L’inflazione turba Wall Street; Segni meno per gli indici in caduta anche il Bitcoin

MERCATO AZIONARIO

Settimana di segni meno per le principali borse internazionali, con l’indice azionario globale che arretra di poco più dell’1%, restando comunque ancora ben in positivo da inizio anno (+10,1%). Ed è stavolta Wall Street (assieme ai paesi emergenti) a vedere qualche indice con passivi ancora più marcati, accumunati però dall’essere comparti con valutazioni di mercato più alte. Si tratta del Nasdaq (-2,4%) e del Russell 2000 (-2%), più colpiti per i Price Earnings più elevati rispetto all’S&P 500 (-1,4%), oltre che perché basano una maggiore parte del loro valore di borsa sulle prospettive future.

Dal punto di vista tecnico, l’indice guida S&P 500 ha avuto poco tempo per abituarsi ai nuovi massimi sopra quota 4.200, ritracciando velocemente dopo il deterioramento progressivo del sentiment degli investimenti durante l’ottava. Cruciali i dati sull’inflazione rilasciati in settimana e che attesta il balzo più forte da 13 anni: dati che difficilmente potevano lasciare indifferenti gli investitori in azionario.

Se è vero che la dinamica degli utili resta forte (e l’ultima tornata di trimestrali ha anche migliorato l’outlook per il 2021), un andamento inflazionistico non pienamente sotto controllo andrebbe affrontato dalla Federal Reserve con un atteggiamento più restrittivo o comunque meno accomodante rispetto a quello tenuto finora. E il forte incremento delle materie prime sta in qualche modo anticipando quello che poi si vedrà nei dati macroeconomici dei prossimi mesi, non trattandosi forse più di un semplice ‘rebound’ dopo il 2020, ma di vere e proprie ‘strozzature’ nelle catene di valore e nelle dinamiche di domanda e offerta (sia di beni tradizionali, sia di quelli a maggior contenuto tecnologico).

Scenari che inducono quindi prudenza su alcuni comparti (quelli ‘growth’) mentre tengono di più i segmenti ‘value’ e ‘dividend’, per loro maggiore capacità di intercettare le dinamiche dell’attuale fase reflazionistica. L’S&P 500, come detto, paga quindi dazio nell’ottava, anche se il ritracciamento resta finora nell’ambito del 4%-5% di storno dai massimi, avvicinandosi ai primi supporti di brevissimo in area 4.000. Quasi doppio il drawdown del Nasdaq che dai massimi raggiunti a quota 14.000 perde circa 1.000 punti, con alcune nicchie di mercato tech che mostrano da metà febbraio movimenti correttivi ormai molto significativi. In chiusura d’ottava, gli indici USA hanno recuperato parte delle perdite.

Riesce a limitare i danni l’Europa, la cui composizione settoriale è storicamente meno esposta al settore tech, mentre Emergenti e Giappone sono stati invece penalizzati, senza riuscire a invertire quella tendenza che nel 2021 li vede ancora poco reattivi dopo i buoni risultati del 2020. Le dinamiche settimanali hanno portato ad un netto aumento di volatilità, con un picco che ha sfiorato quota 30, come già avvenuto nei mesi scorsi in diversi frangenti. Per il momento, lo storno di breve sembra confermarsi tale: come visto Wall Street periodicamente ha bisogno di rifiatare anche se resta indubbio come gli elementi messi sul tavolo in questi 2021 potrebbero caratterizzare anche la seconda parte dell’anno.

MERCATO DELLE MATERIE PRIME

Settimana di ritracciamento quella vista sul mercato delle commodities (-1,9%), con una particolare debolezza per quei segmenti che in precedenza avevano visto incrementi anche significativi. Storno, quindi, per materie industriali e agricole, mentre maggiore resistenze hanno offerto i metalli preziosi, con l’oro che rimane ancora ben intonato sopra i 1.840 Dollari. Positivo il petrolio (in area 64/65 Dollari), supportato da elementi di disturbo sul lato dell’offerta.

 

MERCATO OBBLIGAZIONARIO

Il mondo del reddito fisso torna a subire le dinamiche di mercato che vedono un generalizzato aumento dei rendimenti nelle diverse aree geografiche. Governativi Euro, USA e altre aree geografiche mostrano omogeneamente una tendenza che porta alla flessione dei prezzi dei titoli, con gli investitori che adeguano le loro view in base ai dati macro in uscita in questi giorni e alle aspettative future, oltre che di quello che potrebbe cambiare in termini di politica monetaria delle banche centrali.

Troppo presto, ovviamente, per poter parlare di cambiamenti, ad esempio per la Fed, ma i mercati guardano avanti e logicamente, ogni elemento di incertezza viene prezzato. In una settimana dove sono intervenuti elementi di natura macroeconomici (il dato di inflazione negli USA, 4,2% vs 3,6% attesa dagli analisti), il decennale americano è tornato a muoversi al rialzo e dopo il ‘dolce’ appoggio in area 1,55, ora i valori hanno di nuovo toccato quota 1,70%, per poi chiudere l’ottava su valori più bassi.

Il dibattito su un rialzo temporaneo o strutturale dei prezzi è il tema del momento, chiaro comunque che era nelle possibilità attendersi una reazione post Covid. Secondo la Fed, l’aumento dei prezzi è da attendersi come temporaneo, motivo per cui, al momento, viene monitorato e tollerato. Un membro della FOMC, Christopher Waller, dopo le tensioni di Wall Street, è intervenuto per chiarire come i tassi non aumenteranno fino a quando non si raggiungano livelli di inflazione eccessivamente alti o non si attestino sopra l’obiettivo per un lungo periodo. Dichiarazioni che hanno fatto respirare le borse asiatiche e poi consentito un venerdì più leggero anche per gli altri listini.

Il movimento al rialzo visto sul decennale americano ha trascinato all’insù anche gli altri yield dei titoli di stato: il Bund tedesco ha toccato i propri massimi da qui a tre mesi, toccando anche area -0,10%. Se i governativi dell’area Euro, fino a qualche mese fa sembravano immuni da quanto stava succedendo negli USA, ora anche nel Vecchio Continente gli effetti sono significativi (il decennale tedesco ad inizio anno era ancora a quota -0,60%). Evidenti, quindi, gli effetti che vanno a ripercuotersi sugli indici obbligazionari governativi specie sulle scadenze più lunghe.

Discorso simile per quanto riguarda anche i BTP italiani, ma con qualche specificità: all’effetto generale si aggiunge anche il miglioramento del quadro prospettico per il 2021, con la campagna vaccinale che sembra finalmente riuscire a marciare ad un ritmo sostenuto. Dallo 0,40% di metà febbraio (minimi coincidenti con l’insediamento del governo Draghi) si è ora avuto lo sfondamento di quota 1%.

L’effetto tassi ha quindi danneggiato i governativi ma anche il corporate di migliore qualità, specie negli indici USA e globali. Ma anche l’altra componente obbligazionaria, quella dell’alto rendimento, ha visto segni meno legati invece alla debolezza dell’azionario.

MERCATO DELLE VALUTE

Nel mercato forex, il cambio Euro Dollaro ha chiuso l’ottava a quota 1,214: le quotazioni nel breve restano in trading range (1,20 e 1,22) e le dinamiche macro statunitensi in realtà non hanno modificato di molto le recenti tendenze. Nel medio termine, il trend resta comunque ancora impostato positivamente per la valuta del Vecchio Continente. In caduta libera il Bitcoin (-13%) che torna in area 50.000 Dollari, dopo le dichiarazioni di Elon Musk.

 

Dott. Alessandro Pazzaglia Consulente Finanziario Indipendente mail [email protected]




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