Tornano i segni meno sui listini; tensione per tassi e geopolitica

MERCATO AZIONARIO

I mercati azionari internazionali continuano a mantenere il focus sui due macro temi che stanno caratterizzando il 2022, ossia il netto cambio di passo delle banche centrali in tema di politica monetaria e l’evoluzione del conflitto in corso tra Russia e Ucraina. Sul primo tema, che impatta in maniera significativa in ottica intermarket, la settimana è stata decisamente piena di avvenimenti, con la pubblicazione dei verbali della Federal Reserve relativi all’ultimo meeting del 15-16 marzo scorsi e con molte dichiarazioni da parte di membri del FOMC. La Fed non solo rimane convinta delle misure restrittive da apportare, ma anzi, appare anche indirizzata ad accelerare il programma previsto. L’altro tema, quello del conflitto tra Russia e Ucraina continua a rappresentare un elemento drammatico in seno all’Europa: le prospettive di un accordo di pace sono lontane, con la crescente sensazione che la tensione internazionale non stia per nulla calando, coinvolgendo tanto gli aspetti militari tanto quelli economici. I cambiamenti strategici di Mosca (concentrata ora nel sud-est dell’Ucraina) potrebbero infatti portare a tempistiche più lunghe di risoluzione del conflitto.

Con questi due macro elementi di valutazione sullo sfondo, era effettivamente difficile per gli indici azionari riuscire a dare ancora seguito al rally iniziato a metà marzo e che aveva portato ad un ampio recupero delle discese da inizio anno. Un rimbalzo alimentato da ricoperture anche di natura tecnica, una volta che si era allontanate ipotesi estreme di allargamento del conflitto. Le quotazioni raggiunte dagli indici nelle ultime settimane hanno quindi opposto resistenza, facendo rimanere i mercati in un limbo tecnico che esprime tutta l’incertezza della fase in corso. L’indice S&P 500, in calo in settimana di poco più di un punto percentuale, ha infatti incontrato solidi ostacoli a quota 4.600, soglia cruciale da tenere a mente. In parallelo, area 15.000 per il Nasdaq 100 (-3,6%nell’ottava), 4.000 per l’Eurostoxx 50 (-1,4%) e 15.000 per il Dax (-1,1%), si trovano a rappresentare un ostacolo che divide gli indici da un ritorno al contesto di fine 2021/inizio 2022. Lo stesso Vix, riappoggiatosi in area 20 nella settimana scorsa, ha ridato segnali di vivacità con una risalita sul finale di settimana.

Il contesto prima richiamato non contemplava però tassi di interesse più alti (che impattano sui multipli di valutazione, specie dei settori di natura più growth), né una Fed così aggressiva in termini di politica monetaria, né tantomeno un conflitto in corso che ha inevitabilmente ripercussioni di natura economica, basti pensare all’aumento record del prezzo delle materie prime. L’unico elemento che per ora sta offrendo supporto alle quotazioni sono le attese per gli utili che restano ancora positive per l’anno in corso nonostante le dinamiche descritte. Il mercato, in sostanza, sembra concordare con la Fed: la stretta monetaria ci sarà ma le dinamiche economiche saranno sufficientemente solide per supportarla e non avere significative ripercussioni in termini macro e micro. E i risultati aziendali sono ormai prossimi a dare i primi verdetti con la earnings season entrante.

Per quanto riguarda gli altri mercati, l’apprezzamento dei tassi USA (anche reali) ha depresso i settori più growth (a livello globale, -2,9%) a favore invece degli stili di investimento più difensivi (utilities, health care, consumer staples) e dei comparti ad alto dividendo. Tra i temi di investimento, primeggiano nuovamente quelli legati alle materie prime (uranio +13%) e hanno quanto meno tenuto i panieri di società legate all’agricoltura e gli auriferi. Significativi invece i ribassi relativi alle nicchie tech dove i multipli sono più alti.

MERCATO DELLE MATERIE PRIME

L’ottava ha riportato acquisti sull’asset class delle materie prime: il basket sale di circa il 2% portando la rivalutazione da inizio 2022 ad un +27%. La leggera discesa del petrolio (-1%, tornato sotto quota 100$ al barile) non ha impedito il segno più grazie ai rialzi di gas e materie prime agricole (+5%/+6%). Contrastati i metalli industriali. In leggera salita l’oro in area 1950 Dollari l’oncia.

MERCATO OBBLIGAZIONARIO

Nuova settimana di debolezza per il comparto obbligazionario, con segni meno generalizzati su tutti i segmenti governativi ma anche su quello del corporate investment grade. Difficile trovare riparo, in questo momento, nei diverse asset class obbligazionarie, con l’unico comparto degli strumenti che replicano le aspettative di inflazione a mantenere ancora un buon tono crescente. La causa della debolezza del mercato obbligazionario nel 2021 (chiuso con performance negative, se pur non eccessive) era stata la politica di riaperture economiche post Covid, che aveva evidenziato tutta la difficoltà dell’offerta di adeguarsi ad un contesto economico dove le campagne vaccinali aveva dato un buon contributo alla ripresa.

Il ‘killer’, però, di questo inizio 2022 piuttosto deludente per l’obbligazionario (il peggiore da qui a 40-50 anni) è però da ricercare nella Federal Reserve: la banca centrale americana da inizio anno ha di fatto svoltato verso una politica totalmente ‘hawkish’ che solo l’inizio del conflitto in Ucraina ha probabilmente smorzato un po’. Forte dei risultati economici e della situazione sul mercato del lavoro, la Fed si è fatta infatti sempre meno tollerante dei valori record di inflazione: un aumento dei prezzi certamente collegata al rialzo delle materie prima ma soprattutto ad una crescita in fase di surriscaldamento su diversi fronti (ad esempio sull’immobiliare). Per questo motivo, dai verbali della Fed relativi al meeting di metà marzo hanno mostrato una banca centrale americana molto motivata nelle prossime mosse da attuare, con una presso che totalità nelle sue voci.

Al più presto, infatti, quasi certamente dopo la riunione del 3-4 maggio, inizierà la riduzione del portafoglio titoli, composto da quasi 9.000 miliardi di Dollari: nel giro di tre mesi, infatti, il piano prevede di arrivare a breve a 95 miliardi al mese (60 di titoli di stato e 35 di MBS). Molti partecipanti al meeting del Comitato di politica monetaria avrebbero preferito già a marzo iniziare con 50 bps di rialzo, ma è solo un rinvio: i prossimi aumenti saranno di questa misura e puntano a portare i tassi verso il 2,25%-2,50% ma probabilmente anche oltre. La vicepresidente della FED, Brainard, (prima su posizioni ‘dovish’) ha espresso la necessità di una stretta molto rapida ed il pensiero è condiviso anche da altri governatori. La FED resta comunque estremamente indietro negli interventi di natura restrittiva, soprattutto per i dati legati all’inflazione. La componente ‘core’ del PCE (indicatori usato dalla Fed per il monitoraggio dell’andamento dei prezzi) è al 5,4%, contro un valore medio e desiderato al 2%. Rischi di inflazione quindi da affrontare in modo energico, anche rischiando di non tener conto degli effetti del conflitto russo-ucraino e di sacrificare probabilmente anche aspetti relativi alla crescita economica.

Con questi chiari di luna (e con membri del FOMC, come Bullard, che parlano anche di target per i tassi al 3%-3,5%), il decennale USA si spinge su livelli sempre più elevati, toccando area 2,70%. Il 2 anni invece ha mantenuto le posizioni a quota 2,50%, dando modo alla curva dei rendimenti di esprimere un minimo di inclinazione. L’effetto duration però è stato negativo per tutti i governativi, anche europei (Bund a 0,70%, BTP al 2,40%), che da inizio anno, sulle scadenze più lunghe soffrono perdite ormai quasi a doppia cifra. In discesa ancora il corporate Investment grade e anche l’High Yield, correlato all’andamento negativo dell’azionario.

MERCATO DEI CAMBI

Settimana di ritorno di forza per il Dollaro USA, sospinto dalle dichiarazioni della Federal Reserve e dalla volontà di essere più rapida nell’implementazione di politiche monetarie restrittive. Il cambio Euro Dollaro torna sotto quota 1,09, di fatto tornando sui minimi di inizio marzo. Continua a recuperare il rublo russo: il cambio 86 è addirittura inferiore ai livelli pre bellici. Il ritorno del clima da risk-off ha riportato volatilità e segni meno sulle criptovalute (Bitcoin -7% ed Ethereum -5%).

Dott. Alessandro Pazzaglia, Consulente Finanziario Indipendente, iscritto all’Albo delibera. 1081 del 18/04/2019. Info mail [email protected]




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