Borse ancora prudenti: tornano timori su inflazione e interventi delle banche centrali

MERCATO AZIONARIO

Il mercato resta fondamentalmente sulla falsariga dell’umore della scorsa settimana, con i listini azionari in sostanziale consolidamento dopo la corsa delle prime settimane di gennaio. Si tratta di un aggiustamento necessario per continuare il percorso intrapreso di recupero da parte del mercato e anche per la necessità di allineare meglio le attese sia con gli altri attori in gioco (banche centrali in primis) ma anche con nuovi numeri usciti sul fronte macroeconomico. La settimana uscente ha portato quindi a qualche saliscendi in ambito azionario e ad una ritrovata tensione sui rendimenti obbligazionari, che hanno dovuto incorporare una visione più realistica sulle possibilità di Fed e BCE di riportare l’inflazione a livelli coerenti con gli obiettivi delle stesse.

Non era passata inosservata, infatti, una certa fretta dei mercati nell’archiviare la fase del boom inflattivo post 2020 alimentato sia dalle iniezioni di liquidità effettuate a livello sistemico, sia dalle riaperture economiche post Covid. Un ‘serbatoio’, quello della liquidità che in realtà ha avuto una funzione calmieratrice del downside economico del 2022 (nonostante il difficile contesto con l’aumento delle materie prime ed il conflitto russo-ucraino) e probabilmente anche ora riesce a dare spinta agli indicatori macro. Dopo tutto, se è vero che FED e BCE sono in fase restrittiva della politica monetaria, Cina e Giappone stanno in realtà dando ancora supporto alla liquidità globale, un driver che rimane fondamentale (e una sorta di contro bilanciamento) per evitare involuzioni del ciclo mondiale aggregato.

Se negli Stati Uniti continua la stagione degli utili (il 4° trimestre 2022 attesta ora un -2,4%), alcune indicazioni sono arrivate dall’ambito macro, capaci di modificare (o confermare) il sentiment degli investitori. Il primo elemento è stato l’atteso dato sull’inflazione USA, dove gennaio ha registrato un valore poco gradito (+0,5%, con la versione ‘core’ a +0,4% e con quello annuale al +6,4%), non allineandosi completamente al processo disinflattivo delle ultime release e confermando che la componente affitti è ancora capace di spingere la crescita dei prezzi. Sul piano più economico, i dati soprattutto sui consumi hanno mostrato ancora una forza rilevante (amplificato dal divario di condizioni meteo nelle rilevazioni), denotando, da un lato, la continuazione del buon stato di salute e, dall’altro, uno shift del momento in cui si paleserà un rallentamento. Sempre sul tema inflazione, negli USA i prezzi alla produzione hanno fatto il paio con i dati di CPI, ossia uscendo sopra le stime. Insomma, come si era già evidenziato nei mesi scorsi, domare completamente l’inflazione è un compito non facile.

Da un punto di vista tecnico, la situazione per l’indice americano S&P 500 non è mutata gran che, o almeno, restano importanti i capisaldi che il quadro generale prescrive per salvaguardare il tentativo degli indici di recupero dai minimi dello scorso ottobre. Una configurazione che è coerente una visione non eccessivamente pessimistica sull’evoluzione fondamentale e macroeconomica, senza il cosiddetto ‘hard landing’ e forse anche senza un vero e proprio rallentamento.

Il principale indice americano chiude quindi in area 4.080 punti (-0,2%), lembo su Tra gli altri mercati, l’Europa (+1,5%) è riuscita a fare marginalmente meglio, ritrovando una migliore verve di forza relativa, anche grazie ad una minore sensibilità ai temi legati ai tassi di interesse. E tra i panieri europei, resiste tra i best performer da inizio anno il FTSE Mib (+1,8% e +18% da inizio anno) grazie alla spinta del comparto auto e di quello finanziario. È proprio questo uno dei settori che sta ancora beneficiando della spinta restrittiva delle banche centrali e che garantisce una migliore marginalità sul fronte dei margini di interesse e intermediazione. A livello globale, il settore più è stato quello dei ciclici, seguito poi da Telecom e Tech, mentre calati Energy e Health Care. Il contesto attuale rimane comunque aperto a diverse evoluzioni anche se presumibilmente è ancora da valutare come più probabile un superiore allineamento delle performance tra Growth e Value nel corso del 2023, salvo interferenze significative da parte delle banche centrali o sorprese nei dati di inflazione. Tra i temi/nicchie di mercato, stornano leggermente i settori legati a commodities, mentre sprintano AI e Cyber.

MERCATO OBBLIGAZIONARIO

Leggendo le dichiarazione di questa settimana dei membri del FOMC (ma anche lato BCE le dichiarazioni sono state dello stesso tono), appare sempre piuttosto chiaro quale sia il mantra che sta guidando la banca centrale americana. Mester (presidente della Fed di Cleveland) ha fatto notare come fosse propensa ad un aumento di 50 bps nell’ultimo meeting (a cui si è unito poi anche Bullard, della Fed di St. Louis), chiarendo che forse il mercato aveva sottostimato la perseveranza di almeno una parte dei membri del FOMC.

L’obiettivo è tenere i tassi sopra al 5% per un po’ per evitare che si concretizzino quei rischi che la Fed vede ancora come molto presenti nella macroeconomia statunitense. Sebbene le decisioni verranno prese meeting by meeting, Bullard stigmatizza come che il processo di disinflazione va blindato. Per la prima volta il mercato ora stima un livello di tassi nel 2023 più aggressivo di quello della stessa FED.

Ecco che quindi abbiamo assistito ad un repricing delle attese a breve sulla curva dei rendimenti, con l’annotazione più importante che riguarda la seconda parte dell’anno dove sostanzialmente è stata ridotta l’ipotesi di un taglio dei tassi (erano due da -0,25%, poi diventato uno e ora quasi zero). Questo ha portato (e forse porterà ancora) qualche mugugno e insoddisfazione sul breve, specie per le asset class rischiose, ma almeno sistema quello che era un palese disallineamento tra attese di mercato e dot plot della Federal Reserve (ossia lo schema delle preferenze dei singoli presidenti delle Fed locali). Il top dei tassi è visto ora in area 5,25%-5,50%, quindi con limature verso l’alto e un tasso a fine anno poco sotto quest’aree. Il decennale USA ha continuato la salita della settimana precedente con l’arrivo dell’yield in area 3,80% (che non si vedeva dallo scorso dicembre) e parimenti continua a vedersi una tensione sulla parte a breve. La zona Euro segue diligentemente lo stesso schema: Bund decennale al 2,45% e BTP pari scadenza al 4,30%, elementi che portano ad un close negativo governativi e corporate.

MERCATO DELLE MATERIE PRIME

In ambito materie prime, settimana di debolezza generale ma appare chiaro come…non vi sia chiarezza nelle direzionalità, con le materie prime che oscillano tra ipotesi inflattive più marcate ma anche condizionamenti delle banche centrali. Il petrolio perde qualche posizione (gli USA hanno di nuovo venduto a mercato) e non lascia il suo trend lateral-ribassista mentre l’aumento dei tassi reali fa cadere l’oro, che torna mestamente in aere 1.840 $. Solo le Softs (rientrano, il caffè, il cacao, lo zucchero) resistono meglio.

MERCATO DELLE VALUTE E DELLE CRYPTOS

Per quanto riguarda le valute, la settimana non ha portato particolari variazione nel trend del cambio Euro Dollaro (1.07), con la sensazione che gli aggiustamenti delle ultime settimane sui dati macro e sulla politica monetaria della Fed abbiano prodotto un riequilibrio tra le due zone economiche. Ecco, quindi, che area 1,07 appare che vi siano modifiche nei percorsi delle banche centrali o fi quelli macroeconomici. Nuovo exploit del Bitcoin (+14%).

Dott. Alessandro Pazzaglia, www.pazzagliapartners.it




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