Nuovi massimi per Wall Street; S&P 500 oltre quota 5.000 con i tech, rendimenti bond in salita

Intermarket

Nella settimana successiva al FOMC e alle trimestrali delle grandi capitalizzazioni tech (manca solo NVIDIA), le borse non arrestano la loro tendenza positiva, con nuovi massimi per gli indici statunitensi e l’S&P 500 che ha raggiunto e superato l’iconica quota 5.000 punti. L’indice MSCI World chiude la settimana con un progresso dell’1,1%, che porta il bottino da inizio dell’anno a quasi il 4%.

La tendenza risulta ancora sostenuta grazie al clima positivo che si respira in ambito macroeconomico (dopo l’ISM manifatturiero della scorsa settimana, è seguito in quella appena conclusa il buon dato dell’ISM servizi), ma anche sul fronte aziendale, con la stagione degli utili che va verso un andamento più che soddisfacente. +6,7% nel 4° trimestre 2023 contro attese iniziale che non superavano il 2%.

Il binomio micro e macro crea così terreno fertile per ritocchi continui al rialzo degli indici di borsa, dove il sentiment sta diventando particolarmente euforico per le tech stocks, anche di media capitalizzazione (almeno per quanto riguarda il mercato US) che vedono arrivare flussi in entrata dopo la caduta, anche rovinosi in certi casi, del 2022.

Lo stato di buona salute del comparto chip e affini risulta motore principale degli attuali corsi di borsa (ruota tutto intorno alle implementazioni tech), con sullo sfondo scenario macro e, ovviamente, le scelte che dovrà fare la Federal Reserve in materia di tassi e liquidità. Se le aste di titoli di stato sono andate sostanzialmente bene, resta il dilemma sulle opzioni a disposizione di Powell per gestire un’economia forte, un costo del denaro elevato e un’inflazione da tenere sotto controllo.

I rendimenti obbligazionari (-0,7% il global aggregate, ossia il conglomerato di governativi e corporate) prendono atto della riaccelerazione in corso dell’economia USA e si adeguano, se pur con moderazione, visto che rimane una view che prevede tassi in riduzione per i prossimi anni. Quanto basta per non impedire una espansione dei multipli delle borse e per creare un ambiente favorevole per l’azionario. I segni meno dell’obbligazionario a medio/lungo termine sono comunque in continuità con l’ultimo periodo di rimbalzo dei rendimenti dai minimi di dicembre, essendo legati ad una visione di una Fed che ritarda di qualche mese l’inizio del cambio di rotta sui tassi.

In questo contesto, continua il balletto del petrolio tra 70$ e 77$ mentre rimane quieto l’oro. Dollaro stabile, e forte, tra 1,07 e 1,08.

Mercati azionari

La performance positiva dell’indice globale MSCI World è alimentata dal buon andamento di Wall Street ma anche da una discreta coralità nelle altre aree regionali.

Per quanto riguarda gli USA, l’S&P 500 mette a segno un progresso dell’1,4%, imitato e amplificato dal Nasdaq (+1,8%): l’uptrend di inizio 2024 porta questi indici ad un guadagno tra il 5% e 7%, un valore che probabilmente sorprende molti visto che si arrivava già da due mesi come novembre e dicembre particolarmente tonici. Dai minimi di ottobre il guadagno per l’S&P 500 comincia a farsi significativo, oltre il

+20%, dove una parte è certamente di ‘rebound’ dopo la debolezza precedente, ma il resto è ascrivibile ad elementi sia di natura macroeconomica sia di analisi fondamentale.

L’indice S&P 500, infatti, non solo ha recuperato velocemente la fase correttiva ma è riuscito a superare sia i massimi provvisori del 2023 (4.600) sia quelli storici (inizio 2022, a 4.800 punti), catalizzando la dinamica positiva che continua a venire dalle revisions in positivo degli utili aziendali e l’accresciuto ottimismo circa il GDP USA, in accelerazione assoluta e in fase di decoupling rispetto ad altre aree regionali (Europa, Cina). Sono state assente finora correzioni significative che, evidentemente, si fanno più probabile man mano che gli indicatori si dirigono verso l’ipercomprato. Per ora, manca ancora il catalizzatore che porti a prese di beneficio significative. La sensazione è che correzioni veloci siano ancora buy point mentre per il medio termine occorrerà capire l’indirizzo che la Fed vorrà mantenere per il 2024, visto che il mercato stima una posizione piuttosto accomodante.

I 5.000 punti dell’S&P 500 diventano così iconici ma non solo da meno i quasi 18.000 del Nasdaq 100 che come l’S&P ha visto solo la minimi correzione di inizio anno (4%) prima di involarsi su nuovi massimi. L’Europa segue per effetto traino (Eurostoxx +1,4%, grazie soprattutto al FTSE Mib) godendo anche di qualche riposizionamento settoriale se pur meno supportato dalle stime di crescita macro e micro. Le difficoltà cinesi invece sono a tutto vantaggio del Giappone (+2% e +10% ytd) e dell’India, con il Sensex in pieno uptrend rialzista.

Mercati obbligazionari

La settimana si chiude con gli indici obbligazionari governativi col segno meno, dopo il recupero della scorsa ottava. Situazione controversa quella dei bond a medio lungo, tirati per la giacca dai mercati da una parte e dalle banche centrali dall’altra.

In realtà, già nello scorso venerdì i dati macro statunitensi avevano prodotto un sussulto dei rendimenti a 10 anni, che dal 3,80% avevano nuovamente varcato area 4%, per tornare su quella che appare una vera e propria linea del Piave, ossia quota 4,15%-4,20%, resistenza tecnica rilevante. Un suo superamento avrebbe implicazioni di medio termine, archiviando, per ora, il movimento ribassista di fine 2023 e ponendo obiettivi probabilmente in area 4,50%.

Il motivo è comunque quello di contesto generale, ossia la prudenza con cui le banche centrali (nei fatti la Fed)

possono/vogliono invertire la loro politica monetaria costruita negli ultimi due anni. Non c’è da esserne stupiti, almeno per due motivi: il primo è che l’economia non lo mette come requisito per essere sostenuta, il secondo che l’arsenale (anti inflazione) faticosamente messo in piedi è sì corposo (riduzione del Quantitative Tightening, riduzione dei tassi), ma ogni utilizzo va valutato con attenzione per il futuro.

Le probabilità di un taglio dei tassi a marzo restano più o meno stabili in area 20%, mentre maggio è più probabile (73%). Un percorso di disillusione che coinvolge anche la BCE: i mercati ora non pensano più ad un taglio a marzo ma forse nemmeno ad aprile (53%). Più probabile, comunque, che la BCE seguirà la Fed e non proverà a far da sola.

Nella zona Euro si è assistito ad una simmetrica pressione al rialzo sui rendimenti, con il Bund decennale sui massimi ad un mese (area 2,35%) ed il BTP pari scadenza che minaccia di tornare sopra il 4% (obiettivi 4,50%). Coerentemente con le view più prudenziali sulla politica monetaria, anche i rendimenti a 2y sono risultati in rialzo, sia per la zona Euro che per quella USD. In marginale ribasso anche gli indici corporate investment grande mentre è praticamente invariato l’high yield.

Materie prime

Il paniere delle materie prime fa segnare una variazione moderata (+0,30%) ma con una dispersione ampia all’interno dei vari segmenti. In rebound il petrolio (+6% a 76$) che da qualche tempo a questa parte fa la spola tra area 70 e 77, ancora senza breakout decisivi.

Debole l’oro (-0,8% a 2.024$) che ritraccia leggermente nell’alveo di una continuazione dell’high for longer.

Mercato dei Cambi e Bitcoin

Settimana stabile per il Dollaro USA, con il cross appena sotto quota 1,08 e con poco più del 2% guadagnato da inizio anno.

L’appetito per il rischio rinvigorisce il Bitcoin che con un sontuoso +10% cancella la correzione delle scorse settimane che l’aveva portato anche sotto quota 40.000.

Dott. Alessandro Pazzaglia, consulente finanziario indipendente, www.pazzagliapartners.it




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