Prove di rimbalzo per Wall Street; dopo la Fed permane la volatilità delle borse.

MERCATO AZIONARIO

  • Volatilità ancora protagonista sulle principali borse internazionali per buona parte della settimana: prima della chiusura i segni meno sui mercati avevano appesantito i passivi accumulati nelle settimane precedenti. I diversi tentativi di rimbalzo che i listini hanno tentato durante l’ottava sono stati spesso effimeri, con le quotazioni che però, con la seduta di venerdì, hanno raggiunto un close sopra i minimi. Segno che le posizioni ribassiste e rialziste nel breve si contendono ancora il controllo del centrocampo: una parte del mercato sta esprimendo segnali di preoccupazione sul contesto generale, così come sta valutando i livelli più interessanti per riposizionarsi. La settimana si chiude con un azionario globale che lascia sul terreno oltre uno 0,6%, portando il saldo da inizio anno ad un -6,9%, risultato che ha sorpreso per le modalità di realizzazione in questo inizio d’anno.
  • Ed è ancora Wall Street, dopo anni di soddisfazione agli investitori, a manifestare le variazioni di tema più evidenti per questo 2022, sebbene le performance complessive ora comincino a manifestarsi in maniera più uniforme anche sugli altri listini. L’S&P 500 (+0,8%) ha raggiunto il 12% di ribasso dai massimi, dirigendosi verso quel tipo di correzione che è comunque tipica e ricorrente nei mercati azionari e che, non trasformandosi in inversione primaria, è stata compresa storicamente tra il -10% ed

–              20%. L’S&P 500 si è diretto verso i primi supporti più valenti, ossia le aree degli scorsi mesi di settembre (4.300) approfondendole intraday ma diligentemente ‘tenendole’ in chiusura daily e weekly. La pressione ribassista ha, per il momento, impedito rimbalzi verso i precedenti livelli di supporto (area 4.550), anche se l’ipervenduto delle ultime sedute ha consentito il tonico segno più di venerdì. Peggio in questo inizio anno ha fatto il Nasdaq, già sotto i supporti di settembre (area 14.500) ma salvato dai supporti statici appena inferiori. Il drawdown dell’indice tech è consistente (-18%), essendo statu i titoli tech quelli più bersagliati dalle vendite. Da segnalare comunque più luci che ombre sul fronte dell’earning season in corso.

  • La situazione di debolezza sui mercati interessa però anche le altre aree geografiche: l’Europa, finora graziata, ha visto anch’essa durante l’ottava fenomeni di storno in linea con gli indici USA, con la sola eccezione del FTSE 100 inglese. Chiaro comunque che la composizione dei panieri europei abbia una resilienza maggiore derivante dal mix settoriale con multipli meno elevati. L’MSCI World Growth, per la terza settimana di fila, amplifica le perdite di mercato (-0,9% vs il -0,3% del Value), a conferma che il mercato sta operando una selettiva ‘ripulitura’ degli eccessi sui multipli di valutazione. Tra i settori in forte upside l’Energy (+3,3%), ancora trainato dal prezzo del petrolio mentre si difendono i finanziari. Ancora segni meno sulle nicchie ‘tech, che evidenziano le peggiori performance da inizio anno (tra -10% e -20%). In termini regionali, ribassi anche sugli emergenti, con i cali piuttosto netti dell’azionario asiatico.
  • Il Vix, dopo lo spyke a quota 40, ha ritracciato sul finale, lasciando spazio ad un ulteriore rientro nel breve della volatilità e un possibile rimbalzo per gli indici che possono recuperare alcune posizioni. Gli appoggi statici su quota 4.300 di S&P 500 e 14.000 di Nasdaq rappresentano baluardi tecnici per evitare ulteriori approfondimenti ribassisti.

MERCATO DELLE MATERIE PRIME

In ambito commodities, paniere generale positivo nel suo complesso, grazie al contributo principale giunto ancora una volta dal segmento energetico. Il petrolio vede ormai area 90$, supportato dalle tensioni geopolitiche in Ucraina. Debole l’oro, sulla scia invece della forza del Dollaro USA e nonostante il recupero dei tassi reali. In calo anche le materie prime industriali.

MERCATO OBBLIGAZIONARIO

  • Per quanto concerne l’asset class obbligazionaria, i principali indici hanno visto ancora un persistere della tensione sui tassi, con segni meno generalizzati in particolari sui diversi segmenti regionali dei governativi. Il decennale americano, anche se tra alti e bassi, è rimasto infatti su livelli ancora piuttosto elevati anche se sotto al top dell’anno dell’1,90% (close a 1,78%). La struttura tecnica dei rendimenti resta impostata al rialzo, in particolare dopo il comunicato ufficiale della Federal Reserve che ha constatato l’appropriatezza (e la necessità), di elevare il range dei Federal Funds (attualmente tra lo 0 e 0,25%). Una posizione giustificata dallo status del mercato del lavoro che viene considerato sufficientemente forte per dare un’accelerazione alla normalizzazione della politica monetaria in essere e che prevede anche la fine del tapering in corso.
  • L’obiettivo della FED, ormai dichiarato e palese a tutti gli operatori di mercato, è quello di domare l’inflazione, il nemico pubblico numero uno negli Stati Uniti e chiaramente avversato tanto sul piano politico tanto su quello più strettamente legato al mandato della banca centrale americana. Jerome Powell, che si è espresso in maniera piuttosto netta su questi punti, ha a ben vedere capovolto quello che era il ‘wording’ di appena qualche mese fa, quando l’inflazione veniva vista solo come transitoria e gestibile senza manovre d’urto, anche per evitare contraccolpi ad un’economia in uscita dall’emergenza pandemica. Improvvisamente sono spariti riferimenti a ritorni del mercato del lavoro ai livelli pre pandemici: l’indirizzo politico sulla tema della pandemia appare a livello globale come indirizzato ad essere declassato come rischio primario, con l’attenuazione delle misure restrittive e la derubricazione a elemento di fastidio stagionale, salvo l’uscita di varianti Covid realmente più pericolose per le aperture economiche e impattanti per i sistemi sanitari.
  • La Federal Reserve, quindi, partirà a marzo con i primi rialzi dei tassi, per gestire la salita dei prezzi dei beni al consumo e tenersi allineata anche con la crescita dei salari. La stretta sarà graduale, compatibile con il mercato del lavoro, e sarà seguita da un rientro anche dalle dimensione del bilancio, cresciuto a dismisura nel periodo Covid. Poco miele, quindi, per i mercati azionari che, dopo aver apprezzato la neutralità del discorso di Powell, hanno però pesato maggiormente il decisionismo nelle prospettive per i prossimi mesi e hanno bisogno di tempo per metabolizzare il tutto per assestarsi.
  • Sui mercati, il decennale americano si è quindi mantenuto su livelli elevati, vicini ai massimi, al pari del Bund tedesco, ancora in prossimità di area 0 sulla scadenza decennale. Da annottare la risalita dei tassi a breve negli USA: tasso a 2Y all’1,2% e curva che perde ben 15 bps nella sua pendenza in una sola settimana (da 0,75% a 0,60%). In ripresa le aspettative di inflazione USA, elemento che consente una maggiore distensione sui tassi reali (risaliti allo -0,69%).
  • Tra gli altri segmenti, ancora debole il corporate così come anche per l’high yield, ancora danneggiato dall’allargamento degli spread di credito.

MERCATO DELLE VALUTE E DELLE CRYPTO

In ambito forex, energico ritorno di forza per il cross Euro-Dollaro, che sulla scia delle dichiarazioni del presidente Powell, riguadagna forza e fissa nuovi minimi di periodo in area 1,11. Volatile il Bitcoin che scivola verso area 33.000 per poi recuperare e chiudere l’ottava in ripresa rispetto alla settimana precedente (+3%).

Dott. Alessandro Pazzaglia, Consulente Finanziario Indipendente, iscritto all’Albo delibera. 1081 del 18/04/2019. Info mail [email protected]

 




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