Analisi Intermarket
Settimana ovviamente incentrata sulle riunioni delle banche centrali, un appuntamento atteso da tutti gli investitori i quali si saranno probabilmente equamente divisi tra chi non vedeva l’ora di alimentare ancora l’ardore rialzista delle ultime settimane (per equity e bond) e chi invece temeva di vedere qualche sgambetto come sovente accaduto negli ultimi due anni. Le borse si sono presentate all’appuntamento con gli indici praticamente già su nuovi massimi annuali (con poche eccezioni) mentre lato obbligazionario, i rendimenti già nei giorni pre meeting avevano visto vistosi cali nei rendimenti. Il risultato che è arrivato dalle riunioni delle principali autorità di politica monetaria è stato di un Powell insolitamente docile, tanto da apparire come un sosia di quello che invece, appena due settimane fa, ammoniva di non dare già per scontato un cambio di rotta sui tassi da parte della Fed. Ma i mercati avevano ignorato già il Powell ‘cattivo’, dando credito invece a qualche voce del FOMC aperturista verso quello che è diventato, di fatto, il pivot della Fed, ossia quel mitologico evento in cui, ufficialmente, la banca centrale USA cambia il suo atteggiamento, cominciando a pensare a tagli sui tassi di interesse, ossia constatando che vi sono le condizioni per farlo nei successivi meeting. Tutto già scontato nelle borse e nelle obbligazioni, con i mercati che, a dire il vero, hanno incamerato molto più di quello che probabilmente hanno in testa Fed e BCE. Non sorprende che i re-pricing, in un mondo finanziariamente globalizzato, sono quasi immediati e lo fanno per lo più le macchinette spara ordini. Tanto, ci sarà tempo per cambiare opinione o di sbagliarsi, come già avvenuto diverse volte. Più prudenti invece BCE e BOE, ma questo non ha guastato la festa, che, anzi ha portato a ampi festeggiamenti anche sulle materie prime e sui cross, con un Euro che ha surclassato il Dollaro USA.
La settimana macro ha visto un ulteriore passettino sul lato inflazione negli USA con i prezzi alla produzione in stallo e sotto le attese. L’economia USA al contempo però propone dati interessanti sulle vendite al dettaglio (+0,2% a novembre vs -0,1% atteso), dati non sufficienti a supportare il Dollaro USA ma abbastanza per attestare un andamento economico generale dove i consumi restano alla base della fase espansiva, mantenendo ancora inerti i rischi dal mercato del lavoro.
Mercato azionario
L’indice globale MSCI World chiude l’ottava con un segno ben positivo (+2,6%) che porta il bottino annuale ad un lusinghiero +22%. Fine ottobre sembra così lontano per il sentiment delle borse, diventato ormai pienamente euforico. L’S&P 500 (+2,5%) supera di slancio anche l’ostica quota a 4.600 e fissa nuovi massimi dell’anno, vedendo, dietro un paio di curve, addirittura i massimi assoluti di inizio 2022 (4.800). Ancora una volta è mancato l’innesco per una fase di storno (la Fed ha lasciato passare il carro festoso dei rialzisti), propiziato anche da un periodo favorevole per le borse che ora possono permettersi anche di alternare qualche pausa tecnica prima della chiusura d’anno. Positivissimo anche il Nasdaq (+3,4%), nettamente best performer nel 2023 (+53%) ma il botto è stato fatto dai segmenti più martoriati dai due anni di incremento dei tassi, ossia le piccole capitalizzazioni (+5,6%), per colpa dei multipli più elevati e per una minor capacità di resistenza all’aumento del costo del denaro. Il rally delle borse accelera e si riparla di ‘melt-up’ (già visto a luglio), quando gli indici si erano inerpicati verso l’alto salvo poi ritracciare nei mesi seguenti. Ma, come detto, mancano i presupposti al momento. Anzi, c’è la paura ora di star fuori dal trend rialzista.
Movimento corale per i settori ma materie prime e real estate si sono ripresi un po’ di soddisfazioni, supportando maggiormente quindi i segmenti più tradizionali dell’economia come Value e Small cap. Europa più prudente mentre buoni i rimbalzi sugli emergenti. (anche la Cina stavolta).
Mercato Obbligazionario
Il rally visto sul mercato obbligazionario nella settimana appena conclusa rende chiaramente felicissimi gli investitori in reddito fisso. E, senza dubbio, oltre le più ragionevoli aspettative di recupero, almeno nel breve, dopo due anni non facili dove tra salita di tassi nominali e reali c’è stato poco per cui festeggiare. Solo l’asset class più direttamente collegata alla crescita economica, ossia l’high yield, era finora riuscita a tirarsi fuori dal bear market obbligazionario. Ma nell’ottava appena conclusa è salito praticamente tutto: i governativi per la svolta ‘dovish’ della Fed, il corporate (per lo stesso motivo e per la riduzione ulteriore degli spread di credito) e anche i titoli inflation, visto il calo dei tassi reali. Ma cosa ha detto esattamente Powell? O meglio, cosa lo ha portato a dire che è la Fed è prossima a decisioni sui tassi? Forse perché convinto delle motivazioni macroeconomiche, forse per essersi reso conto di aver troppo spesso punito i mercati con dichiarazioni ostili o ancora, forse per far tornare la banca centrale come stampella all’economia (al posto del Tesoro USA e tenendo conto dell’anno elettorale in arrivo): difficile dirlo con esattezza ma appaiono chiare due cose. La prima è che manca un pezzo nel puzzle attuale, visto che non vi è stata una fase di stallo valutativo temporanea ma si è passati direttamente a quello che i mercati volevano ardentemente da tempo. Da qui il rally quasi verticale dei prezzi, che si sono riadattati ad una nuova prospettiva. Nella giornata di venerdì qualche pompiere è intervenuto a smorzare un po’ gli entusiasmi con il governatore Williams incline a suggerire più cautela ai mercati. La Fed valuterà ma non ha deciso e si lascia ancora tutte le porte aperte. Bostic dice addirittura che i tagli sono probabili sì, ma nel terzo trimestre.
La Fed prevede infatti tre tagli dei tassi nel 2024 (un valore finale a 4,625% rispetto al 5,125% di settembre) e si scenderebbe poi a 3,625% nel 2025 e 2,875% nel 2026. Il punto è che il mercato va molto molto molto oltre: sarebbero 6/7 i tagli l’anno prossimo, tali da portare i tassi anche sotto al 4%. Insomma, i mercati vanno all-in su una Fed che fa una inversione a U sgommando, incoraggiata da un’inflazione ormai considerata un non problema e con la possibilità quindi di avere condizioni finanziarie non più fermamente restrittive. Il decennale USA perde 31 bps e scende sotto al 4% ma anche la parte breve della curva è crollata (-22 bps al 4,44%). Rimbalzi dei rendimenti a parte, c’è da valutare ora se i mercati abbiano ragione o se stiano prendendo (nuovamente) un grande abbaglio. Lo storico non è favorevole ma i maligni parlerebbero di una Fed guidati dai mercati e non viceversa. Certo, Powell sembra aver proprio aver ceduto, almeno per il momento. Anche nell’Eurozona il calo dei rendimenti è stato potente: -26 bps sul decennale tedesco (2,02%) e -35 bps su quello italiano (3,91%). Se l’effetto simmetria rispetto agli USA era inevitabile, va rimarcato che la BCE (al pari della BOE) sia stata in realtà più prudente e pragmatica nel wording. Vero che la BCE è partita dopo la Fed, quindi ci sta un lag temporale diverso ma le due istituzioni di politica monetaria sembravano di recente aver mostrato un possibile movimento speculare. Fa strano che l’economia più forte pensi ai tagli mentre quella che marcia a velocità minore abbia ora lo scettro di banca centrale più restrittiva.
Mercato delle valute e Cryptos
Per muovere i cambi in maniera significativa servono di solito notizie d’impatto ed è quello che è successo proprio in questa settimana. La svolta accomodante della Fed manda in volo il cambio Euro Dollaro fino a 1,10, per poi ritracciare (1,09) dopo un minimo di raffreddamento dei bollenti spiriti. Dopo i massimi ritraccia un po’ anche il Bitcoin (-5% a 42.200) dopo i massimi sull’ostica area 45.000.
Mercato delle materie prime
La debolezza del Dollaro e una Fed meno aggressiva hanno ridato spinta ai metalli preziosi (Oro +0,8% a 2.020, Palladio addirittura +24%) anche se i close sono stati sotto ai massimi. Il basket generale (+1,1%) trae però beneficio anche da segnali di stabilizzazione del petrolio (71,4$) e da un rebound anche dei metalli industriali (+2,5%).
Dott. Alessandro Pazzaglia, consulente finanziario indipendente, www.pazzagliapartners.it