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martedì , 11 Febbraio 2025

“Settimana Altalenante per i Mercati Finanziari: Volatilità, Ribassi del Petrolio e Rinnovate Tensioni Commerciali”

La settimana lasciata alle spalle è stata ricca di market mover. Fronte dati macro, l’attenzione degli operatori è stata rivolta ai numeri del mercato del lavoro degli Stati Uniti di gennaio. La crescita dei posti di lavoro negli Stati Uniti è rallentata più del previsto, probabilmente a causa degli incendi in California e del freddo in gran parte del Paese. Tuttavia, il tasso di disoccupazione al 4,0% potrebbe dare alla Federal Reserve la possibilità di non tagliare i tassi di interesse almeno fino a giugno.

In questo contesto, gli analisti hanno rivisto le loro aspettative, prevedendo che la Federal Reserve procederà con un solo taglio dei tassi quest’anno, rispetto alle precedenti scommesse che indicavano due riduzioni del costo del denaro a partire da giugno. Questo scenario si inserisce in un panorama di politica monetaria globale che, invece, in Europa, mostra segnali diversi. La Banca Centrale Europea dovrebbe infatti essere pronta ad allentare ulteriormente i costi di finanziamento, portandoli a un livello inferiore rispetto a quello considerato neutrale, al fine di sostenere la crescita economica nella zona euro.

Un segnale positivo per l’economia europea è arrivato questa settimana dai dati relativi al Purchasing Managers’ Index (PMI). L’indice finale composito, compilato da S&P Global, ha mostrato che l’attività economica dell’Eurozona è tornata a crescere dopo due mesi di contrazione, grazie alla stabilizzazione della domanda. Il PMI di gennaio si è attestato a 50,2, in aumento rispetto al 49,6 di dicembre, secondo HCOB. Questo dato è perfettamente in linea con la stima preliminare ed è particolarmente significativo poiché supera la soglia di 50, che separa la contrazione dalla crescita economica.

Tuttavia, l’unica nota dolente per l’Eurozona è rappresentata dall’inflazione, che a gennaio ha mostrato una nuova accelerazione, principalmente a causa dell’aumento dei prezzi dell’energia. Anche in Italia la situazione non è molto diversa: i dati pubblicati in settimana mostrano che l’inflazione nel nostro Paese è salita dell’1,5% rispetto al mese precedente, alimentando le preoccupazioni per il potere d’acquisto delle famiglie e per i futuri interventi di politica monetaria.

Parallelamente, il calo dei rendimenti statunitensi ha esacerbato la debolezza del dollaro, amplificando gli effetti sui mercati valutari e delle materie prime. Questa dinamica richiede un costante monitoraggio delle prossime mosse delle principali banche centrali.

MERCATO AZIONARIO

La settimana era iniziata con una risalita della volatilità, con i mercati azionari preoccupati dalle tensioni commerciali tra Stati Uniti, Canada e Messico. Le preoccupazioni degli investitori erano alimentate dal rischio di un inasprimento delle politiche protezionistiche da parte degli Stati Uniti. Tuttavia, la soluzione di compromesso raggiunta con questi ultimi due Paesi, combinata con la mancata volontà di escalation da parte della Cina, ha contribuito a ridurre progressivamente l’incertezza. Di conseguenza, la volatilità ha iniziato a diminuire con il proseguire della settimana, portando i mercati a chiudere su valori inferiori rispetto alla settimana precedente.

L’indice VIX, noto anche come “indice della paura”, ha chiuso la settimana con un lieve incremento dello 0,8%. Tuttavia, il dato complessivo da inizio anno rimane positivo, segnando un calo del 4,56%, a conferma di un contesto generale di stabilizzazione dei mercati, nonostante le fluttuazioni temporanee.

Questa riduzione della volatilità non ha comunque evitato una chiusura leggermente negativa per l’S&P 500 e per gran parte dei mercati azionari globali, ad eccezione dell’Europa. Sebbene il consenso generale degli analisti rimanga positivo sull’andamento dell’S&P500 per il 2025, è stato l’azionario dell’Eurozona a guidare le performance da inizio anno. L’indice Eurostoxx50 ha registrato un incremento oltre tre volte superiore rispetto a quello dell’S&P500 e più che doppio rispetto ai livelli raggiunti dall’inizio della presidenza Trump.

Per quanto riguarda le trimestrali americane, il 76% delle società che compongono l’S&P500 ha già pubblicato i propri risultati. Di queste, il 77% ha battuto le stime sugli utili, dimostrando una maggiore solidità rispetto alle attese degli analisti, nonostante le incertezze che hanno caratterizzato i mercati nelle ultime settimane.

Tuttavia, sul fronte tecnologico, sono arrivate delusioni significative dagli utili di tre giganti dell’IT americano. I risultati sono stati inferiori alle attese e accompagnati da crescenti timori per gli investimenti futuri nell’intelligenza artificiale, due fattori che hanno inciso negativamente sul sentiment degli investitori.

Mentre a livello europeo il settore finanziario sta continuando a trainare i mercati grazie alla crescita costante. Da circa due anni, le performance delle banche in borsa hanno superato persino quelle delle grandi aziende tecnologiche statunitensi. Questo slancio è favorito anche dalle operazioni di consolidamento bancario, che stanno mantenendo alta l’attenzione degli investitori sul comparto.

MERCATO OBBLIGAZIONARIO

La terza settimana consecutiva di calo per i rendimenti dei Treasury americani ha riportato i tassi su livelli simili a quelli di metà dicembre. Nonostante il continuo miglioramento del tasso di disoccupazione e i segnali di prudenza da parte della Fed, che mantiene la politica monetaria in stand-by, gli investitori hanno preferito rifugiarsi nei titoli governativi USA, a causa delle incertezze legate alla situazione sui dazi commerciali, il che ha ridotto le preoccupazioni per un potenziale rialzo improvviso dell’inflazione. In settimana scendono i rendimenti sul decennale mentre le scadenze a 2 anni rimangono invariate, lo spread 10 -2 anni rimane ancora per ora positivo.

Nell’Eurozona, i rendimenti hanno segnato un calo da gennaio, più marcato per il decennale italiano rispetto a quello tedesco di pari durata, che in settimana registra la discesa più importante nei rendimenti del vecchio continente annullando i rialzi da inizio anno. Il differenziale Btp Bund rimane al 1.12%.

MERCATO DELLE MATERIE PRIME

I prezzi del petrolio sono stati altalenanti durante la settimana, inizialmente spinti al rialzo dall’annuncio di nuove sanzioni statunitensi sulle esportazioni di greggio iraniano, per poi subire un calo a causa della guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina e il dato uscita mercoledì sull’aumento delle scorte americane. Il prezzo del barile WTI ha registrato un ribasso settimanale più marcato, chiudendo in calo del 3,77%. Questo andamento negativo porta anche il rendimento da inizio 2025 in territorio negativo, con una flessione dell’1,17%. Il Tesoro degli Stati Uniti ha annunciato nuove sanzioni contro individui e petroliere coinvolti nell’esportazione di milioni di barili di greggio iraniano verso la Cina, intensificando così la pressione su Teheran. Parallelamente, il presidente Trump ha imposto un dazio del 10% sulle importazioni cinesi, sebbene abbia sospeso le tariffe previste per Messico e Canada. Di riflesso sulla scia dell’incertezza sulla rinnovata guerra commerciale Stati Uniti Cina, il prezzo dell’oro è continuato a salire raggiungendo massimi di periodo, alimentato anche dalla correzione del dollaro.

MERCATO DELLE VALUTE

Il Dollar Index ha toccato un massimo settimanale di 109 punti, per poi ripiegare e chiudere a 107, influenzato dalle politiche tariffarie degli Stati Uniti e dalla sospensione per un mese dei dazi su Canada e Messico. Le previsioni per il dollaro restano favorevoli, sostenute dai dati sul mercato del lavoro americano, che hanno confermato l’ipotesi di una riduzione dei tassi di interesse.

In Europa, invece, i segnali continuano a indicare un allentamento monetario, il che ha contribuito a un ulteriore indebolimento dell’euro rispetto al dollaro. La moneta unica ha perso terreno, chiudendo la settimana a quota 1,0325.

Sul fronte delle criptovalute, il mercato ha subito una forte correzione. Bitcoin ha registrato un calo significativo, ma la situazione è risultata ancor più critica per Ethereum, che ha segnato una flessione del 22,02%, confermando l’elevata volatilità tipica di questo tipo di asset.

Dott. Alessandro Pazzaglia, consulente finanziario autonomo, www.pazzagliapartners.it

 

 

 

 

 

 

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