Le azioni non sono tornate ai massimi livelli rispetto alle obbligazioni durante la settimana, e gli indici azionari hanno ripreso il trend al rialzo, recuperando completamente la correzione dei primi giorni di agosto. Sullo sfondo permane un forte interesse sulle previsioni riguardo un possibile taglio dei tassi di interesse nei prossimi mesi. Fino a dieci giorni fa, le probabilità che la prossima riunione del Federal Open Market Committee (prevista due giorni dopo le elezioni presidenziali) avrebbe replicato il taglio di 50 punti base di settembre erano elevate. Tuttavia, i dati economici attuali sembrano troppo solidi per permettere un’azione del genere, e la possibilità di un taglio di tale entità è stata completamente eliminata nei futures sui fondi federali.
L’ultima settimana ha infatti visto un significativo riaggiustamento nella curva dei tassi a breve termine previsti dalla Fed. Ma perché una reazione così forte? La causa principale è il dato sulla disoccupazione statunitense rilasciato alla fine della scorsa settimana, che è scesa al 4,1%, vero “market mover”, sostituendo in parte quello sul tasso di inflazione. Questo primato del tasso di disoccupazione nel muovere i mercati è iniziato da quella correzione significativa di inizio agosto, che sì, era stata proprio innescata dall’aumento della disoccupazione oltre oceano. Ora, a distanza di due mesi, siamo tornati a un tasso di disoccupazione pre-agosto; pertanto, non è ancora del tutto chiaro se l’economia stia effettivamente entrando in recessione o meno.
Un altro fattore macroeconomico rilevante per chi spera in tagli dei tassi è rappresentato dalla crescita delle buste paga. I salari nel settore privato americano sono tornati a crescere del 4%, una buona notizia per il tenore di vita, ma meno positiva per i banchieri centrali che cercano di evitare nuove fiammate inflazionistiche.
A proposito, giovedì prossimo verranno pubblicati i dati sull’inflazione negli Stati Uniti, ma non c’è da preoccuparsi troppo ora che i dati emersi dal mercato del lavoro statunitense hanno fornito segnali distensivi. Inoltre, dobbiamo anche considerare l’elemento di novità di fine settembre, ossia una delle più grandi manovre di stimolo avvenute in Cina, questo ciclo economico potrebbe quindi essere destinato a proseguire.
Mercato Azionario
Sui mercati azionari si è chiuso anche il terzo trimestre. L’ultimo mese ha mostrato una netta controtendenza rispetto alla prima parte del 2024. L’economia americana ha continuato a crescere nel terzo trimestre, ma a un ritmo più lento: l’S&P 500 ha registrato un +5,5%, mentre il Nasdaq si è attestato a +2,6%. Inoltre, la leadership è tornata al primo indice, segnando una pausa nella corsa del settore tecnologico, in particolare quello dei semiconduttori.
Un evento di discontinuità negli ultimi giorni è stato il divario di performance tra il mercato azionario americano e quello europeo, con l’S&P 500 che ha chiuso a +0,2% contro l’Eurostoxx 50 a -1,40%. La causa principale di questo risultato è da ricercare nell’aumento repentino e consistente del prezzo del petrolio. L’indipendenza energetica degli Stati Uniti ha permesso loro di affrontare meglio questa sfida rispetto all’Europa, fortemente penalizzata. Inoltre, l’indice americano, caratterizzato da una preponderante componente tecnologica e di difesa, ha beneficiato di due settori che hanno tratto vantaggio dalle crescenti tensioni geopolitiche.
In Asia, l’Hang Seng di Hong Kong ha chiuso in forte controtendenza rispetto ai mercati globali, con una performance superiore al 10%. La combinazione di politiche fiscali e monetarie espansive, con uno stimolo superiore al 3% del PIL, ha rapidamente cambiato le prospettive di un’economia che sembrava destinata a un “hard landing” deflazionistico.
Mercato Obbligazionario
Nel corso dell’anno, la Fed ha fatto capire ai mercati che la disoccupazione, ora, conta tanto quanto l’inflazione, se non di più. Dopo i dati della scorsa settimana sulla disoccupazione, la paura della recessione di agosto è svanita e si ritorna a preoccuparci del surriscaldamento e dell’inflazione. I dati sull’occupazione non agricola di settembre hanno infatti provocato un aumento di 12 punti base nel rendimento dei treasury a 10 anni, il più grande rimbalzo dai dati sull’occupazione di giugno. Mai come quest’anno i rendimenti dei titoli del Tesoro hanno cambiato direzione in risposta proprio all’uscita dei dati sui posti di lavoro. In Europa invece si è concretizzato un altro scenario ; Il tasso d’inflazione nell’Eurozona in settimana scende al di sotto del target della BCE per la prima volta dal giugno 2021, passando dal 2.2% all’1.8%, un dato anche inferiore alle attese di 1.9%. Tutte e 4 le grandi economie dell’UE hanno adesso un tasso d’inflazione inferiore al target della BCE: Germania (1.8%), Francia (1.5%), Italia (0.8%) e Spagna (1.7%). Alla discesa dell’inflazione dell’Eurozona ha contribuito in modo determinante il calo della componente energetica (-6%). Piccolo segnale di rallentamento nella crescita dei prezzi dei servizi (da +4.1% a +4%) ma salgono le componenti di alimentari, tabacco e alcohol. Infatti, l’inflazione core scende in modo meno deciso di quella headline: da +2.8% a +2.7%. Ora le probabilità di taglio da parte della Bce per il mese in corso si fanno più concrete, e di nuovo si presenta lo spettro di due politiche monetarie tra le sponde dell’oceano differenti.
Mercato delle materie prime
Dopo essere sceso abbondantemente sotto i 70 $ in settimana il petrolio registra un rimbalzo del 8.49% che riporta in positivo il bilancio da inizio anno. La quotazione del greggio è spinta al rialzo dai timori di una escalation in Medio Oriente tra Iran e Israele. Non bastano a tenere sotto controllo la quotazione del petrolio né la conferma dell’Opec+ che aumenterà la produzione, né i rumors che l’Arabia Saudita possa abbondare il price-target (100 $) dando avvio a una guerra dei prezzi, né il rimbalzo delle scorte settimanali di greggio in America. L’oro staziona invece su valori massimi e rimane invariato in attesa di sviluppi sul fronte caldo del Medio Oriente, rimane quindi ancora una dei migliori asset in termini di performance del 2024 +28.32%.
Mercato delle valute
Un importante conseguenza dei buoni dati statunitensi è stato il ritorno del dollaro. Il dollar index (il dollar index è un indicatore che misura il valore del dollaro statunitense rispetto a un paniere di sei valute principali: euro, yen giapponese, sterlina britannica, dollaro canadese, corona svedese e franco svizzero) nelle negoziazioni di venerdì è salito ai massimi da metà agosto. Solo due settimane fa aveva quasi azzerato i guadagni dell’anno. L’enorme taglio della Federal Reserve e le speranze di un ciclo di allentamento più rapido ne erano stati la causa. Ora i giochi si sono riaperti. Oltre ai dati sull’occupazione di settembre che fanno venir meno un altro taglio di 50 punti base il mese prossimo, altri fattori hanno sostenuto la ripresa del dollaro. Tra questi figurano le solide indagini dell’Institute of Supply Management, i segnali accomodanti della Banca Centrale Europea e della Banca d’Inghilterra e l’escalation delle ostilità in Medio Oriente che ha rafforzato l’attrattiva del dollaro come bene rifugio A conferma la forte corsa verso la valuta di riserva è stata la debolezza nelle principali valute dei mercati emergenti. Nonostante una flessione settimanale del 4.25% del Bitcoin le crypto registrano l’inflow maggiore da Luglio 2024 in settimana.
Dott. Alessandro Pazzaglia, consulente finanziario indipendente, www.pazzagliapartners.it