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venerdì , 5 Dicembre 2025

Il pordenonese Giacomo Marchiori tra i protagonisti di HReboot, il “real talk” che unisce generazioni e intelligenza artificiale

MILANO / PORDENONE – In un’epoca in cui il mondo del lavoro corre alla velocità dell’intelligenza artificiale, c’è chi ha deciso di premere “pausa” per tornare a parlarsi davvero. È l’idea alla base di HReboot, il format che nei giorni scorsi ha animato la sede milanese della Albert School, la prima Data, Business & AI School in Europa.

A ideare e organizzare l’evento tre protagonisti del mondo HR e dell’innovazione: Alessandro Castelli, HR advisor e business-mental coach, Giacomo Marchiori, CEO e founder di Talentware, e Floriano Bollettini, presidente di Albert School Italia. Marchiori, originario di Pordenone e figlio di Alberto Marchiori, storico presidente di Confcommercio Pordenone, è tra le voci emergenti del nuovo pensiero manageriale italiano.

Ma HReboot non è stato un semplice convegno. È stato un “Real Talk” intergenerazionale, un incontro tra manager, imprenditori, giovani talenti, creator, atleti e istituzioni, accomunati da una stessa domanda: come lavorare, crescere e comunicare in un mondo che cambia più in fretta di noi?

Aziende in trasformazione, ma ancora in cerca di equilibrio

Al centro della serata, condotta da Castelli e dalla giornalista Rita Maria Stanca, un sondaggio live dal titolo “Lavoro, cultura, intelligenza e futuro: dove siamo (davvero) oggi?”.

I risultati raccontano un’Italia aziendale in piena evoluzione: il 65% dei partecipanti ha definito la cultura organizzativa “in evoluzione ma con molta strada da fare”, e nessuno l’ha percepita come realmente orientata alle persone.

La Gen Z, cuore pulsante del cambiamento, non cerca benefit o gerarchie, ma fiducia, crescita e senso. Per oltre la metà dei rispondenti (54%) la chiave per trattenere i talenti è offrire percorsi di sviluppo personalizzati, mentre il 42% indica nei leader autentici e capaci di ascoltare la leva decisiva per far evolvere le organizzazioni.

Marchiori: “Non è un problema generazionale, ma culturale”

“Il vero problema non è il divario generazionale, ma quello culturale”, ha commentato Giacomo Marchiori. “In un mondo che cambia più in fretta dei job title, l’adattabilità è la competenza del futuro. Non basta imparare nuovi strumenti: serve imparare a reimparare, ogni giorno”.

Marchiori ha sottolineato come l’evoluzione tecnologica debba andare di pari passo con quella culturale: “Pensiero critico, ascolto, capacità di affrontare l’incertezza sono fondamentali, ma anche le competenze tecniche restano essenziali. È la somma che crea valore: cultura che cambia più nuove skill. Le aziende che coltiveranno questa mentalità evolutiva diventeranno organismi vivi, capaci di crescere insieme alle persone, non sopra di loro”.

L’intelligenza artificiale? Un alleato, non una minaccia

Tra i dati più sorprendenti emersi dal sondaggio, quello sull’intelligenza artificiale: il 62% dei partecipanti la considera un potenziatore delle competenze umane, non un rischio per l’occupazione.

“Il futuro del lavoro non è una sfida tra umanità e tecnologia, ma un dialogo tra le due,” ha spiegato Alessandro Castelli. “HReboot nasce proprio per creare spazi di confronto autentico tra generazioni e competenze diverse, dove manager e giovani possano costruire un nuovo linguaggio del lavoro, più umano e consapevole”.

Sport e lavoro: stessi valori, stessa squadra

Durante il panel – strutturato come quattro “interviste doppie” tra professionisti di settori diversi – si sono alternati Marco Achilli (Imesa Spa), Nicola Spadafora (Confapi Milano), Silvia Pagliuca, Kim Spolidoro, Sofia Brunati, Alberto Lamberti, oltre agli stessi Marchiori e Bollettini.

Il confronto, vivace e diretto, ha messo in luce il valore dello sport come modello di leadership: il 62% dei partecipanti al sondaggio ha riconosciuto che il linguaggio sportivo può aiutare le aziende a evolvere grazie a fiducia, disciplina e lavoro di squadra.

“Nel lavoro come nello sport – ha ricordato la paralimpica Sofia Brunati – la performance nasce dalla coesione, non dal risultato a tutti i costi. Le aziende che lo capiscono diventano luoghi in cui le persone vogliono restare”.

“Il reboot non è un evento, ma un processo”

La serata si è chiusa con un momento di networking esperienziale, tra confronti e nuove connessioni.

“Il reboot non è un evento, è un processo – ha concluso Marchiori –. È la scelta di non restare fermi nei ruoli, ma di ascoltarsi per evolvere insieme. Questo è il nuovo modo di fare innovazione: umano, condiviso, intergenerazionale”.

HReboot ha così dimostrato che il futuro del lavoro non appartiene alle macchine, ma alle persone capaci di unire tecnologia, cultura e umanità.

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