Borse Deboli dopo la Fed; Omicron preoccupa, in calo i Tech.

MERCATO AZIONARIO

Ripiegano le borse azionarie in un’ottava dove l’indice globale MSCI World chiude il proprio saldo settimanale con un -1,50%. La debolezza, generalizzata nelle diverse aree geografiche, segue la precedente ottava dove molti indici azionari, con rimbalzi anche corposi, erano riusciti a riavvicinarsi ai top di periodo. La flessione dell’S&P 500 (-1,90%) riporta il principale indice americano sotto quota 4.700, con i livelli ravvicinati a 4.600 punti utili a dare supporto alle quotazioni nel breve termine. Un andamento che non modifica il quadro generale per l’azionario USA, che arriva al termine di un anno comunque prolifico ma anche con diverse tematiche aperte da affrontare.

Questa considerazione vale ancora di più se si estende la view agli altri due indici americani, Nasdaq 100 e Russell 2000, da cui arrivano indicazioni utili per le valutazioni. L’indice tech, dopo il forte uptrend tra inizio ottobre e metà novembre (con nuovi top storici), ha cominciato una fase interlocutoria con una volatilità più accentuata e una distanza dai massimi che ora sfiora il 6%. Ma ancora più marcato è il downside per il Russell 2000, generato nelle ultime settimane: l’indice dei titoli a piccola capitalizzazione si trova ad un 13% dal top, segnalando una netta perdita di momentum e forza relativa.

Si tratta di due segmenti di mercato che trattano ancora a multipli più elevati rispetto all’S&P 500: sulla stima 2021 22 vs 29 (per entrambi) e quindi più soggetti a contrazioni se le prospettive a lungo termine si vanno a modificare. E’ questo lo spunto che poi porta a ripiegamenti anche di altri segmenti di mercato, come le ‘nicchie tech’ dove si fondono insieme sia caratteristiche spiccatamente ‘growth’, sia di minore capitalizzazione di mercato.

Un contesto quindi simile ad altri vissuti nel 2021 dove gli elementi di rotazione settoriale non sono certamente mancati, interessando ovviamente aspetti di natura macroeconomica e di contesto di politica monetaria da parte delle banche centrali. Sul tema, assolutamente al centro della scena, le ultime riunioni dell’anno di Fed e BCE, che hanno dato in pasto al mercato la loro view sull’economia e sulle mosse per i prossimi trimestri. Un posizionamento, ora apertamente più indirizzato a procedere ad una normalizzazione della politica monetaria, senza più maquillage per nascondere ai mercati questa esigenza. Il risultato è quindi una sferzata più consistente su quei settori a più elevata ‘duration’ in termini di utili e che lasciavano, in effetti, poco spazio a sacche di rendimento prospettico.

A conferma, quindi, che temi come value/growth restano ben presenti, al pari degli atteggiamenti delle banche centrali e ovviamente degli effetti economici dell’evoluzione della pandemia, con la variante Omicron particolarmente aggressiva negli aspetti di contagiosità e che continua a suggerire prudenza negli operatori. Segni meno quindi per quasi tutte le borse (Europa in media -1%) con gli emergenti che tornano ad essere deboli, a causa ancora della debolezza dell’area asiatica (Cina in primis). La volatilità (Vix), scesa in precedenza anche sotto quota 20, torna a ruggire e promette di mantenersi come elemento di disturbo anche per le prossime settimane.

MERCATO DELLE MATERIE PRIME

Decisamente contrastato l’ambiente commodities, con il paniere poco mosso nel saldo finale ma con una ampia dispersione al suo interno. Debole il comparto energy (petrolio appena sopra 70$, -1,1%) mentre hanno guadagnato posizioni i metalli preziosi e quelli industriali. L’oro recupera qualche posizione tornando in area 1.800 $.

MERCATO DELLE OBBLIGAZIONI

Per quanto concerne l’asset class obbligazionaria, l’attenzione degli investitori è stata naturalmente focalizzata sui meeting delle principali banche centrali mondiali. Al centro del palcoscenico ovviamente la Federal Reserve, nel suo ultimo meeting annuale, con il presidente Powell atteso al varco dagli investitori, desiderosi di capire dal ‘wording’ e dalla decisioni quanto aspettarsi per i prossimi mesi. Il FOMC ha mantenuto i tassi ai livelli attuali (0-0,25%), accelerando però sul piano del tapering (riduzione degli acquisti mensili): dai 120 miliardi al mese si era già passati a 105 nello scorso novembre, ma da gennaio saranno 90, per poi azzerarsi in pratica a marzo. Da quel momento, sarà la definizione del mercato del lavoro e del tasso di crescita a determinare le tempistiche per una revisione del costo del denaro. Palese quindi che la banca centrale americana abbia colto al balzo i meeting di novembre e dicembre per allinearsi a ciò che il mercato già intravvedeva. Anzi, a ben vedere, la Fed mette le mani avanti (pur senza specificare tempistiche) dicendo che nel 2022 i rialzi dei tassi potrebbero essere anche 3 (target 0,75% – 1%), con altrettanti rialzi nel 2023, con valori quindi di equilibrio tra l’1,5% ed il 2%. A fine 2024, la Federal Reserve ritiene di poter concludere il processo di normalizzazione della politica monetaria, facendo comunque sempre riferimento alle dinamiche del mercato del lavoro, per il quale Powell si è detto ottimista, con il raggiungimento in tempi abbastanza rapidi della piena occupazione.

Le stime Fed parlano infatti di un possibile tasso di disoccupazione al 3,5% l’anno prossimo (dal 4,3% di quest’anno), accompagnato da un’inflazione più aggressiva (2,6% la stima per l’anno prossimo) e meno transitoria di quanto visto nei trimestri scorsi. Per quanto riguarda la crescita, la Fed la ritiene un po’ meno robusta ma pur sempre su livelli più che

buoni: 5,5% nel 2021, 4% nel 2022 e 2,2% nel 2023, tutti valori al di sopra del livello di lungo periodo pari all’1,8%. In conclusione: la Fed vuole agire ora e si prende lo spazio per farlo: i mercati dovranno tenerne conto pur nella view generale che il sentiero economico è di fondo positivo.

Dall’altra parte dell’Oceano, la BCE si è mostrata molto più attendista, definendo come molto poco probabile un aumento dei tassi già nel prossimo anno. Ferma anche la Bank of Japan mentre è la Bank of England a sorprendere il mercato, con un aumento dallo 0,10% allo 0,25% nonostante nel paese la variante Omicron stia impattando duramente. Londra segue quindi il monito del FMI che evidenziava i rischi derivanti dalle dinamiche inflattive.

Sui mercati: in guadagno i titoli governativi USA, con il decennale che minaccia la rottura di quota 1,40%. Resta ancorato su livelli decisamente negativi il Bund tedesco, il cui yield conferma i recenti valori (-0,35%/-0,40%). Bene quindi anche corporate US che si avvantaggia della discesa del free risk americano e segno più anche per l’High Yield che continua il suo percorso di recupero iniziato nelle scorse ottava dopo un novembre difficile.

MERCATO DELLE VALUTE

Per quanto riguarda l’ambito forex: temporaneo rafforzamento dell’Euro rispetto al Dollaro USA, con i valori che, dopo i rispettivi meeting delle banche centrali, hanno visto il cross toccare area 1,136, per poi ritracciare in chiusura (1,124). Ancora grande difficoltà per la Lira turca, con il cambio che perde un altro 20% dopo l’ulteriore taglio dei tassi della banca centrale nazionale. Cade il Bitcoin (-6,5%), sotto quota 47.000 $ e sempre correttivo nel breve termine

Dott. Alessandro Pazzaglia, Consulente Finanziario Indipendente, iscritto all’Albo delibera. 1081 del 18/04/2019. Info mail [email protected]




Condividi