L’evoluzione dello slang nella lingua italiana

A chi non è capitato almeno una volta? Essere nel bel mezzo di una conversazione con qualcuno appartenente ad una generazione diversa dalla propria, e vedere il loro sguardo perso nel vuoto subito dopo che avevate fatto un riferimento o usato una parola di “slang” per loro sconosciuta. Molti di noi fanno sicuramente fatica a rendersene conto ma anche il linguaggio, così come ogni altro aspetto del vivere quotidiano, è in perenne evoluzione. Molto spesso proprio per rispondere all’esigenza di raccontare un mondo in perenne cambiamento e che non può ovviamente essere più narrato con la termologia di trent’anni fa.

Basti pensare anche solo a come lo sport (storicamente uno dei mondi capaci d’influenzare maggiormente la nostra società, e di conseguenza il nostro linguaggio) sia stato capace di “intromettersi” nel parlato quotidiano e in quello tecnico: è il caso del poker che, con una serie di terminologie specifiche, ha “contaminato” altri sport e non solo.

A chi non è infatti mai capitato di sentire l’espressione “andare all-in”, usata quotidianamente per riferirsi a una situazione in cui si è disposti a mettere tutto in gioco pur di raggiungere il risultato finale? Lo stesso termine “poker” poi è diventato un sinonimo del numero quattro, riuscendo così a inserirsi nei contesti più disparati.

Ma perché è cosi importante osservare i cambiamenti linguistici nel corso del tempo? Stando a Vera Gheno, dirigente di Twitter e stretta collaboratrice dell’Accademia della Crusca, l’evoluzione dello slang è qualcosa di importantissimo, un passo cruciale che le nuove generazioni compiono per autodeterminarsi e quindi distinguersi dal modo di parlare di quelle precedenti. Non a caso, tutti probabilmente ricordiamo una serie di espressioni che venivano ritenute particolarmente innovative anche solo una decina di anni fa che oggi, complici il cambio dei tempi, suonano decisamente obsolete e fuori dal tempo. Lontani sono ormai i tempi in cui parole come “scialla” (“non ti preoccupare”, “stai tranquillo”) e “socio” (per riferirsi al migliore amico) potevano rendervi in qualche modo al passo coi tempi, tanto per citarne un paio.

Il più delle volte queste parole hanno una vita talmente breve da non venire neppure registrate nei vocabolari, diventando, un po’ come le hit estive musicali, una sorta di meteore della linguistica italiana.
Secondo il linguista svizzero Saussure, la nascita dei neologismi “slang” deriva spesso dalla necessità di dover descrivere un fenomeno, un oggetto o un’azione che non esisteva fino a poco tempo fa. Nasce quindi il bisogno di trovare un modo per descrivere quell’azione o, per usare le parole dello studioso svizzero, “un significante”.

Ma non solo: nello sviluppo della lingua dei giovani ha un ruolo pressoché fondamentale anche la lingua inglese, i cui “prestiti” sono diventati sempre più dominanti all’interno della nostra cultura. L’inglese, in particolare quello americano, si fonde poi molto spesso con le abbreviazioni tipiche della comunicazione istantanea online e, infine, finisce per mischiarsi con altre espressioni italiane (o addirittura dialettali) dando così vita a una serie di neologismi unici. Un’altra fonte d’ispirazione per la nascita dei neologismi? Il mondo dei videogame e, in generale, quello dei social network. Due componenti dominanti nella vita della cosiddetta Gen Z. È questa l’origine di termini come “blastare” (ammutolire qualcuno) o “bannare” (nato per descrivere quella squalifica con cui i social puniscono i propri utenti più indisciplinati).

Nonostante la comprensibile diffidenza iniziale, tutti i principali linguisti sottolineano come lo slang sia un qualcosa assolutamente da non sottovalutare. Anzi, la conoscenza di questi nuovi termini sta diventando sempre di più importante per tenerci al passo coi tempi e per riuscire a mantenere le “vecchie” generazioni in contatto con le nuove. Il consiglio è quindi semplice. La prossima volta che sentite qualcuno più giovane usare una parola dal significato misterioso non vi resterà altro che chiederne l’origine, accettando di correre il rischio di sentire le parole più temute da qualsiasi persona over 60: “Ok, Boomer”.




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