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domenica , 24 Novembre 2024

BCE e inflazione USA mettono ko le Borse; forti ribassi sui listini, in volata i tassi

MERCATO AZIONARIO

Le dinamiche di questo 2022 continuano a non essere particolarmente benevole con gli investitori, con le borse che tornano ad essere particolarmente deboli e ancora strutturalmente incapaci di abbozzare una reazione duratura dopo le discese da inizio anno. Finora i tentativi di recupero dei listini si sono infranti più volte infatti contro livelli tecnici ostici da superare: l’ultimo è stato quello appena sotto area 4.200 di S&P 500 dove le quotazioni hanno tentato, vanamente, la rottura verso l’alto. In alcuni frangenti le velleità rialziste sembravano poter migliorare la fase ‘rimbalzista’ nata dai minimi di maggio, ma sul finire di settimana, post BCE e dati macro, i listini hanno nuovamente piegato al ribasso e tornando a mostrare il nervosismo degli investitori circa l’attuale condizione economico-finanziaria. L’indice MSCI World perde infatti il 4,9%, con un passivo dell’anno che torna a farsi pesante (-17,4%) e che rimane strettamente legato alle difficoltà della sua componente principale, ossia Wall Street. Anche se è possibile rimarcare come il declino settimanale sia stato abbastanza omogeno tra USA ed Europa, con le uniche ‘isole felici’ rappresentate dai mercati cinesi e russo (sebbene per diversi motivi).

Le borse americane ed europee mancano ancora quindi l’appuntamento con una reazione che avrebbe potuto migliorare il quadro tecnico generale, consentendo un aggiustamento del movimento negativo di inizio anno. Ed invece, l’ambito della politica monetaria (con la riunione della BCE) e i dati macroeconomici (sussidi di disoccupazione e inflazione negli Stati Uniti) hanno piegato al ribasso le borse, con Wall Street che chiude la settimana in netto calo (S&P 500 -5% e Nasdaq -5,7%) e le borse europee con risultati in linea o peggiori (Eurostoxx -4,9%, FTSE Mib -6,7% e Dax -4,8%). Il primo netto cambio di umore degli operatori è arrivato dopo la riunione della BCE dove l’atteggiamento è stato nel complesso giudicato come ostile ai mercato, essendo stati preventivati, oltre all’aumento dei tassi, anche la fine del supporto monetario dal 1° luglio. Il programma di rialzo del costo del denaro è ora certo dopo mesi in cui Francoforte aveva atteso prima di accodarsi alla Federal Reserve e arriva in un momento in cui certamente l’outlook economico non è particolarmente brillante. L’altro tema, di carattere macro, ha visto un aumento dei sussidi di disoccupazione negli USA e un dato di inflazione ancora in accelerazione (8,6% vs 8,3% atteso), elemento che ha ulteriormente depresso i mercati nella seduta di venerdì.

La situazione tecnica degli indici non cambia nel medio termine: il disegno di massimi decrescenti ed una trama che vede le quotazioni rimbalzare come una palla che scende dalle scale, confermano la natura ancora correttiva in essere sul mercato. Il non superamento delle resistenze da parte dell’S&P 500 lascia quindi spazio ad una continuazione della discesa in corso, con le limitazioni poste dai minimi di maggio come importante argine ma l’ipotesi di nuovi minimi va messo tra le possibilità. Il saldo settimanale vede solo l’energy come settore col capace di limitare le perdite (-1,3%), un po’ troppo poco per sostenere il corso del paniere. Il resto dei settori è tutto in rosso (da -3% dei difensivi al -6% dei tech) e non si è vista nemmeno una differenziazione tra stile Value/Dividend e stile Growth, segno che l’ampiezza del ribasso è rilevante. Tra i tematici le nicchie tech hanno subito ancora il contraccolpo.

Fondamentale ora analizzare i segnali che arriveranno sia dal lato del mercato del lavoro USA (ad esempio se si vedranno i primi aumenti dei disoccupati) sia dall’evoluzione dell’inflazione nell’Eurozona e negli USA. Il tutto si tradurrà in riflessi sugli utili aziendali: il secondo quarter dell’anno sarà cruciale per individuare dove piegheranno gli indici. Il sentiment di mercato (Vix) dopo il recente calo a 25 ha poi visto riprese verso l’alto (close a 27), mantenendo la struttura al rialzo ma senza ‘exploit’,

MERCATO DELLE MATERIE PRIME

In ambito materie prime, segno più per il paniere generale (+1,2%), ma solo per la continua corsa dei prezzo del petrolio (+1,5% a 120,7). Deboli i metalli industriali (-3%) mentre le Softs si sono generalmente difese. L’oro nonostante il Dollaro forte recupera qualche posizione (+1,1% a 1.872). In ripresa il basket legato all’agricoltura (+2,4% grazie a grano e mais).

MERCATO OBBLIGAZIONARIO

Due gli appuntamenti più importanti riguardanti il mondo obbligazionario e, più in specifico quello legato alle scelte delle banche centrali in materia di tassi: i dati macro negli USA e la riunione della BCE. Le scelte del direttivo hanno in parte centrato quelle che erano le attese da parte degli operatori finanziari: Francoforte mette la parola fine alle politiche ultra accomodanti, di fatto accodandosi a quello che è stato il mantra della Federal Reserve negli ultimi mesi. Lagarde, presidente della BCE, ha espresso l’opinione che l’inflazione sia la sfida numero uno da affrontare e che i valori alti visti finora potranno restare elevati per un ‘certo periodo di tempo’. Tale considerazione è supportata anche dalla spirale che rischia di innescarsi sui salari, dove si stanno concretizzando le prime tensioni, pericolose in un periodo dove anche la crescita non può dirsi certamente impostata verso valori in miglioramento (vi è stato infatti un taglio delle stime per il prossimo biennio). L’obiettivo della BCE resta quello di centrare un range molto vicino al 2%, target storico del proprio indirizzo di intervento sulle dinamiche inflattive, mentre le previsioni per il 2022 sono attorno al 6,8% (nel 2023 al 3,5%).

Al di là delle previsioni, però, era molto atteso il modo con cui, attraverso la leva dei tassi e delle politiche di acquisto di asset, si può giungere a questi obiettivi. E in questo la BCE è parsa più restrittiva rispetto alle attese di mercato. Per questa riunione, i tassi sono rimasti fermi (quello sui depositi al -0,50%), ma già dal meeting di luglio vi sarà la prima stretta da 0,25%, seguita poi da altri interventi che, a questo punto, il mercato però giudica potenzialmente più invasivi: anche +0,50% a settembre e ottobre, fino ad arrivare ad un l’1% di costo del denaro a dicembre 2022. Non è cosa da poco l’evoluzione degli ultimi mesi: basti pensare che l’opinione del mercato per il 2022 era un incremento in tutto l’anno di appena 2 rialzi da 0,25%. E’ nella seconda parte dell’anno, quindi, che la BCE potrebbe essere più incisiva, a seconda dei dati che arriveranno, ma con la consapevolezza di essere in un enorme ritardo rispetto ad una congrua tabella di marcia. Ed è l’ala nordica/tedesca a spingere per colmare questo gap: la caduta dell’Euro viene ritenuta eccessiva e conduce a importare inflazione, esacerbando il problema.

Considerazioni corrette, anche se va evidenziato come in Europa lo status della crescita vede revisioni al ribasso e come il rialzo dei prezzi sia prevalentemente di matrice energetica. Per chiudere il tema: gli acquisti netti di titoli di stato terminerà dopo 8 anni (dal 1°luglio), anche se continueranno i riacquisti dei bond in scadenza. Quello che ha spazientito gli operatori è però la vaghezza e la poca incisività sull’intervento a difesa dei paesi ad alto debito e spread: non ci sono soglie di intervento ‘di difesa’ ed infatti i rendimenti dei BTP hanno strappato al rialzo. Situazione complicata e amplificata da un contesto dove il conflitto tra Russia/Ucraina resta centrale e dove ancora a livello globale arrivano voci che profetizzano un quadro di stagflazione per i prossimi anni (è la tesi di Dalio).

Sui mercati: Bund a 10Y all’1,52% (+24 bps) ma a salire forte è anche il titolo a 2Y (allo 0,97%, +31 bps in una settimana!). Il debito italiano ha sofferto per la situazione, toccando area 3,76% sulla scadenza decennale (+36 bps), con lo spread che torna a segnalare tensione nella periferia europea. Forte upside anche per il titolo governativo USA a 2 anni (3,06%) e con il decennale che torna ben sopra il 3% (3,16%). Aumenti che vanno a deprimere il reddito fisso, con segni meno generalizzati, sia sul governativo ma anche sul corporate. L’alto rendimento (EUR e USD) è tornato ad essere debole, per via delle tensioni sui tassi e sul rischio di credito. Bene solo gli strumenti legati alle aspettative di inflazione (mentre gli inflation linked hanno sofferto per l’aumento dei tassi reali).

MERCATO DELLE VALUTE

Per quanto riguarda le valute, movimenti volatili sul cambio Euro-Dollaro USA: nonostante la posizione restrittiva della BCE, il cambio è sceso con forza (1,05), incorporando delle attese negative circa la stabilità della zona Euro. Tra le altre valute, l’Euro si rivaluta invece contro CHF e Yen. Deboli le critpo, con Bitcoin sempre in area 29.000/30.000, ancora con poca capacità di recupero.

Dott. Alessandro Pazzaglia, consulente finanziario indipendente

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