VERONA – Nel 2018 l’export di vino italiano vale oltre 6 miliardi ed è in crescita del 3,3% rispetto al 2017. Meglio ha fatto solo la Francia con esportazioni per 9,4 miliardi e un incremento del 2,8% sull’anno precedente. Molto dietro si collocano Spagna (2,9 miliardi), Australia (1,8 miliardi), Cile (1,7), Stati Uniti (1,2) e Nuova Zelanda (1 miliardo). A fare la differenza sono ancora gli spumanti: l’export di Prosecco è cresciuto nel 2018 del 15% sul 2017.
È il quadro che emerge dalla relazione di Denis Pantini di Nomisma Wine Monitor per Crédit Agricole FriulAdria, banca con un forte posizionamento nel settore agroalimentare che, come l’anno scorso, rinnovando la partnership con Confagricoltura Veneto, ha organizzato a Vinitaly un momento di confronto sul tema della sostenibilità e dell’innovazione nel mondo del vino.
Per quanto riguarda i nuovi trend, da rilevare il forte sviluppo del vino biologico le cui vendite in Italia (fonte: IRI) nella grande distribuzione sono passate dai 7,2 milioni del 2014 ai 32,3 milioni del 2018.
Tra il 2009 e il 2017 in Italia le superfici vitate biologiche sono aumentate del 147%, segno inequivocabile di una maggiore sensibilità verso la tutela ambientale da parte dei produttori e dei consumatori di vino.
Scendendo nel dettaglio delle regioni che più hanno incrementato la superficie vitata bio spiccano nelle prime due posizioni la Lombardia (+290%) e il Piemonte (+219%), seguono Toscana (+129%), Friuli Venezia Giulia (+128%), Sicilia (+122%), Calabria (+105%) e Veneto (+100%). La media italiana di crescita nel periodo considerato è dell’84%.
In crescita dal 14 al 17% anche i consumatori italiani che acquistano on line: attualmente sono 5,4 milioni e 500 mila persone acquistano vino online una più volte al mese (permane un netto divario rispetto al 32% di americani, al 26% degli inglesi e al 21% di tedeschi abituati a fare shopping di vino online).
Secondo l’analisi condotta nel 2018 da Wine Monitor per definirsi sostenibile un vino deve innanzitutto rispettare l’ambiente: lo afferma il 47% degli intervistati (per il 25% deve essere prodotto minimizzando il consumo di acqua ed energia, per il 24% deve rispettare il patrimonio culturale del territorio, per il 22% deve essere biologico, per il 21% deve essere acquistato dal produttore).
In quest’ottica, secondo un’ulteriore indagine condotta da Nomisma nei primi mesi del 2019 su un campione di oltre mille imprese agricole, risultano essere il 23% le aziende vitivinicole che hanno investito in nuove tecnologie, soprattutto digitali. A tale proposito va sottolineata la maggiore sensibilità per l’agricoltura 4.0 da parte delle aziende vitivinicole rispetto alle aziende agricole in generale. Alla domanda “Se domani ricevesse 10 mila euro da investire in azienda per cosa li utilizzerebbe?”, il 15,2% delle prime hanno risposto per migliorare la sostenibilità ambientale contro il 9,4% delle seconde.
“Il consumatore, nel comprare vino, si rifà a valori che un tempo non facevano parte delle proprie aspettative o stili di vita: tra questi figura la tutela dell’ambiente e la ricerca di vini sostenibili – spiega Denis Pantini, responsabile di Wine Monitor – A fronte di questi cambiamenti nella domanda, il produttore deve necessariamente adeguare la propria offerta se non vuole essere buttato fuori dal mercato. E per rispondere in maniera efficace ed efficiente a queste sollecitazioni, una leva strategica è quella dell’innovazione”.
“Innovazione e sostenibilità si configurano come le leve strategiche del mondo del vino per competere in un mercato in continua evoluzione – ha commentato Carlo Piana, direttore generale di Crédit Agricole FriulAdria che ha organizzato il focus di approfondimento con Confagricoltura Veneto – Il 36% di chi ha adottato nuove tecnologie abilitanti ha migliorato la qualità dei propri vini e il 33% ha ridotto l’impatto ambientale. Si tratta, quindi, di un processo virtuoso che dobbiamo assecondare assistendo le aziende con un modo di fare banca basato sulla consulenza e sui servizi evoluti”.
“Le aziende vitivinicole hanno intrapreso negli ultimi anni un percorso virtuoso volto al miglioramento con attenzione ai vari processi di coltivazione tendendo a una viticoltura di qualità sempre più rispettosa dell’ambiente.” Così ha affermato il Presidente di Confagricoltura Veneto Lodovico Giustiniani che ha aggiunto: “Alcune Confagricoltura provinciali, come quella di Treviso, sono capofila di progetti sperimentali con Enti di Ricerca e Università per ottenere vitigni resistenti al fine di abbattere i trattamenti. I processi produttivi in vigna, pur seguendo la tradizione, si avvalgono sempre più delle nuove tecnologie messe a disposizione, dall’informatica all’innovazione srumentale che permettono interessanti applicazioni innovative come l’agricoltura di precisione. Ci si augura che ci sia anche una maggiore attenzione per le interessanti soluzioni genomiche già ora possibili.”
Un mercato internazionale dove i consumi “migrano” da un continente all’altro. Basti pensare che nel 2018, circa il 21% delle importazioni di vino (a valore) ha fatto riferimento ai mercati dell’Asia Orientale (Cina, Giappone, paesi del Sud-est asiatico) quando appena cinque anni prima tale incidenza non arrivava al 16%. Di contro, sebbene i mercati dell’Unione Europea pesino ancora per il 42%, nel 2013 superavano il 48% delle importazioni mondiali di vino.
La “migrazione” dei consumi porta con sé anche un’evoluzione dei gusti, degli stili di vita e delle modalità di acquisto dei consumatori di vino. L’aspetto più rilevante da registrare è l’exploit del Prosecco, con le esportazioni che fra il 2013 e il 2018 sono aumentate di oltre il 90% (a fronte di una crescita del 38% del mercato degli spumanti nel mondo).
Nello stesso tempo, in Italia, si assiste alla battuta d’arresto dei vini fermi (nella grande distribuzione fanno segnare un meno 9%) che però vedono aumentare il prezzo medio al litro a riprova di una maggior attenzione per la qualità del prodotto confermata dall’impennata delle vendite di vino biologico.