeni sono visibili anche sul piano dei salari, almeno per quanto riguarda gli USA.
La Federal Reserve, in questo contesto, si trova quindi a rincorrere l’inflazione, con un gap ancora enorme per pensare di essere efficace con la politica monetaria. Nel corso della settimana sono usciti i dati relativi all’inflazione USA, che ha mostrato un valore in calo ad aprile rispetto a marzo (8,3% vs 8,5%) ma sopra alla stima prevista, confermando quindi ancora una certa ostinazione, soprattutto per quanto riguarda le componenti di energia e beni alimentari. Una doccia fredda, quindi, per i mercati, con le borse in netto peggioramento dopo il dato e che hanno cominciato a ripensare ad una Fed costretta ad essere molto incisiva per ottenere qualche risultato. Lo stesso presidente Biden, commentando i dati, ha affermato che vista la forza dell’economia e del mercato del lavoro, occorre pensare primariamente all’inflazione (e probabilmente anche alle elezioni di mid-term a novembre).
Interessante il movimento dei tassi che se inizialmente hanno reagito al rialzo con il decennale USA oltre al 3% poi in realtà hanno invertito la rotta in concomitanza con la fase di discesa più marcata dell’azionario, toccando minimi a quota 2,81%. Un segnale che l’area corrente dei titoli di rendimento dei titoli di stato americani è a tutti gli effetti una soglia di ‘dolore’ per l’equity non ancora digerita. Un altro punto di vista vede invece il tasso come legato alle sorti dell’azionario la cui caduta suggerirebbe un significativo rallentamento economico: in questa eventualità sarebbe difficile pensare ad altri incrementi importanti dei tassi, ragionevolmente la Fed dovrebbe essere più attendista rispetto a quanto preventivato. E qualche primo segnale in effetti si è visto durante il panic selling azionario. Le stime vedono comunque ancora interventi da 0,50 sui tassi sia a giugno che a luglio, senza nuove tensioni.
Anche in Europa comunque ha cominciato a soffiare il vento della normalizzazione monetaria: la BCE ha esplicitato che già a luglio vi potrebbe essere il primo aumento dei tassi, visti anche i livelli di inflazione ancora molto alti (7,5%). In parallelo, all’inizio del III°trimestre cesseranno gli acquisti netti di titoli. Un posizionamento più in linea quindi con la Fed e che comunque il mercato già prefigurava. Tra le altre asset class obbligazionarie: in recupero il corporate IG (grazie al calo dei tassi) mentre l’High Yield ha evidenziato il suo legame con l’azionario ed è stato penalizzato da ulteriori aumenti dello spread di credito.
MERCATO DELLE VALUTE
Settimana che ha visto la rottura dei minimi a quota 1,05 nel cross Euro/Dollaro USA, con la palese netta forza della valuta americana. Nonostante le dichiarazioni della BCE, il dollaro verde è visto come valuta rifugio dagli investitori in periodi di incertezza. I dati di inflazione USA inoltre mantengono un profilo restrittivo per la politica monetaria della FED. In un clima da risk off, caduta verticale per le criptovalute (Bitcoin -17,5%, Ethereum -24,5%), indebolite anche dal crash della criptovaluta coreana Luna.
Dott. Alessandro Pazzaglia, Consulente Finanziario Indipendente, iscritto all’Albo delibera. 1081 del 18/04/2019. Info mail [email protected]