Pil e Fed non fermano i listini, giù i tassi

MERCATO AZIONARIO

La positività della scorsa settimana (che era stata capace di riportare l’S&P 500 appena sotto quota 4.000) è continuata anche in questa ottava, nonostante vi fossero elementi capaci di portare fattori di volatilità per i mercati. In programma, infatti, era prevista la riunione della Federal Reserve nel suo meeting periodico ed il rilascio di dati macroeconomici piuttosto rilevanti, come quello relativo al PIL del secondo trimestre relativo all’economia americana. La costruzione rialzista che è partita da metà giugno ha continuato a mostrare il suo influsso positivo, è rispetto a quel momento che le borse (ed i mercati in generale) stanno parametrando il loro percorso in questa fase centrale del 2022. Un giugno che era stato particolarmente ‘cattivo’ con tutte le asset class: giù le borse per i timori recessivi e per i dati di inflazione ancora aggressivi, giù i bond per la paura che la FED fosse costretta ad una cura da cavallo tramite la leva dei rialzi dei tassi di interesse. E’ tipico delle borse anticipare ed anche impanicarsi ogni tanto e l’ultimo mese è servito per centrare maggiormente la situazione sul fronte fondamentale e macroeconomico. Il puzzle del 2022 resta in ogni caso complicato visto che i dati delle aziende e quelle macro sono giocoforza in ritardo rispetto ai buy/sell giornalieri. Da non trascurare anche altri due elementi a supporto del recupero: il posizionamento limitato in equity e le ricoperture mensili da posizioni short (‘short squeeze’).

I fronti aperti, infatti, sono molteplici e spaziano dalla stagione delle trimestrali (2Q) fino agli aggiornamenti su come l’economia USA sta affrontando una stagione alle prese con alti livelli di inflazione e con una FED che, a muso duro, si è rimessa in carreggiata per contrastarla, anche a costo di indebolire l’attività economica. Sul piano degli utili aziendali, il quadro complessivo conferma quanto visto nelle precedenti settimane: non vi è stato il tracollo temuto da molti e per lo più, se si considerano i dati aggregati, si può parlare di rallentamento della crescita ma non di involuzione in negativo. Se Meta delude (per questioni principalmente di ‘business’) e se Wallmart segnala l’indebolimento dei consumi, dall’altro lato big tech come Apple, e Amazon hanno evidenziato una certa capacità di gestire la fase di rallentamento. O almeno, hanno incorporato con le discese del primo semestre uno scenario peggiore di quello attuale. Sul fronte macroeconomico, invece, il PIL USA del 2Q è uscito in negativo (-0,9% rispetto ad attese positive per un +0,4%): il dato porta tecnicamente gli USA in recessione anche se c’è da dar ragione alla FED quando afferma che occorre un set di dati più ampio per declinare un concetto recessivo. I dati (positivi) di venerdì sui consumi per ora collimano con la tenuta degli utili aziendali.

Il problema è che molti indicatori utilizzati (disoccupazione, consumi, immobiliare) sono per loro natura ‘lagging’ (in ritardo), quindi, il mercato dovrà per forza basarsi su assunzioni e ipotesi senza molti punti di riferimento. In prospettiva appare difficile pensare che il percorso dei consumi e del mercato del lavoro non si indebolisca nei prossimi mesi. Intanto però le borse festeggiano anche per il tono un po’ meno tenebroso della Fed in tema di politica monetaria. Anche qui i listini hanno voluto vedere il bicchiere mezzo pieno, perché la Fed terminerà il ‘lavoro’ quando l’inflazione sarà su livelli accettabili (sia che serva una recessione, magari in forma ‘dolce’, sia che non serva). L’S&P 500 (+4,3%) supera quota 4.100 e punta ad un top di periodo e grazie soprattutto ai tech mira a obiettivi superiori di riaggiustamento dove resistenze tecniche rilevanti sono da mettere in conto. Ancora meglio il Nasdaq (+4,5%), sospinto anche dal calo dei tassi di interesse. Tra i settori, detto dei tech, bene anche le energie pulite (grazie al nuovo piano dei democratici) ed il comparto Energy, in forte rimbalzo. In calo il Vix, sui minimi (21) da oltre due mesi, segno della maggiore distensione sui mercati.

MERCATO DELLE MATERIE PRIME

La ripresa delle asset class coinvolge anche le materie prime: il paniere fa segnare un +4,6% grazie all’apporto di tutti i segmenti. Bene l’energia con il petrolio che torna appena sotto i 99 Dollari e bene anche l’agricoltura (+8%) dopo il netto calo delle settimana precedenti. Il calo dei tassi reali favorisce il recupero dell’oro (1.765 +2,2%). Positivi anche i metalli industriali che confermano il tentativo di rimbalzo (paniere +6% con in testa Zinco e Rame).

MERCATO OBBLIGAZIONARIO

Come nel primo semestre, l’obbligazionario non lascia solo l’equity nel recupero dai minimi di giugno e riesce a riguadagnare delle posizioni, con un movimento corale che coinvolge sia il segmento dei governativi che quello del corporate (sia Investment grade, sia High Yield). La minore tensione sul fronte delle banche centrali e qualche preoccupazione in meno sul fronte economico (o forse solo ‘calciata’ un po’ più in là nel tempo) stanno infatti permettendo ai tassi di scendere marginalmente e agli spread di credito di restringersi rispetto ai record di alcune settimane fa. I dati di mercato si sono confrontati ovviamente con l’evento clou della settimana, ovvero il meeting della Federal Reserve, atteso dai mercati per capire soprattutto la prospettiva con cui la banca centrale americana vuole muoversi nei prossimi trimestri. Anche perché il rialzo dello 0,75% dei tassi di interesse era decisamente l’opzione più prezzata da parte dei mercati, che avevano già da qualche settimana messo in disparte interventi più massicci che non sarebbero certamente stati graditi e capiti. 75 bps dovevano essere e così sono stati ma le parole utilizzate dal governatore Powell hanno assunto un sapore dolce per gli investitori o, almeno, questa è stata la lettura che è stata data.

E qui c’è forse tutto il punto relativo all’attuale convergenza (temporanea?) tra azionario e obbligazionario: se il mondo bond festeggia per alcuni dati macroeconomici deboli che dovrebbero/potrebbero far desistere la Fed da un atteggiamento troppo duro, quello equity si ‘accontenta’ di veder diminuita la stretta monetaria, per riassaporare quanto gradito negli ultimi 10 anni in termini di quantitative easing e costo del denaro a livelli estremamente compressi. Nei prossimi mesi questo andamento convergente potrebbe di nuovo scomporsi, specie se il sentiero di peggioramento dei dati macro dovesse continuare. Da parte sua la Federal Reserve, che nel breve non se la sente di definire l’attuale contesto come ‘recessivo’ è ancora convinta di riuscire nell’intento di non fare sconquassi. Dopo la riunione del FOMC, il rialzo da 0,75% previsto per settembre non è più così certo (se pur probabile), mentre il terminal rate per dicembre si attesta attorno al 3,25%. Considerato l’attuale range 2,50%-2,75% è facile dedurre come secondo il mercato, il lavoro sia quasi finito. Diverso invece quanto mostra il Dot Plot del FOMC: la maggior parte dei governatori pensa a tassi per fine anno più alti (anche il 4% secondo diversi componenti). Secondo il mercato dei bond, insomma, la debolezza arriverà e costringerà la banca centrale americana non solo a fermarsi ma, nel 2023, anche a tornare sui suoi passi.

La debolezza economica prevista (almeno da una parte del mercato) è accompagnata anche dalla view diffusa in settimana dal Fondo Monetario Internazionale, il quale ha rivisto al ribasso le stime di crescita per Europa e Stati Uniti. In termini globali, si tratta di un taglio dal +3,6% al +3,2%, ma con un potenziale di riduzione ulteriore in caso di resistenza delle pressioni inflazionistiche. Per gli USA il 2022 sarà comunque di crescita, se pur azzoppata e nel 2023 il PIL si dovrà accontentare di un misero +1%. Prospettive poco lusinghiere che andranno verificate nei prossimi trimestri ma che il mercato comincia già a mettere nei prezzi dei bond. Il Treasury a 10 anni tocca i minimi a 2 mesi (sotto il 2,70%) ma anche i tassi a breve scontano una Fed meno aggressiva (2Y a 2,84%). Ottimo per i governativi di tutto il mondo (anche nella zona Euro vi è stato un calo dei tassi con un Bund allo 0,82% e un BTP al 3,02%) che recuperano dopo il primo semestre molto negativo. In recupero anche il corporate e anche l’alto rendimento, allineatosi alla fase di risk-on presente sull’azionario. Il calo dei tassi reali ridà fiato anche agli strumenti inflation linked. Nella zona Euro, inoltre, i dati di inflazione hanno continuato a ‘mordere’: i mercati scontano la recessione ma la BCE potrà restare ferma?

MERCATO DELLE VALUTE E CRYPTOS

In ambito valutario, non è continuato il recupero iniziato dall’Euro verso il Dollaro USA, con la valuta americana che resta forte grazie ai toni meno ruvidi della Fed rispetto alle attese. Il cross rimane in area 1,015/1,02 mentre verso le altre valute l’euro è rimasto debole (CHF, GBP, YEN). Su anche le cripto, con Bitcoin (+6%) che torna sopra quota 23.000.

Dott. Alessandro Pazzaglia, Consulente Finanziario Indipendente, iscritto all’Albo delibera. 1081 del 18/04/2019. Info mail [email protected]




Condividi