Buon 2024! Si riparte con qualche segno meno sulle borse e i tassi in risalita
Analisi Intermarket
Come era presumibile aspettarsi, dopo i festeggiamenti dei mercati di dicembre, è arrivato il conto da pagare o forse anche solo un acconto. Le borse, infatti, correggono, chi più chi meno, ma soprattutto si attenua il clima iper ottimistico che si era creato nelle ultime settimane del 2023, che aveva visto banchettare insieme azioni, obbligazioni, oro e anche l’Euro. Un andamento convergente che ha, in realtà, lo stesso sottostante nella relazione causa-effetto, ossia un posizionamento sbilanciato nel mercato che ha utilizzato ‘a leva’ i primi messaggi distensivi da parte delle banche centrali negli ultimi meeting, specie quelle di Jerome Powell. Qui entrano in gioco elementi che ormai fanno parte, come componenti strutturali, nelle dinamiche di mercato e figli dell’uso della leva finanziaria e dei derivati. Posizionamenti di questo tipo, infatti, possono provocare poi rapidi cambi di umore nelle variazioni di breve termine, con soggetti che velocemente si trovano a dover coprire posizioni ‘short’ o rispondere, in maniera quasi automatica, a sollecitazioni algoritmiche. Spesso, senza guardare neanche tanto ai fondamentali o ponderare in modo qualitativo gli scenari che si hanno di fronte. Chiuso il 2023 con rialzi irripetibili di azioni e bond (se presi congiuntamente), è arrivata quindi qualche presa di profitto, più impattante dove i guadagni erano più corposi: l’innesco è arrivato, quasi puntuale, sia con fattori di politica monetaria (il rilascio dei verbali dell’ultima riunione del FOMC Usa) sia dai dati macro attesi per la settimana. Si rientra insomma in quel leit-motive indicato dalla stessa Fed per tracciare il sentiero dei tassi di interesse, ossia data-dependant.
Mercato azionario
Entrambi gli elementi hanno portato a smussare l’ottimismo di dicembre, tanto da far chiudere l’MSCI World con un passivo dell’1,5%, ma con gli indici USA più negativi del resto del mondo per la debacle dei titoli tecnologici (semiconduttori in primi). S&P 500 e Nasdaq chiudono la prima settimana, infatti, con passivi rispettivamente del 1,5% e 3,1%, appesantiti anche dallo scivolone di Apple, downgradata per le ripercussioni delle vendite nel mercato cinese (eh si, i danni arrivano anche se non si investe direttamente lì!). Leggermente negativa l’Europa mentre tornano a scendere anche i paesi emergenti (-2,1%) dopo i mini recuperi di fine 2023. L’indice S&P 500 cede proprio prima di sferrare l’attacco ai massimi assoluti, in cerca ora di qualche supporto statico di breve dove far rilassare le trend e rendere di nuovo appetibili i prezzi. Tra i settori, beneficiano di flussi in entrata in difensivi mentre a ripiegare sono i tech, sensibili alle dinamiche dei tassi e vulnerabili sul lato dei multipli di valutazione.
Crescita economia e mercato del lavoro, questi i due temi macro della settimana. Negli USA complessivamente buoni i dati in arrivo dal mercato del lavoro, con valori sotto le stime dai sussidi di disoccupazione e sopra le attese per l’occupazione. I salari orari segnalano infine che forse fa ancora bene la Fed ad essere prudente, visto che l’annualizzato di crescita supera il 4%. Contrastanti le considerazioni per gli ISM (servizi e manifattura), usciti piuttosto male. Riflessi con volatilità sui tassi, in un puzzle che continua ad essere di non immediata lettura.
Mercato Obbligazionario
Le rivelazioni dei verbali dell’ultimo meeting Fed hanno evidenziato ben poche novità rispetto a quelli precedenti: la cosa però diversa è il mood degli investitori che a dicembre avevano prezzato una distensione della politica monetaria molto rapida e intensa. Vero che la quasi unanimità dei governatori locali del FOMC si aspetta un taglio del costo del denaro per il 2024 (ma si annovera anche qualche voce contraria) ma le tempistiche sono tutt’altro che definite e certe. Il posizionamento restrittivo permane, così come l’idea che occorra osservare i dati prima di decidere in una certa direzione, che è quella di abbassarli dopo aver raggiunto un picco sostanzialmente utile per sradicare e tenere sotto controllo l’inflazione, lo spauracchio numero uno per Powell e soci. Vedendo le stime implicite sui rendimenti, il mercato, entro fine 2024, stima ancora (ora con meno probabilità) circa 6 tagli dei tassi contro i 3 indicati dalla Fed nell’ultimo report.
Anche solo per un rimbalzo tecnico dopo la prolungata discesa da metà ottobre in poi, era ragionevole pensare a qualche forma di recupero per i rendimenti dei bond a media lunga scadenza. Ecco che, quindi, il decennale USA si è riportato appena sotto al 4% (4,05%, +17 bps), movimento imitato da quello tedesco (2,16%, +13 bps) e italiano (3,85%, +15 bps), concretizzando qualche segnale già arrivato negli scampoli di fine 2023. La variazione porta in negativo il segmento dei governativi ma anche quello dei corporate, anch’essi comunque reduci da rialzi significativi nel mese di dicembre. Come per l’equity, insomma, è iniziata una fase di consolidamento, condizionata primariamente dalle attese sulla politica monetaria di Fed e BCE, con, sullo sfondo l’evoluzione dei dati macroeconomici e degli utili aziendali.
Mercati delle materie Prime
Cali abbastanza generalizzati per le materie prime e con poche eccezioni. Ritraccia di poco l’oro (-0,9% a 2.046), indebolito dalla forza del Dollaro e dalla risalita dei tassi reali. Molto negativi i metalli industriali che risentono ancora del sentiment negativo sull’economia cinese. Petrolio invece tonico (+3% a 74$), supportato questa volta dalle fosche notizie che provengono dal Medio Oriente, dove una risoluzione definitiva del conflitto appare ancora lontana.
Mercato delle valute
Nuovamente area 1,10 appare tosta da superare per il cambio Euro-Dollaro, essendosi esaurita la spinta ottimistica per un facile easing della politica monetaria americana. Inoltre, l’economia americana ancora appare vivace e questo ha riportato il cross verso un close finale a 1,094 (-0,9%).
Dott. Alessandro Pazzaglia, consulente finanziario indipendente, www.pazzagliapartners.it