Settimana di pausa per le borse; inizio settembre prudente per i listini e tassi e dollaro in rialzo

MERCATO AZIONARIO

Se la settimana scorsa dati macro ‘cattivi’ avevano portato a rialzi per le borse, facendo ipotizzare un posizionamento meno restrittivo delle banche centrali (in particolare la Fed americana), nella settimana appena conclusa il copione si è ribaltato, capovolgendo lo schema nella logica tutta contrarian delle borse. Infatti, dati macro-favorevoli all’economia USA (in particolare sul mercato del lavoro) hanno rifatto pensare all’ipotesi di dover ancora attendere prima di avere qualche segnale di distensione sul fronte tassi. Questo copione riguarda più che altro Wall Street, che a dire il vero continua ad ondeggiare negli atteggiamenti e nelle speranze prospettiche, tra il tifare per dati che possano mantenere l’attuale momentum economico (ancora tonico e con il riflesso poi positivo per gli utili aziendali) o, invece, gioire quando vengono meno i timori di un surriscaldamento dell’economia (con il termometro ‘inflazione’ pronto a misurare gli eccessi). O forse, dopo il rebound dai minimi di agosto, serviva qualche motivazione per far sedimentare un rimbalzo che (nuovamente) ha sorpreso molti, sia per intensità che per velocità. Va considerato comunque che settembre rimane un mese denso di avvenimenti capaci di fare da market mover per le borse, per cui fasi di prudenza sono comprensibili. A livello di indici, il MSCI World (globale) chiude la settimana con una discesa moderata (-1,3%), il saldo settembrino conferma la natura di mese fastidioso, mentre il risultato da inizio anno rimane positivo (+15%).

Wall Street ha sofferto maggiormente rispetto alle altre borse in questa settimana, considerazione che però va mediata con quella che vede i listini americani ben più generosi, rispetto al resto del mondo, nelle performance negli ultimi 6 mesi (+14,8% vs +2,8). La composizione settoriale ha un ruolo importante nel saldo settimanale che vede un S&P 500 declinare dell’1,3%, il Nasdaq 100 dell’1,4% e il Russell 2000 (small cap) del 3,6%: differenziali legati ai multipli di questi panieri e ai riflessi diretti dei dati macro usciti (migliori delle attese) che hanno fatto ripartire i tassi di interesse. Non è stata sempre vera questa relazione quest’anno: in questa fase, in cui non ci sono state notizie sugli utili o si è corso un po’, l’effetto si è fatto sentire di più. L’idea è che le borse, tolte di mezzo le insidie mensili (banche centrali, dati di inflazione) possano mantenere il loro percorso rialzista che ha, come mostrano i dati sugli utili, una base fondamentale.

Tra le altre borse: Europa in negativo (Eurostoxx -1,1%), anche se per motivi diversi da Wall Street, visto che il momentum economico non è certamente all’altezza di quello USA. Tra gli emergenti, poco variati gli indici cinesi ma il tono complessivo (-1,2%) è stato poco incline a sganciarsi dai paesi sviluppati, elemento che permane con poche eccezioni (India). Tra i settoriali, deboli i tech (tra cui i semiconduttori, -3,4%) mentre hanno resistito meglio l’Energy, supportato dal petrolio e qualche difensivo come le utilities.

Qualche cenno anche ai dati macro più importanti: certamente market mover è stato il dato sulle richieste di sussidi di disoccupazione, ben al sotto le attese e al dato precedente, confermando che il trend di deterioramento del mercato del lavoro non è poco sempre così univoco. E l’ISM non manifatturiero è uscito in gran spolvero, rinviando anche in questo caso le grigie previsioni di molti. In Europa, invece, le attese non sono così brillanti, Germania in primis.

MERCATO OBBLIGAZIONARIO

La settimana precedente aveva lasciato degli investitori col dubbio: una diminuzione dei rendimenti abbastanza promettente, smorzata però in buona parte da una risalita dai minimi. E da questi livelli, infatti, i valori hanno ripreso a salire, di fatto non lasciando il percorso rialzista che li sta caratterizzando ormai da aprile/maggio. Non è questo un momento casuale: si era reduci dal quasi disastro sul comparto bancario americano e addirittura si sussurrava insistentemente di una inversione nella politica monetaria della FED. Messa la toppa e vista la forza dell’economia americana, i rendimenti hanno ripreso a salire, sia sul decennale sia sul trentennale. Più moderata la situazione nel breve termine: il mercato pare in qualche modo allineato alla Fed sui valori che quest’ultima potrebbe raggiungere in prospettiva con un livello già soddisfacente se consideriamo quanto si è moderata l’inflazione negli ultimi mesi (3,2% a luglio). Per questo il titolo a due anni già sconta un moderato easing della politica monetaria americana, che con i tempi di Powell, prima o poi arriverà. Meno governabile dagli investitori è la parte lunga: gli automatismi di un calo dei tassi di interesse appaiono concreti se si ipotizza un ‘grosso’ problema al motore economico americano ma se questo non avviene prevalgono oggettivi elementi di pressione al rialzo. Tra questi la necessità di elevati rifinanziamento del debito per un paese che, come altri ovviamente, sta spingendo sulla leva del deficit per dare sostegno all’economia e a progetti di lungo termine (infrastrutture, transizione energetica).

Nell’Eurozona la fase è più confusa, anche all’interno della stessa BCE. In settimana il presidente della Bundesbank Nagel ha chiarito il suo punto di vista: il percorso sui tassi non è concluso ed è prematuro prefigurare cambi di rotta. La BCE, in effetti, è su una sedia scomoda: più lontana dal target di inflazione (oltre il 5% vs 2% desiderato entro il 2025) ma anche un momentum economico che soffre delle difficolta della Germania. Il meeting di settembre è aperto alle possibilità di intervento così come quelli dei mesi successivi.

MATERIE PRIME

Frena un po’ l’indice generale delle commodities dopo i segnali incoraggianti delle scorse settimane, non per colpa del petrolio che, anzi, marcia ancora verso l’alto (87,5$, +2,3%), supportato dai tagli alla produzione e dai cali delle scorte. Male, infatti, i metalli industriali che non riescono proprio a invertire la propria rotta (-3% e -14,9% da inizio anno). I buoni dati macro rafforzano il Dollaro e rendono invece meno appetibile l’oro (1.919$, -1,1%) che continua il suo zig zag poco direzionale.

MERCATO DELLE VALUTE E CRYPTOS

Il ripiegamento sotto 1,08 del cambio EURUSD ha prodotto un altro scivolamento verso il basso (close a 1,07): il trend di rivalutazione della valuta europea iniziato ad ottobre comincia ora ad essere a forte rischio dal punto di vista grafico. Il biglietto verde esce infatti rafforzato dalla settimana macroeconomica. Misti gli altri cross, con una generale debolezza delle valute emergenti. Stabile il Bitcoin (+0,5%), tra 25.000/26.000, livelli vitali per evitare altri downside.

Dott. Alessandro Pazzaglia, consulente finanziario indipendente, www.pazzaglipartners.it




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