Powell non ferma Wall Street, la Fed torna restrittiva ma avanzano ancora i tech, commodities in calo

MERCATO AZIONARIO

Dopo la forte salita della scorsa settimana, nella prima parte della settimana le borse si sono concesse un momento di consolidamento per soppesare nuovamente il contesto finanziario generale. Una fase di breve di questo tipo appariva fisiologica visto che il rimbalzo dei listini ha reagito ad una negatività durata praticamente tre mesi, con un ottobre che ha aggiunto ai temi di mercato già noti anche quelli del conflitto in Medio Oriente. Questa reazione si è mossa più velocemente in USA e  meno in Europa, Emergenti. Da una parte, ci ha pensato il presidente della Fed, Powell, a ricordare a tutti che la Fed (per tanti anni ‘mamma’ dei mercati) non ha perso la propria verve nel contrasto all’inflazione, visto che diversi indicatori, anche dopo la prolungata fase di rialzi, sono ancora su livelli non consoni. Sull’ultimo scorcio della settimana, però, Wall è sembrata anche più forte di queste indicazioni e l’indice globale delle borse, quindi, chiude l’ottava a +0,6%, con il bottino da inizio anno che viaggia ancora sopra al +13%. Indietreggiano i bond, soprattutto quelli governativi USA: la colpa è di un’asta di titoli a 30 anni deludente (oltre a Powell), evento che non piace particolarmente agli investitori perché mette pressione sulle prossime emissioni.

Wall Street ha corso molto da inizio novembre (S&P +5%) e la tenuta dei livelli tra 4.100 e 4.200 di S&P 500 è apparsa quasi come una difesa cruciale prima di mettere a rischio trend anche più importanti di quello che caratterizza il 2023 e nato dai mini dell’ottobre 2022 (minimi a 3.500/3.600). Siamo ancora distanti dai massimi di fine luglio (4.600) ma qualcuno ha già iniziato a mettere lo sguardo all’insù: tecnicamente ambizioso ma possibile se si prende la rincorsa giusta e soprattutto se il motore dei Tecnologici (dal peso rilevante) come sta accadendo gira nella maniera giusta. E’ sufficiente osservare il grafico di breve per vedere come la quota intermedia a 4.350-4.400 punti sia un crocevia importante se conquistato in maniera definitiva. La chiusura dell’S&P sorprende forse anche i più ottimisti, visto che un consolidamento era più che plausibile (può avvenire ma le basi tecniche si fanno più solide). La settimana, comunque, si è chiusa bene ma non per tutti gli indici USA: S&P 500 +1,4%, Nasdaq +2,9% e Russell -3,1%. Balzano agli occhi ancora una volta la reattività dei tecnologici e le difficoltà delle piccole capitalizzazioni, esposte sia al deterioramento della redditività causa tassi, sia alle tensioni di natura finanziaria.

L’Europa porta a casa un debole -0,2% (Stoxx Europe), con un altro gap negativo accumulato verso Wall Street (probabile un riallineamento lunedì). L’indebolimento dei segmenti globali Value è dovuto principalmente alla debacle di settori commodity-related come Energy (-3,4%) e Materials (-1,9%), venuto meno anche il timore di escalation in Medio Oriente: i Tech invece surclassano tutti gli altri settori (+4,4%). Visto da un altro punto di vista, è utile segnalare che il ratio tra Large/Small Cap continua a inanellare massimi, avendo superato i livelli del 2008. Nell’area emergente, si osserva una Cina in difficoltà (-2,5%) e in piena dinamica deflattiva, con poca reazione dei listini nonostante gli sforzi governativi in favore dei listini.

Uno sguardo ai dati fondamentali: dopo 3 trimestri di variazioni anno su anno negativi (4Q 2022, 1Q e 2Q 2023), gli utili dell’S&P 500 tornano a crescere, con un risultato stimato complessivo 2023 in leggero più (+1%). Le attese per l’anno prossimo restano a doppia cifra (+11,5%). Settimana invece povera di dati macro: ancora superiori alle attese i sussidi di disoccupazione negli USA (se pur di poco) mentre la Fed di Atlanta ha aggiornato le stime per il 4° trimestre al +2,1% (rispetto al +1,2% precedente), confermando quindi che l’economia USA, ai dati attuali, non è proprio così vicina alla recessione (elemento confermato anche dagli utili).

MERCATO OBBLIGAZIONARIO

Jerome Powell e la FED nella settimana precedente avevano mostrato un volto un più amichevole di quello che gli investitori erano stati abituati a vedere negli ultimi 18 mesi. In alcuni tratti, a dire il vero, un volto quasi irriconoscibile dopo anni di rotative di quantitative easing in funzione continuamente. E’ probabile che lo stesso si sia accorto di come i mercati abbiano accolto con favore le parole distensive (o almeno non belligeranti) ed infatti ha modificato leggermente il wording, dicendo che, in tema di inflazione, non è saggio lasciarsi fuorviare da alcuni mesi positivi e che in passato ci sono stati “head-fakes” (la finta che si fa nel basket con la testa per disorientare un avversario). Tradotto: occhio che ci sono possibilità di ritorni verso l’alto dell’inflazione e che la Fed li monitora con attenzione. Ma è stato il suo anche un modo per tenere alta la tensione sulla struttura stessa dei rendimenti. In chiusura di mercati è arrivato anche l’avvertimento di Moody’s, rating AAA confermato ma outlook che passa a negativo. Vedremo le conseguenze nella prossima settimana.

In generale possiamo dire che, anche con un sentiment un po’ cambiato, due sono le direttrici che ha Fed mantiene stabili. La prima è che Powell, in assenza di segnali negativi di tipo macro, può esercitare un forward guidance ‘soft’ con le proprie dichiarazioni; la seconda che, nello stesso scenario è probabile che la Fed non farà i tagli che il mercato si aspetta (dalle stime di probabilità 3 da 0,25 per il prossimo anno). Il decennale USA comunque ha trovato per ora area 4,50% come supporto nel suo rilassamento, da lì è rimbalzato ed è da vedere ora se si è trattato della stessa tipologia di pause che è concesso quest’anno (close a 4,65%). Il discorso di Powell ha anche riportato al 26% le probabilità di un ulteriore rialzo da parte della Fed per gennaio 2024 (dopo che erano scese quasi a 0 la settimana scorsa); anche il tasso a 2 anni è tornato sopra al 5%. Anche il Bund, dopo essere sceso dal 3% al 2,50%, in finale d’ottava ha ripreso a salire (close al 2,72%), riaprendo quindi i giochi sui tassi (anche il BTP decennale ha ritoccato verso a 4,58% a fine settimana). I dati macro dell’Eurozona però portano a pensare che la BCE non vada a toccare di nuovo i tassi (e non possa nemmeno farlo salvo scenari, ovviamente, ora non prezzati).

MERCATO DELLE MATERIE PRIME

Dinamiche piuttosto negative quelle viste sulle materie prime: il basket perde di netto oltre il 3% e indebolisce le velleità rialziste mostrate nelle ultime settimane e mesi. Non è solo il petrolio a pesare (-4,2% a 77$) ma anche la forte debacle dei metalli preziosi (palladio -14%, platino -9%, argento -4,1%, oro -2,6%) e di quelli industriali: incidono anche Dollaro in recupero e aumento dei tassi reali. Per gli asset più speculativi da considerare anche lo ‘stay local’ del conflitto in Medio Oriente.

MERCATO DELLE VALUTE E CRYPTOS

Un aumento della percezione di rischio (e di nuovi propositi da parte della Fed) ha ridato forza al Dollaro USA che ha bloccato la risalita del cross Eur-Usd (close a 1,068 dopo un top a 1,075). La costruzione resta rialzista (dai minimi a 1,04) ma sotto 1,06 sono probabili nuovi ritorni di tonicità per il biglietto verde. Vola ancora il Bitcoin (+7,7% a 37.300), halving e nuovi ETF sostengono ancora l’interesse per l’asset class.

Dott. Alessandro Pazzaglia, consulente finanziario indipendente, www.pazzagliapartners.it

 

 




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