DI PIERGIORGIO GRIZZO – Anche il Friuli ha la sua città perduta. Anzi, sono addirittura tre le metropoli antiche letteralmente sparite nel nulla. Plinio Il Vecchio nel terzo libro della Naturalis Historia racconta delle civitates, già scomparse al suo tempo, di Atina e Caelina nelle terre dei Veneti, Segesta e Ocra in quelle dei Carni.
Atina è quasi certamente Altinum, un refuso nato probabilmente da un’errata trascrizione dello stesso storico latino. Caelina, Segesta e Ocra sarebbero state invece da qualche parte nel territorio corrispondente all’attuale Friuli.
Plinio scrive nel 77 dopo Cristo, quando questa terra è compresa nella decima Regio dell’Impero , ma ci riporta a tre secoli prima, ad un passato che sembra essere remoto e misterioso anche per lui. Siamo in un’epoca in cui Aquileia è solo uno sperduto avamposto di frontiera in agro gallorum, cioè in un territorio popolato da tribù celtiche, tra cui in primis quella dei Carni, che occupano le terre a destra del Tagliamento e in particolare la zona montuosa del futuro Forum Iulii. I celti sono popolazioni guerriere e ostili, governate dai druidi, una casta di sacerdoti, che adorano il dio del sole, Beleno (le cui statuette bronzee affiorano dalla terra un po’ ovunque in Friuli), e altre divinità, che sono espressione delle forze della natura. Solitamente vivono in villaggi con case di legno e terra, nascosti nel buio delle selve, in prossimità di qualche corso d’acqua . Ma in questo caso Plinio parla di civitates, cioè di vere e proprie città con edifici in muratura, matrici di altri centri abitati, non di pagi, cioè di villaggi. E’ Caelina però ad affascinare di più gli storici e gli archeologi. Sarà per il nome, che sembra quello di una dea e che ha tutt’oggi una precisa corrispondenza con un toponimo, anzi con un idronimo, quello del fiume Cellina. Secondo l’uso Dei Celti ad ogni corso d’acqua corrisponde una divinità femminile . Ma Caelina – dice Plinio – è nel territorio dei veneti, che non sono Celti, ma un popolo indoeuropeo ancora più antico, che vive tra L’Adige e il Tagliamento. La presenza dell’idronimo non lascia dubbi però sulla collocazione della città nell’attuale Friuli. Ma dov’è esattamente? Nella parte montana o in quella pianeggiante del corso del Cellina?
La ricerca della città perduta fu per anni l’ossessione del Conte Giuseppe di Ragogna, uno dei padri della archeologia friulana. Nelle fondamenta del castello di famiglia, nel borgo di Torre di Pordenone, aveva trovato le tracce di un castelliere preistorico e poco distante, sulle rive del Noncello, le banchine di un porto fluviale. Secondo il di Ragogna, Caelina, o quantomeno il suo porto, si trovavano lì. A sostegno portava una tesi sposata anche da altri studiosi. Le acque di risorgiva del Noncello sarebbero le stesse del Cellina e scorrerebbero nell’antico alveo di quest’ultimo, un tempo molto più esteso, come si intuisce tuttora anche ad occhio nudo.
Un grande cataclisma, forse una spaventosa alluvione, come quella di cui parla Paolo Diacono nella sua Historia Longobardorum, ma risalente a molti secoli prima, avrebbe sconvolto la regione in epoca preromana, sbriciolando le montagne spostando il letto dei fiumi e scaricando in pianura gigantesche colate di ghiaia e detriti. I resti di Caelina, la città perduta, che qualcuno ha favoleggiato come una sorta di Eldorado celtico, sarebbero da qualche parte nell’area dei fiumi Meduna, Cellina e Noncello, sepolti sotto tonnellate e tonnellate di ciottoli e ghiaia.