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domenica , 24 Novembre 2024

“Il Whatever it takes” di Powell; altro rialzo della Fed, borse e bond giù

MERCATO AZIONARIO

Doveva essere la settimana della Federal Reserve e così è stato. Nel meeting del 21/22 settembre la banca centrale americana doveva comunicare le proprie decisioni nell’ambito della politica monetaria americana e, soprattutto, cosa c’è da aspettarsi per i prossimi mesi. Una volta si aveva “forward guidance”, ossia le indicazioni prospettiche che la Fed era solita dare al mercato e che è stata ormai seppellita da tempo in favore di una posizione “data dependant”, ossia, guardo i dati e poi decido. Ma oggi, quando viene comunicato di prepararsi per l’arrivo di ‘more pain’ (ossia dolore, se pur finanziario/economico), gli operatori finanziari non possono che prenderne atto. Un atteggiamento molto duro quello della Federal Reserve, una sorta di genitore prima buono e ora cattivo, a cui probabilmente i mercati non erano preparati. Ne è derivata una settimana di ribassi generalizzati sia per l’azionario che per l’obbligazionario: le politiche monetarie restrittive introdotte per abbattere l’inflazione lasciano pochissimo scampo in questa difficile fase di mercato, destinata probabilmente a entrare nella storia per le sue peculiarità.

In ambito azionario, l’indice global MSCI World ha terminato la settimana con un declino di oltre il 5%, portando il risultato di inizio anno a quasi il -22% e registrando già nuovi minimi (sotto quelli di giugno). L’illusorio rally estivo (incentivato dal dato di inflazione in moderata discesa e da un mercato troppo ottimista) deve aver dato particolare fastidio alla Fed visto il cambio di tono delle dichiarazioni da Jackson Hole in poi. I segni meno di questa settimana sul mercato USA sono la diretta conseguenza dei dati del CPI della scorsa settimana e di una ulteriore volontà restrittiva della Fed. L’indice S&P 500 (-4,6%), dopo la perdita del sostegno vitale in area 3.900 ha perso ulteriore forza, dirigendosi quasi di volata verso i minimi di giugno (3.640 punti), iniziando a mostrare elementi di ipervenduto ma anche un Vix (volatilità) che effettua uno spyke verso l’alto (oltre 30) e segnala elementi di “tensione” crescente, con le prime sedute di assaggio del panico. I livelli di giugno potrebbero offrire qualche punto di sostegno all’indice, ma con la consapevolezza che ci si arriva con un degradamento del sentiment generale, indotto dai toni molto duri di Powell e dal contesto macroeconomico. L’S&P 500 vorrà cercare un minimo nelle prossime settimane, un terreno su cui ricominciare a poggiare qualche certezza.

Ed è stato da Powell che il mercato è stato disorientato e ora pare esserne spaventato. Se il detto ‘Don’t fight the Fed’ è vero, allora il mercato trae le sue conseguenze e comincia a prezzare le conseguenze di un ambiente economico caratterizzato da tassi più elevati. Ma non solo, se prima vi erano cali indotti dalla compressione dei multipli di valutazione (con l’innalzarsi dei tassi reali), appare chiaro che il mercato stia scontando anche gli effetti sulla crescita attesa futura delle strette monetarie. Il contesto internazionale certamente non aiuta: la guerra in Ucraina vive una ulteriore evoluzione, con Putin che ricorre ai riservisti per dare fiato al proprio esercito, organizza referendum nei territori occupati e minaccia l’utilizzo di armi non convenzionali. I riflessi sull’economia si conoscono bene: caro energia, penalizzazione per gli scambi internazionali e tendenza alla deglobalizzazione tra le aree economiche.

Detto dell’S&P 500, in netto declino anche i titoli tech (Nasdaq -4,6%) e soprattutto quelli a piccola capitalizzazione (Russell -6,6%). Declini tra il 4% ed il 5% anche per l’Europa. Tra i settori, perdite generalizzate (Energy -8,8%), in cui si salvano solo i difensivi che limitano le perdite: in caduta libera sia i comparti Growth che quelli Value. Tra i temi, debacle generalizzate soprattutto per quelli ad alta crescita prospettica.

MERCATO OBBLIGAZIONARIO

Jackson Hole è stato il primo colpo inferto da Jerome Powell ai mercati per far capire le intenzioni bellicose della Fed nei confronti del problema inflazione. E nel meeting occorso in questa settimana è inferto il secondo colpo, capace di rendere i mercati simili ad un pugile che barcolla sul ring. Non solo l’azionario piega al ribasso ma anche l’asset class obbligazionaria sta subendo in tutti i propri segmenti. Nel comunicato ufficiale uscito dal FOMC di settembre, la Fed ha ribadito di essere ‘’fortemente impegnata a riportare l’inflazione verso il suo obiettivo al 2%”, aumentando di conseguenza i tassi per la terza volta consecutiva dello 0,75% e portandoli nel range 3%-3,25%. Per arrivare a fine anno ad un livello previsto tra fine 2022 ed inizio 2023 ad un livello tra il 4,5%ed il 5%. Mancano insomma ancora tanti punti base prima di ottenere questi livelli: infatti, rispetto ad una sola settimana fa, i tassi impliciti scontati dal mercato sono saliti tutti tra 20 e 40 bps, segno che il mercato non si aspettava per nulla l’“higher rates for longer”, ossia tassi più elevati e più a lungo. Secondo il FOMC, non appare nemmeno realistico pensare che sia il 2023 l’anno di un cambio di strategia, probabilmente dal 2024 anche se le letture qui si fanno più dispersive, con una convergenza verso il tasso neutrale al 2,5% per gli anni seguenti. Viene da chiedersi: ma a dicembre 2021, quando i dati di inflazione erano già robusti e in crescita (per il 2023 veniva stimato appena un 2%), esattamente cosa stava guardando la Fed?

La sensazione è che probabilmente Powell ora abbia il terrore conclamato di compiere gli errori fatti in alcuni momenti chiave della storia della Fed. Negli anni ’70 il presidente Nixon, all’interno del più vasto scandalo Watergate, fece pressioni sull’allora presidente Arthur Burns per avere politiche espansive capaci di aiutare la rielezione dello stesso Nixon. Risultato: inflazione al 12%per tanti anni e riforma (nella forma di maggiore autonomia) della banca centrale americana. Ad inizi anni ’80, Paul Volcker, prese per le corna l’inflazione da shock petrolifero (15%) e dovette energicamente arrivare a tassi al 20% (per due volte, vista la persistenza) per domarla. E Powell ritiene oggi che non vi siano ancora le condizioni per credere ad una inflazione che ha raggiunto il suo picco, per cui serve aumentare i tassi e lasciarli lì per un certo tempo. L’economia inevitabilmente rallenterà (sono state tagliate le stime sia per il 2022 sia per l’anno prossimo) e vi sarà un aumento della disoccupazione. Su questo aspetto (l’unico positivo, ma che pare francamente ottimista), il FOMC stima un valore in aumento al 4,4%. L’inflazione stimata invece è attesa per l’anno prossimo in frenata al 2,8%.

I tassi hanno reagito di conseguenza: quello a due anni è salito al 4,2% mentre il decennale si è inerpicato fino al 3,8% per poi chiudere al 3,68% (con acquisti sul finale della seduta di venerdì). Il risultato è una curva sempre più inclinata negativamente (-0,52%, valori che non si vedevano dal 2000 e 2008). Segno meno quindi per tutti i governativi, anche della zona Euro, dove il Bund decennale ha oltrepassato area 2%, seguendo il percorso dell’omologo titolo di stato americano. Il decennale italiano si è portato al 4,3%, sui massimi del 2022, alla vigilia della scadenza elettorale e con tutta una storia da scrivere in base al risultato che ne uscirà. Lo spread resta stabile in area 230 punti basi. Tra gli altri segmenti obbligazionari, segni meno anche per i titoli corporate, sia investment grade che high yield, indeboliti sia dall’aumento dei free risk sia degli spread di credito. I tassi reali confermano la loro salita sopra l’1% (quello che chiede Powell) con le ovvie ripercussioni su equity e bond.

MERCATO DELLE MATERIE PRIME E VALUTE

In caduta libera le materie prime: il paniere generale perde quasi il 4%, affondato dal crollo della componente energy. Il petrolio (a 78$) perde oltre il 7% mentre il gas il 12%. Male anche i metalli industriali (-4,6%) e i preziosi (oro -1,9% a 1644$): tutti effetti dei timori recessivi. Continua l’uptrend del Dollaro: la Fed lo rafforza ed il cross EURUSD scende sotto quota 0,97. In caduta libera la Sterlina dopo i piani previsti dal nuovo governo inglese. Debacle anche per le criptovalute.

Dott. Alessandro Pazzaglia, Consulente Finanziario Indipendente, iscritto all’Albo delibera. 1081 del 18/04/2019. Info mail [email protected]

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