L’angolo dello psicologo. Loperfido “abbiamo venduto l’anima a Internet”

Abbiamo venduto l’anima a internet
Fino a non molto tempo fa si usava utilizzare metaforicamente la frase “Vendere l’anima al diavolo” per indicare di aver sacrificato i propri valori, la propria libertà, i propri principi morali, insiti nell’animo umano, a favore di qualcosa di puramente materiale, terreno: fare qualsiasi cosa, anche immorale per raggiungere lo scopo.

Da qualche giorno, stiamo assistendo al più grande blackout informatico della storia che ha provocato il blocco aeroportuale di moltissimi stati, più di seimila voli cancellati, la sospensione di interventi chirurgici, la cancellazione di molti viaggi in treno. In tutto il mondo, tranne la Cina, sono andati in tilt supermercati, banche, ospedali, tv, la Borsa di Londra, testate giornalistiche. È bastato un errore di programma della piattaforma CrowdStrike per bloccare il mondo.

Ci siamo resi conto che, oramai, nessuno può fare a meno dell’uso della nuova tecnologia. Oggi, ogni operazione la facciamo con lo smartphone: prenotare un esame medico, un esame scolastico, consultare il registro di classe, compilare il registro di classe, pagare un caffè o un biglietto del treno o dell’autobus, richiedere una ricetta, fare acquisti di ogni genere, governare la propria casa domotizzata, orientarsi in una città. Tutto è mediato dallo smartphone. Sempre più si parla di Intelligenza Artificiale (AI), di realtà virtuale che si fatica a distinguerla da quella reale, di Metaverso, ovvero di spazi liberi con strade, locali, negozi, creati da programmatori, al cui interno le persone interagiscono e si spostano tramite il proprio avatar.

Un mondo digitale questo, virtuale, facilmente accessibile, che occupa gran parte della vita di chi vi partecipa, costringendola a vivere una vita alternativa per sfuggire ad una realtà considerata impegnativa.

Quanto stiamo vivendo in questi giorni non ci sta preoccupando più di tanto, convinti, oramai, che siamo in buone mani, che tutto si risolverà presto, che è stato solamente un piccolo incidente. Dal momento che la perfezione non esiste, ci stanno rassicurando dicendo che in un paio di giorni tutto ritornerà come prima, anzi, meglio di prima, perché verranno installate nuove forme di sicurezza per impedire che si ripetano i blackout. Ma anche questa informazione, a mio avviso, è falsa perché, come ci hanno detto gli scienziati, la perfezione non esiste e, quindi, questi fenomeni si ripeteranno.

Forse sarebbe il caso che ci rendessimo conto che, in qualche forma e misura, chi più chi meno, ciascuno ha venduto la propria anima, non al diavolo, come si usava dire, ma al mondo digitale, a internet. A questo proposito mi viene in mente la scena del vangelo di quando il demonio, dopo aver portato Gesù su di un alto monte e avergli mostrato tutti i regni del mondo, gli dice: «Tutte queste cose ti darò, se tu ti prostri e mi adori» (Matteo 4,8-9).

Molto probabilmente, per ogni essere umano, internet è riuscito dove il demonio ha fallito. Internet propone ad ogni suo affiliato (prostrato) di essere ovunque e chiunque, di essere potente e immortale; gli fa superare ogni difficoltà sociale, psicologica e lavorativa dandogli la possibilità di far parte di nuovi mondi virtuali. Internet, velocemente, fa diventare famoso e “virale” in tutto il mondo chiunque pubblica un brevissimo video, specialmente di una “bravata”.

Un tempo, tutto ciò si sarebbe chiamata schizofrenia o disturbo antisociale di personalità o disturbo mentale, oggi, invece, è considerato malato chi cerca di limitare l’uso delle nuove tecnologie, chi certa di regolamentare l’uso dell’intelligenza artificiale, chi vuole mettere i media al servizio dell’uomo e non l’uomo a servizio dei media. Con ammirazione e gioia vediamo quando Google ci ricorda dove eravamo un anno fa, con chi eravamo, cosa stavamo facendo, quanti posti abbiamo visitato, quanto abbiamo speso, quanti passi abbiamo fatto.

Potremmo dire che la nostra anima, sempre se ci crediamo di averne una, è tra le ramificazioni della rete. Oggi, nella rete esiste un’altra dimora digitale eterna, dove albergano identità elettroniche e miliardi di messaggi, foto, brani musicali, video, e-book, documenti, conversazioni che vivranno oltre la morte fisica di ogni utente.

Diverse Start up e siti web hanno come loro principale obiettivo quello di creare tecnologie che permettano il trasferimento della personalità di un individuo in un essere non biologico, un alter ego digitale, un umanoide, in modo da prolungare la durata della vita fino a raggiungere l’immortalità.

Il blackout informatico di questi giorni avrebbe dovuto farci riflettere un po’su quanto la nostra vita non la stiamo decidendo più noi ma un algoritmo, l’Intelligenza Artificiale.

La cultura e il pensiero postumani non possono essere più considerati fenomeni trascurabili o “mode” dettate dal progresso tecnologico. Un po’ la volta, l’individuo sta delegando sempre più ogni aspetto della sua esistenza alle stesse macchine da lui inventate. La relazione uomo macchina è sempre più interdipendente, personalizzato e quotidiano: esoscheletri indossabili per svolgere attività riabilitative, protesi e arti robotizzati, impianti cocleari e oculari. Sempre più frequentemente si eseguono interventi di trapianto chirurgico con organoidi simili a quelli umani, stampati con bio-stampanti 3D, alimentate da inchiostri a base di cellule staminali.

Perfino la cute può essere riprodotta in maniera sintetica, ad esempio, per ripristinare la pelle sfigurata delle vittime da ustioni. Anche se non ce ne siamo accorti, i robot sono già entrati nei nostri corpi; stiamo diventando sempre più cyborg, sempre più ibridi e “strutture” connesse. Nessuno può stare senza uno smartphone, senza essere connesso.

Esso è diventato un nuovo organo vitale del corpo umano al quale, sembra, che spettino le più grandi decisioni, le sorti del destino. Non sapremo mai quali e quanti danni ha provocato alle singole persone il blackout di questi giorni, chiamati semplicemente danni collaterali. In maniera fatalistica ci affidiamo alle braccia e alle decisioni della rete, dell’algoritmo.

Antonio Loperfido
Psicologo Clinico e Psicoterapeuta




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