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mercoledì , 22 Gennaio 2025

Anna Cappelli: se ci fosse stata una casa popolare forse non succedeva

Oggi camminavo per Pordenone city, il sole faceva capolino tra i palazzi, e io mi sono fermato davanti a una vetrina di annunci immobiliari. “Vediamo un po’,” ho pensato. E lì l’illuminazione: trovare una casa in affitto oggi è più difficile che convincere un millennial a spegnere Netflix e a scollarsi dal divano per uscire per una passeggiata.

Monolocali che sembrano armadi a muro, bilocali che ti fanno venire voglia di rivalutare il campeggio selvaggio, prezzi che sembrano pensati per alieni sboroni con conti correnti intergalattici. E proprio mentre guardavo quei cartelli, mi è venuto in mente che poco tempo fa ho visto Anna Cappelli, la pièce di Annibale Ruccello, al Verdi a Pordenone, nello spazio inconsueto e off del retropalco che ha donato un’atmosfera unica e molto underground all’evento.

Ah, Anna Cappelli potremmo dire che è una vera e propria lezione sull’arte di arrangiassi e sullo struggersi per desiderare uno spazio tutto per sé… anche a costo di ingoiare bocconi amari…

Diretta dall’argenteo e argentino Claudio Tolcachir e interpretata magistralmente dall’ineffabile e monologante Valentina Picello, Anna Cappelli è un viaggio tragicomico nei meandri della mente umana, dove il sognuccio borghesino di avere una casetta casettina diventa una ossessione fatale.

Anna è una donna ordinaria, quasi trasparente, almeno fino a quando la vita decide di prendersi gioco di lei. Un po’ si empatizza con la poverina che ha continui problemi di convivenza con vicine e coinquiline, tutti noi poveracci ci siamo passati. Poi trova un Tonino, tipo il suo fidanzato che ha una casa bella e grande e anche una tata-governante succedaneo della suocera…

A un certo punto, dopo che Anna finalmente riteneva di avere risolto una volta per tutte le sue ossessioni piccolo borghesi e anche di essere finalmente uscita dal tunnel del coinquilinaggio, Toninaccio le comunica che venderà la casa. E no, Anna non rientra neppure lei nei suoi piani futuri. Anna, però, non è il tipo da mollare senza combattere. Decidere di “introiettarsi” Tonino per tenerlo sempre con sé per sempre…. potrebbe sembrare un tantino eccessivo, ma d’altra parte, con ‘sti chiari di luna hai mai provato a cercare una cavolo di casa in affitto? Vai va’!

Valentina Picello è un’esplosione a orologeria: inizia a performare sul palco ancora prima dell’inizio dello spettacolo, mentre la gente prende posto sulle (comode!) sedie pieghevoli posizionate a raggiera nel retropalco, ella si aggira sul palco ogni tanto scambiando espressioni perplesse e sguardi con le prime file, tra la scenografia essenziale e lunare e molto raffinata e interpreta Anna con una gamma emotiva che va dall’isteria comica alla malinconia più profonda, fino al delirio puro.

La sua risata – nervosa, contagiosa, spiazzante – è il filo conduttore di uno spettacolo che ti costringe a ridere proprio mentre ti rendi conto di essere davanti a una tragedia. E piangi, e ri-ridacchi. E un po’ ti fa pena la povera Anna senza amore. E non è solo la risata: sono i suoi silenzi, i momenti in cui il vuoto dentro Anna sembra così reale che quasi puoi toccarlo.

Tolcachir, con la sua regia minimalista, toglie ogni distrazione: la scena è essenziale, come una vetrina di annunci immobiliari in cui il prezzo iperuranico si scontra con la modestia dell’offerta. E un po’ ti girano i cabasisi. Ed è proprio qui che lo spettacolo colpisce duro: nel contrasto tra ciò che Anna desidera e ciò che il mondo le nega. La casa, per lei, non è solo un luogo fisico, ma il simbolo di una vita che sente di meritare. Quando questo sogno le viene negato, il suo fragile equilibrio mentale si sgretola, però almeno per un po’ non ha più bisogno di fare la spesa.

(Ricordo anche che in Italia le politiche di edilizia popolare sono ferme agli anni 80 del secolo scorso, e, giusto per la cronaca, a Vienna in Austria il 75% di tutta l’edilizia privata è composta da case popolari.)

E così, porco cane!, Anna decide di prendere il controllo. Non può avere Tonino? Lo farà suo nel modo più letterale possibile. È grottesco, è surreale, ed è anche stranamente commovente. Perché, diciamocelo, chi non ha mai sentito quella voglia irrazionale di possedere qualcosa – o qualcuno – per non perderlo? Certo, magari non facendolo in salmì, ma ci siamo intesi!

Alla fine, Anna Cappelli ci lascia con una risataccia amarona e una riga di lacrimuccie sul bordo dell’occhio e una tristanzuola riflessione che ci accompagna fino al prossimo annuncio immobiliare: quanto siamo disposti a sacrificare del nostro (miserrimo!) stipendio, della nostra (povera) vita, per sentirci comodi e al sicuro, per umanamente avere un angolo di mondo da chiamare nostro? E, soprattutto, Tonino sapeva di maiale o di scimmia speziata?

Pasqualino Suppa

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