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venerdì , 27 Dicembre 2024

Mercati volatili dopo l’inflazione USA, Borse nervose, ancora su i tassi

Mercato Azionario

Se non fosse per il conseguente calo di valore degli investimenti finanziari, questo 2022 si potrebbe certamente annoverare come uno tra i top come interesse e peculiarità. Quella appena trascorsa, infatti, oltre alla solita ‘dose’ di volatilità, ha portato una ulteriore evoluzione nel percorso accidentato dell’anno, con una condizione di stress molto pronunciata proprio nelle sedute precedenti all’evento clou, ossia il rilascio del dato di inflazione americana. Palpabile il posizionamento da parte del mercato, quasi davanti ad un momento epocale da celebrare nel megaschermo dei monitor finanziari. Alla fine i dati di inflazione hanno ancora una volta sorpreso al rialzo: un 8,2% annualizzato (vs 8,1% atteso) e soprattutto un dato di incremento mensile del
+ 0,4% rispetto ad un +0,2%. In più, ed è questo l’aspetto più rilevante, una parte ‘core’ (ex Food and Energy) ad un +6,6%, in salita e oltre i valori che ci si attendeva. Il dato non poteva essere peggiore di così ed era stato anche anticipato il giorno precedente da quelli dei prezzi alla produzione (8,5% annuo, +0,4% mensile). Insomma, un quadro foschissimo che evidenzia ancora la forza delle tendenze inflattive e comporta la necessità delle banche centrali di operare muscolarmente. La reazione di mercato è stata prima scomposta e poi in netto recupero dai minimi nella giornata di giovedì. Una reazione quasi isterica, probabilmente amplificata da ampie ricoperture e collegata a fattori di trading automatizzato.

In ambito azionario, l’indice MSCI World ha concluso la settimana con un risultato con saldo negativo (-1,7%), appensantito sul finale dalle nuove vendite in chiusura di settimana dopo il temporaneo recupero. Osservando il comportamento del principale indice americano, l’S&P 500, si rileva come la tenuta dei minimi in area 3.600 sia ancora appena ad un filo molto esile. Una capitolazione dei supporti avrebbe ulteriori complicanze tecniche, a conferma del quadro ancora debole e deteriorato che si vede sul mercato. Nonostante i rimbalzi molto forti (quello di giovedì è stato da record), l’indice USA fatica a invertire le proprie tendenze primarie e risulta ancora impattato dai dati in uscita. Dal punto di vista tecnico le quotazioni restano inserite infatti in un trend ribassista strutturale (se pur con rimbalzi temporanei): lo confermano massimi decrescenti e altri indicatori (medie mobili). Anzi, recuperi momentanei non fanno altro che ‘ricaricare’ gli indicatori per ulteriori possibili discese.

Diverse le considerazioni che si possono fare riguardo ai dati usciti e alle reazioni di mercato. Secondo alcune letture i dati di inflazione in uscita sono l’ultima parte dell’onda lunga del 2021: alcune componenti segnalano già il rallentamento, altre invece (come gli affitti) sono in ritardo ‘tecnico’. In definitiva, il picco è fatto, ci sarebbe ‘solo’ da aspettare. Da aggiungere che il data mover di venerdì (aspettative di inflazione del Michigan) e le dichiarazioni ancora hawksish di membri del FOMC abbiano urtato ancora la sensibilità del mercato. Un altro punto di vista invece apre il capitolo degli utili aziendali ed è ora su questi che il mercato guarderà con sempre maggiore insistenza: la stagione delle trimestrali in corso (3° Quarter) darà già delle indicazioni nelle prossime settimane. Perché, per ora, tutti i conti sui mercati sono stati fatti tenendo conto, come scenario peggiore, di una sostanziale prospettiva di stagnazione dei risultati aziendali nei prossimi trimestri.

Se l’S&P 500 è quindi sceso di uno 1,5%, peggio ha fatto il Nasdaq 100 (-3,1%), con l’indice tech che, per effetto del rialzo tassi, si trova già sotto ai minimi di giugno. La settimana porta con sè risultati positivi solo per Consumer Staples e Health Care, con forti segni meno invece per Tech e Ciclici. Tra le altre borse, molto negativa la Cina (-7%), penalizzata dai dati macroeconomici che evidenziano le difficoltà di Pechino a sostenere la crescita.

Mercato Obbligazionario

La settimana è stata ancora una volta pesante per tutti i segmenti obbligazionari: non manca nessuno all’appello, dai governativi, al corporate investment grade fino ad arrivare all’alto rendimento. Lo tsunami che sta colpendo l’asset class tipicamente considerata come maggiormente protettiva nel portafoglio non accenna ad arrestarsi, accompagnando in modo quasi parallelo l’equity nelle discese da inizio anno. Una correlazione di cui già molto si è parlato e che per il momento fa fatica a slegarsi. La dinamica dei tassi di interesse tende infatti ad accumunare le due asset class, in considerazione del posizionamento ancora fortemente restrittivo delle banche centrali. Visti i valori di inflazione usciti negli USA e in Germania (8,2% e 10% per il mese di settembre) è quasi impossibile parlare di ravvicinato momento in cui finirà la fase di ‘tightning’. Anche perché il volere delle banche centrali è a tutti gli effetti una appesantimento delle condizioni finanziarie. Molti osservano che eventuali recuperi di azionario e obbligazionario sarebbero visti, in particolare dalla Fed, in maniera non troppo benevola. La quale non perde occasione, ogni settimana, di far sapere al mercato che “la politica monetaria deve essere più restrittiva e che va mantenuta visto che l’inflazione è inaccettabilmente alta, al di sopra degli obiettivi di lungo periodo e senza segnale di riduzione” (verbali Fed). Da qui un obbligazionario che per il solo effetto ‘tasso’ si trova praticamente vicino ai minimi annuali.
Il dato di inflazione uscito in settimana (così come quello relativo ai prezzi alla produzione) difficilmente farà togliere il piede dall’acceleratore a Powell. Il mercato sconta un intervento certo da 0,75% a novembre (con una piccola ‘punta’, un 15%, che ipotizza anche un incremento ancora più corposo), incerto tra 0,50% e 0,75% a dicembre e finale da 0,25% tra gennaio e febbraio 2023. Abbastanza, quindi, da portare i tassi appena sotto il 5%, un livello ritenuto capace di avere effetti efficaci verso l’inflazione. Il che, come è noto, passa anche attraverso un indebolimento economico che, per il momento, ha mostrato più di una crepa ma senza sfociare in una aperta fase recessiva. Anzi, Janet Yellen, segretaria al Tesoro USA, evidenzia come l’economia stia facendo (troppo) bene considerato il contesto macro caratterizzato da alti prezzi energetici e tensioni geopolitiche.
I dati di mercato vedono il decennale USA che abbozza una sorta di temporaneo doppio minimo in area 4%, in parallelo con quanto visto sull’azionario. I tassi a breve (2Y) volano invece su nuovi massimi (anche sopra il 4,50%). Simile il comportamento per il Bund tedesco e per il BTP italiano che riprendono quota sul finale d’ottava (rispettivamente al 2,34% e 4,79%): la situazione economica in Europa rimane tesa sul fronte energetico e su quello macro. Marcati segni meno per High Yield e corporate: il mercato del credito rimane preoccupato per i rischi derivanti dal possibile futuro calo dell’attività economica.

Mercato delle materie prime e valute e cryptos

• In ambito materie prime, settimana di nuovo indebolimento dopo i corposi segni più della scorsa settimana. Il petrolio ritraccia (-7%) dopo il precedente rally e torna ben sotto i 90 Dollari al barile. Deboli anche altre materie prime come quelle industriali. Parimenti, l’oro (-3%) manca la conferma sopra quota 1.700$, infastidito dalla ritrovata forza del Dollaro USA e dei tassi reali. La valuta americana torna ad essere sostenuta dalle attese di politica monetaria da parte della Fed e si riporta in area 0,97. Tra le altre valute, resta debole lo Yen (la BoJ è ferma) e volatile resta anche la Sterlina, con la situazione legata ai fondi pensione (e in generale all’economia) che resta sotto monitoraggio attento da parte dei mercati.

Dott. Alessandro Pazzaglia, Consulente Finanziario Indipendente, iscritto all’Albo delibera. 1081 del 18/04/2019. Info mail [email protected]

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