Wall Street passa il Test Fed; utili e dati macro supportano gli indici, BCE e FED aumentano ancora i tassi.

MERCATO AZIONARIO

Settimana con movimenti nervosi ma con finale in verde quella che si è appena chiusa per le borse internazionali, con diversi market mover capaci di imprimere dei movimenti al mercato. Tra trimestrali e banche centrali, infatti, il menu è stato piuttosto vario ed il saldo alla fine ha di nuovo visto un progresso delle borse: l’azionario globale (MSCI World) chiude infatti la settimana con un+ 1% (+19% da inizio dell’anno) e Wall Street alla fine ha preso la via del rialzo, con l’S&P 500 in progresso dell’1% (+20% da inizio anno). La vicinanza a soglie tecniche rilevanti (4.600) effettivamente crea qualche effetto di disturbo ma l’andamento rialzista rimane valido e permane una certa pressione all’acquisto ed ottimismo.

La prima parte della settimana ha visto gli indici USA in attesa della riunione della Federal Reserve e della BCE, anche se poi le novità più rilevanti sono arrivate dall’Asia con la Bank of Japan. Le sedute iniziali della settimana, infatti, hanno preso atto di complessivi buoni risultati societari da parte dei titoli più capitalizzati, anche se con varie sfumature. In generale bene gli utili, che hanno battuto le attese, mentre Powell ha evitato di guastare il clima pre-agostano, rimanendo molto neutro nelle azioni future della FED e nelle parole, con un meeting del FOMC avaro di spunti che non fossero già incorporati nei prezzi. Conciliante anche la BCE, con Lagarde che non ha calcato troppo la mano sulla necessità di mantenere una politica monetaria ancora restrittiva. Più d’impatto, ma con segni opposti, quanto avvenuto giovedì: prima una serie di dati macro tutti favorevoli all’economia USA (PIL, sussidi) ma dal Giappone la decisione di allargare il range dell’azione di controllo dei tassi a lungo della banca centrale, primo segnale di un possibile cambio di rotta nell’unico contesto dove la politica monetaria non si era ancora adeguata ai valori crescenti di inflazione. L’evento assume rilevanza per il ruolo intermarket che ha l’area nipponica, visto che con i tassi a zero da tempo immemore, il Giappone ha rappresentato una fonte di finanziamento a basso costo per molti ‘large investors’. Wall Street però, come detto, è in salute e venerdì ha rapidamente ripreso a correre.

Driver particolari “programmati” davanti non ce ne sono, i prossimi appuntamenti sono a Jackson Hole a fine agosto ma nel frattempo continueranno ad uscire i dati macro in un contesto di liquidità decrescente. Diamo allora un po’ di numeri; Il Nasdaq chiude la settimana con un progresso più ampio dell’S&P 500 progresso, un +2,1%, con una tendenza di breve e medio termine che non cambiano e restano positivi. Il ruolo delle grandi capitalizzazioni della tecnologia resta cruciale, il loro uptrend sostiene non solo il tech ma tutto l’azionario, nonostante si sia tentato nelle scorse settimane un parziale cambio di testimone verso altri settori. Bene anche l’Europa che cerca ogni tanto di star dietro a Wall Street grazie a FTSE Mib e Dax (due tra i listini più ciclici) e questo nonostante dei dati macro che non sono stati particolarmente lusinghieri per l’Eurozona, elemento che è stato rimarcato anche da Christine Lagarde, che rimarcato l’attuale incertezza economica.

I dati macro della settimana, infatti, lo confermano e vanno nella direzione di un Outlook ancora positivo per gli USA mentre più incerto per Eurozona. Il PIL trimestrale americano (2Q) segna un +2,4% (rispetto ad attese del +1,8%) ed anche i sussidi di disoccupazione si sono attestati sotto alle previsioni, dando quindi l’idea di una certa resilienza e tono dell’economia USA. Anche in ambito prezzi negli USA si intravvede una moderazione con il PCE core (inflazione sui beni personali) ai minimi da settembre 2021, +4,1% anno su anno e +0,2% mensile. Sono valori ancora alti ma coerenti con la tendenza recente di riduzione che fanno piacere ai mercati azionari. La stagione delle trimestrali americane evolve in senso positivo, con la gran parte delle aziende che rispetta e batte le stime degli analisti e senza quindi particolari sorprese in negativo.

MERCATO OBBLIGAZIONARIO

Nella riunione della settimana appena terminata, la Fed, come da attese, porta il costo del denaro nel range tra 5,25% e 5,50%, livelli importanti e che molti membri del FOMC ritengono già sufficientemente restrittivi. Jerome Powell, capo dell’autorità monetaria USA, ha mantenuto un profilo molto neutro e sempre basato sull’osservazione dei dati per eventualmente modificare lo status attuale. Evidentemente ci sono dati macro che piacciono alla Fed, intenzionata sempre nell’essere rigida nei confronti dell’inflazione, vista al 2% solo nel 2025. Questa ‘porta aperta’ a differenti scenari è assimilata anche dai mercati, che prezzano un ulteriore ritocco al 36% tra novembre e dicembre: insomma, si spera di no, ma c’è ora più allineamento almeno per il 2023, mentre per l’avvenire (2024) la partita dipenderà chiaramente dalla tenuta dell’attività economica.

Anche la BCE conferma le attese e aumenta il tasso di sconto portandolo al 4,25%: vi era un po’ lo spauracchio di uno speech aggressivo da parte di Lagarde, ma forse un po’ a sorpresa, non vi sono state dichiarazioni da ‘falco’, addirittura una possibile pausa a settembre, un po’ nello stile Fed, con le due banche centrali che si riavvicinano nelle scelte di politica monetaria, elemento che ha rafforzato il Dollaro USA. Si stima ora con una buona probabilità (85%) un ultimo ritocco nel secondo semestre, anche se la BCE non ha dato particolari view su questo punto. Novità dal Giappone dove anche qui a sorpresa, la BoJ ha esteso il controllo sulla parte a medio lungo della curva, permettendo una oscillazione fino all’1% (dal precedente 0,50%), primo segnale di intervento visti i livelli di inflazione (3,3% quella ‘core’ con i tassi ancora in negativo al -0,10%).

MATERIE PRIME

Terza settimana di fila con il segno più per il comparto materie prime, con il basket generale in progresso dell’1%, grazie ancora all’apporto delle materie prime energetiche. Il petrolio ritocca area 80$ ma anche i raffinati danno il loro contributo positivo: è un termometro che segnala come i prezzi abbiano un comportamento ondulatorio che si tradurrà in futuro sui dati di inflazione. Bene le materie prime industriali dopo gli interventi del governo cinese di supporto all’economia: ritroviamo rimbalzi per rame, zinco e nickel. Meno vivace l’oro, in leggera sofferenza (-0,1% a 1.956) con una leggera risalita dei tassi reali e la ritrovata forza del Dollaro USA.

MERCATO DELLE VALUTE E CRYPTOS

In ambito forex, bis della settimana precedente per il cambio Euro Dollaro (-1% a 1,10), dove la valuta americana capitalizza sia i dati di PIL e mercato del lavoro ma anche una minore distanza percepita tra le politiche monetarie di BCE e FED. La debolezza dell’euro è in realtà generalizzata, visto che la valuta del Vecchio Continente ha perso terreno anche verso Franco, Sterlina e Yen. Per quest’ultimo, da segnalare il -1,4% nel cross EUR-Yen, frutto dell’intervento decisionale della Bank of Japan che potrebbe preparare il terreno ad una potenziale revisione della politica monetaria nipponica. Il Bitcoin resta invece sotto quota 30.000, con un -1,8% che lo allontana ancora dal livello critico a quota 31.000 e che ha opposto forte resistenza nelle ultime settimane.

 

Dott. Alessandro Pazzaglia, consulente finanziario indipendente, www. pazzagliapartners.it




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