CRONACHE DALLA POLTRONA Speciale Cannes “I Dannati”: western, spiritual e un pezzetto di Friuli che produce

Prima visione qui a Cannes in concorso nella sezione “Un certain regard” e premio per la migliore regia, questo film di Roberto Minervini, italiano di Fermo (AN) e americano newyorkese per meriti professionali, “I DANNATI” è ora anche in sala in Italia meritoriamente distribuito da Lucky Red di Andrea Occhipinti.

Prendete, per ipotesi, una serissima troupe impegnata nella realizzazione di un tosto documentario osservazional-narrativo, di quelli alla Wiseman per capirsi, dove l’autore e il direttore della fotografia e il fonico si mettono a seguire con la telecamera, per mesi interi, interminabili giorni e notti, una situazione, una storia, un gruppo di persone, etc…

Ecco prendete questi tizi cineasti qui e catapultateli assieme a tutti i loro accrocchi e attrezzature in un cosiddetto “ponte di Einstein – Rosen” ovvero un cunicolo spazio-temporale, (un wormhole dicono i fisici) dove con velocità superluminali possano comodamente raggiungere il 1862 ( N.d.R: l’anno di entrata in vigore della Lira italiana!) piombando in piena Guerra di Secessione in mezzo a una stropicciatissima guarnigione di volontari Nordisti incaricati di esplorare e presidiare le inospitali, fredde ed insidiose piane del Montana.

Questa troupe torna a casa con ore ed ore di materiale girato con questi criteri: stando fianco a fianco all’oggetto da raccontare fino a “fondersi” con l’oggetto stesso, fino a farsi “assorbire” nelle situazioni, diventando la famosa “mosca sul muro” che tutto vede ma che nessuno nota più, affinchè i protagonisti si dimentichino completamente della presenza delle macchine da presa.

Ecco prendete tutto questo materiale video raccolto con questo sistema qui e poi editatelo “Cum grano salis”: saggiamente e con grande respiro art-house, ed ecco qui che abbiamo questo film intenso e ruvido in superficie ma finemente levigato in profondità: “I DANNATI” di Minervini.

Questo è un western atipico dove i militi nordisti sono quasi abbandonati a loro stessi e sono sempre seri, seri e serissimi e fortemente e drammaticamente compresi e compressi nel loro essere/ruolo e dove, per noi umili spettatori, l’identificazione “osservazionale” è così forte che davvero ci dimentichiamo completamente che sono attori e che è un film di finzione.

Una delle cose più intriganti di questo film è l’assenza di una rigida gerarchia militare tra i soldati. Non è subito chiaro chi siano gli ufficiali, i sottufficiali e le truppe. Sembrano tutti sullo stesso piano, in una guarnigione piuttosto compatta. Li vediamo spesso di spalle o in controluce, inquadrature che rivelano un meticoloso lavoro sull’uso delle ottiche. La fotografia è magistrale, con un ampio utilizzo di lenti anamorfiche e, credo, vintage, che offrono grandi profondità di campo e suggestive sfocature. Abbondano primi piani di barbe, zazzere e volti segnati dalla vitaccia, mentre i personaggi secondari variano dal brutto, al bruttisimo, al freak, con facce che sembrano uscite da un’altra epoca e da archivi casting decisamente poco convenzionali.

Un aspetto notevole è anche la cura visiva riservata alle armi, descritte in modo realistico e dettagliato e ai costumi e props in generale, molto curati.

Le musiche sono raffinatissime e ultra minimaliste, degne di lode al pari del suono, composto principalmente dai rumori della natura e delle battaglie, cavalli inclusi. Il film nel complesso è di una qualità tecnica effettivamente eccezionale.

La trama del film potrebbe essere riassunta nella scena iniziale, una metafora del nonsense militarista che emerge dal film. Vediamo la carcassa di un capriolo divorata da un lupo, cui si aggiungono altri lupi, una scena cruda e naturalistica che riflette lo spirito del film. Non è un caso che il primo conflitto a fuoco che si vede nel film, circa 40 minuti dopo, sia il più significativo: non vediamo mai i nemici, solo i bagliori delle loro armi, seguiamo a livello del terreno di battaglia, da dietro, quasi sbirciando appena sopra le spalle dei nostri soldati.

Ci sono momenti paesaggisticamente e emozionalmente splendidi, come quando alcuni soldati lavano i cavalli in un ruscelletto e li abbracciano con tenerezza. Questo rapporto quasi simbiotico con gli animali è molto toccante. Verso la fine, le conversazioni tra i soldati diventano più profonde, toccando temi esistenziali come l’esistenza di Dio, il giusto e lo sbagliato. Si interrogano sul perché Dio dica di non uccidere eppure loro uccidano. Questi uomini pur rudi e sicuramente poco o per niente scolarizzati, paiono raggiungere profondità esistenziali impressionanti, mostrando come la guerra porti a riflettere sul senso della vita.

Il film è una co-produzione Italia-Belgio con il supporto degli Stati Uniti, di gran livello meritando ampiamente la selezione a Cannes. In sala, non è per tutti: non aspettatevi una galoppata dall’inizio alla fine, è più un percorso spirituale che una corsa sfrenata.

In questo notevole film c’è anche un po’ di Friuli Venezia Giulia, grazie a Okta Film di Trieste che con Paolo Benzi ha avuto accesso ai contributi della Friuli Venezia Giulia Film Commission. Questa cosa mi ha fatto riflettere che mi piacerebbe moltissimo vedere una storia simile, con gli opportuni adattamenti, che racconta le vicende di una guarnigione di Alpini persi nei Magredi in un paesaggio friulano così peculiare e di “frontiera”, vorrei proprio vederli mentre lavano i muli nelle pozze del Cellina-Meduna…

Pasqualino Suppa




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