MERCATO AZIONARIO
Piegano al ribasso i principali indici internazionali che rimangono attanagliati da vari fronti di tensione che, insistendo insieme, non permettono alle borse di rilanciarsi dopo la debolezza di agosto e settembre. Alle problematiche già presenti e che sono ben note agli investitori, infatti, si è aggiunta l’incognita relativa agli sviluppi della guerra in Medio Oriente, con la situazione a Gaza (e l’imminente intervento israeliano) che influenza non poco gli andamenti finanziari. Le tematiche già ben note sono quelle relative ai tassi di interesse e al posizionamento delle banche centrali, visto che non sembra placarsi lo slancio verso l’alto dei rendimenti a lungo termine, né sono giunte dalla Federal Reserve indicazioni che possano fungere da elemento di calmierazione. Le tematiche geopolitiche portano come sempre instabilità nel breve per poi rientrare in una valutazione più ampia dove sono le tematiche macro a dominare. Tuttavia, l’incertezza sull’evoluzione del conflitto mediorientale lascia dubbi sull’allargamento ad altri attori nell’area: tesi al momento meno probabile di altre ma che i mercati ovviamente scontano. L’elemento però più forte è sempre quello legato ai tassi, con i rendimenti a lungo in ascesa e la percezione che questo possa provocare scosse sistemiche poco quantificabili, visto che l’architrave finanziaria aveva già mostrato a marzo elementi di instabilità sul fronte bancario. Le borse cercano di resistere, sostenute ancora da fondamentali e macro, ma chiudono comunque in negativo la settimana, con l’indice MSCI World in declino del 2,5% e con i guadagni da inizio anno che cominciano a diventare sempre più contenuti (alcuni hanno già il segno meno).
La chiusura debole di Wall Street nella scorsa settimana lasciava presagire che la ripartenza non fosse così imminente, più che altro vedendo da un lato un S&P 500 (-2,4%) sbattere la testa più volte in area 4.400 e, dall’altro. Un limite, quest’ultimo, sollecitato un po’ troppo e con vari elementi di rischio ancora presenti e in evoluzione. Torna indietro dalle velleità rialziste anche il Nasdaq 100 (-2,9%), che nel tempo aveva abbozzato anche un miglior recupero ma è stato indebolito dal comparto chip e torna mestamente sui minimi di agosto e inizio settembre (14.600 e supporti a 13.900). Dal punto di vista tecnico, occorre una reazione quasi immediata per non far peggiorare il quadro di breve termine con i conseguenti sacrifici di prezzo. Si tratta comunque ancora di una correzione che si innesta all’interno della tendenza positiva nata con i minimi di ottobre 2022, tecnicamente ancora valida in quanto supportata da elementi soprattutto fondamentali. Ma il quadro di breve rimane volatile.
A livello geografico e settoriale, la debolezza del mercato è stata abbastanza generalizzata, con pochissime eccezioni. Cade l’Europa con oltre un -2,7% e dati macro-tedeschi deludenti, il Giappone (-3,3%) che vanifica il bel risultato della settimana precedente e gli emergenti (-2,7%) con i mercati cinesi (-4%) incapaci ancora di reagire a fronte di una congiuntura incerta. A livello globale, i settori mostrano segni più solo per l’Energy (petrolio in salita) e consumi di base, mentre Real Estate (lato aumento tassi) e Industriali (incertezza macro-generale) hanno subito maggiormente i contraccolpi.
Strano a dirsi (o forse no) ma i dati macro pur positivi non hanno contribuito a dare sostegno ai mercati, con il vecchio adagio “good news is bad news’’ che fa ancora centro. Negli USA vendite al dettaglio, produzione industriale e richieste di sussidi di disoccupazione hanno mostrato ancora una certa dinamicità economica (le prime due sopra le attese, le terze al di sotto). Difficile per la Fed avere appigli per comunicare qualcosa di diverso al mercato se non il solito mantra della necessità di moderare l’attività economica. Le trimestrali per ora sono positive: bene il settore bancario, mentre tra i tech segnali positivi da Netflix e meno da Tesla. La prossima settimana si entra nel vivo con Microsoft, Alphabet, Meta, Amazon, Visa, Exxon e Coca Cola (tra le principali).
MERCATO OBBLIGAZIONARIO
È certamente l’obbligazionario l’asset class nell’occhio del ciclone, falcidiato da un aumento dei rendimenti che non mostra pause, se non momentanee come quella della scorsa settimana. Sembrava possibile che le tensioni di natura geopolitica (i venti di guerra in Medio Oriente) potessero imprimere una ricerca di sicurezza da parte degli investitori; invece, hanno prevalso ancora dinamiche che stanno riprezzando al rialzo la remunerazione richiesta dagli investitori per investire più a lungo termine. Un concetto che pare quasi banale nella sua definizione ma che il mercato fino a qualche mese fa non aveva prezzato in alcun modo, forse assuefatto e convinto che le banche centrali, Fed in primis, avrebbe moderato progressivamente i toni fino a quasi promettere una distensione abbastanza ravvicinata sul fronte dei tassi di interesse. E invece, l’atteggiamento ostico di Powell, che ha mantenuto l’impianto teorico di una inflazione ancora troppo alta per disimpegnare la Fed, porta il mercato a riequilibrare anche i rendimenti sulla parte lunga della curva, su cui aleggia la percezione sempre più forte di una strutturalità di rendimenti più elevati rispetto al passato (inflazione da deglobalizzazione o instabilità sistemica visto l’aumento del costo del debito per gli stati). Quasi un circolo vizioso perché tassi più elevati creano più problemi per tutti in termini di sostenibilità: è anche curioso pensare alla considerazione opposta, ossia che la cura per dei rendimenti troppo alti sono proprio loro stessi, in quanto, alla lunga, finiscono per indebolire il motore dell’attività economica.
Il decennale americano è stato capace di sfiorare area 4,90% nella prima settimana di ottobre, ritracciare al 4,50% in quella successiva e ora ripresentarsi baldanzoso ad un soffio dal 5%. Una soglia tecnica additata da molti come rilevante e di allarme ma che, in realtà, non è altro che un target psicologico da cifra tonda. Movimenti simili anche nella zona Euro ma con sfumature diverse: il Bund 10y riavvicina il 3% ma senza accelerare troppo mentre più thrilling il decorso del pari scadenza italiano che minaccia la rottura della soglia del 5% per chiudere poi poco sotto (4,93%). Lo spread BTP-Bund tocca i 200 punti base, il rischio qui è un aumento ma ancora sotto controllo. Gli indici obbligazionari mostrano quindi nel complesso governativi ancora in correzione, accompagnati dal corporate, sia investment grade che high yield.
MERCATO DELLE MATERIE PRIME
Ancora su il paniere delle commodities (+0,5%) grazie alla combinazione tra petrolio (+1,2%) e oro (+2,5%): entrambi si attestano su valori elevati di periodo 880$ e 1.981$) a causa delle dinamiche che vengono dal Medio Oriente.
MERCATO DELLE VALUTE
Il cambio Euro Dollaro mantiene un certo floor in area 1,05 (close 1,059), avendo pochi spunti dall’ambito della politica monetaria e senza registrare nemmeno un fly to quality verso valute rifugio. Le attese sui tassi sono infatti stabili (FED al 30% per un intervento a dicembre, BCE vista ferma quasi…definitivamente).
Dott. Alessandro Pazzaglia,